Carnia Fidelis

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Mi è capitato recentemente tra le mani questo non più recente libro di Alceste Mainardis (Chiandetti editore, 1981) e l’ho riletto molto volentieri (con altro spirito) a distanza di 20 anni.

Serbo un ricordo molto sfumato dell’autore (quasi da libro Cuore), che risale alla fine degli anni ’50, quando fu per breve tempo Direttore Didattico a Paluzza: un omone alto e ben piantato (così ai miei occhi di scolaretto elementare), un lungo cappotto marrone fin sotto il ginocchio ed un berrettone di panno blu con frontino e i paraorecchi rialzati. Questo era il mio direttore pro tempore Mainardis…

Ho voluto inserire nella nostra biblioteca il suo (unico?) lavoro memorialistico (autobiografia che spazia dalla prima guerra mondiale al terremoto del 1976), per i motivi che appariranno nelle righe seguenti.

Usando un artificio letterario (quattro anziani- chiamati ironicamente i 4 evangelisti- si ritrovano in un Ricovero per vecchi ed iniziano a raccontare i fatti salienti della propria esistenza), Mainardis va a tessere una trama viva e vivacissima che prende sempre le mosse dalla diretta esperienza quotidiana del proprio vissuto per salire poi, in giri ampi e concentrici, a tratteggiare i grandi eventi storici che hanno lambito la Carnia. Leggendo queste pagine si ha la netta sensazione di rivisitare la grande storia attraverso il racconto diretto delle comparse, delle piccole persone che non fanno la storia ma la subiscono, non sempre passivamente e soprattutto non senza saper esprimere un giudizio o un parere.

I capitoli sono 12 per 236 pagine fitte, fitte. I racconti che hanno per sfondo la Grande Guerra aprono l’epopea di Mainardis che descrive con estrema dovizia di particolari inediti la reale e cruda situazione dei paesi di Carnia prima e soprattutto durante l’invasione austriaca avvenuta all’indomani di Caporetto nell’ottobre 1917. In queste pagine l’autore tratteggia, senza peli sulla lingua, la vita dei civili, delle donne e di tutti coloro che erano rimasti nei paesi, dopo la disordinata fuga di coloro che avevano scelto la profuganza in Italia. E’ una novità assoluta non solo perché fornita da un testimone oculare ma anche perché prima di Mainardis, erano pochissimi i lavori locali dedicati a questo specifico tema (dopo ne sono usciti molti, in verità). Interessanti anche le pagine relative all’affaire Douet ed al fallito attentato al duce da parte di Zaniboni, in cui l’autore esprime non solo le sue conoscenze in proposito (non sempre collimanti con la vulgata ufficiale) ma anche i suoi commenti affatto scontati. Non meno belle sono le rievocazioni bucoliche della Carnia di allora, descritte certamente con la naturale deformazione della memoria, tuttavia molto particolari dal punto di vista storico e sentimentale.

Tra i boni homines (personaggi locali) ricordati da Mainardis, meritano attenzione il misogino Nart Cocodec, Toni e Colò, forse già spariti (assieme ai cattivi Tavi e Cingli) dalla memoria collettiva del paese di Amaro, ormai risucchiato verso altra anonima identità dalla attuale irreversibile reimpostazione del suo territorio (e speriamo non ancora della sua gente)…

Anche il periodo fascista viene rivissuto e riproposto da un’angolatura di attore, mai solo di spettatore: ecco allora la figura meschina del parvenu che sfrutta la camicia nera, il prete che appoggia la dittatura, il popolo che comunque deve tirare avanti…e poi l’Africa coloniale del tenente Mainardis e i primi venti di guerra, la crisi del legname in Carnia…

La seconda guerra mondiale coglie Mainardis in età matura e lo vede sempre più lontano dalla retorica fascista che cerca ancora di galvanizzare il popolo. Ed arriva il fatidico 8 settembre 1943: la morte della Patria. Da questo punto in poi, si leggono forse le pagine più belle e più pregnanti di passione civile: vi si racconta di Promosio, dell’Ors di Pani… (Mainardis evita sempre di fare i nomi di luoghi e persone, perchè sa che la gente conosce assai bene questo tratto di storia recente, che tuttavia è qui integrata da piccole notizie o riferimenti spesso inediti o addirittura sconosciuti) e poi dell’invasione cosacca, dei patrioti-resistenzialisti dell’ultima ora, dei voltagabbana...

Gli anni del dopoguerra scivolano via in viaggi all’estero (URSS, Romania, Svizzera dove passa le vacanze estive in una fattoria lavorando 11 ore al giorno…) e nell’attività didattica (dapprima maestro poi direttore) dove non mancano mai gli stimoli e gli spunti per riaffermare il proprio stile di vita, parco ed integerrimo.

Il capitolo finale riguarda il terremoto del 1976 e costituisce quasi, per come è scritto ed analizzato, il compendio della sua filosofia di vita: l’onestà intellettuale di Mainardis non tace le storture di quei mesi e di quegli anni, troppo presto occultate dalla facile retorica dei giornali e dei politici. Mainardis trova il coraggio per dettagliare anche gli aspetti meno edificanti di quel periodo così mitizzato…

Tutte le pagine di questo agile libro sono punteggiate da acute digressioni, piacevoli divagazioni, dotte citazioni latine, graffi polemici, gocce di saggezza, distillati filosofici, simpatiche arguzie, giudizi trancianti e impietosi, stilettate apodittiche, inattese irritazioni... Nessuno si sottrae alla sua penna inesorabile: né i fascisti né i partigiani, né il prete né il prefetto, né i rossi né i democristiani…

Mainardis sa forse di poter scrivere liberamente ciò che pensa ed ha sempre pensato, essendo probabilmente consapevole di essere ormai vecchio e quasi giunto al capolinea e non teme dunque ritorsioni o rappresaglie politiche o mediatiche.

Il titolo del libro (e più ancora la copertina) non rendono ragione dell’effettivo contenuto e questo costituisce forse (insieme ad alcune imperfezioni formali e ad improvvisi flash-back) il solo limite dell’opera.

Credo che questa singolare autobiografia di Alceste Mainardis (vero testamento civile di alto profilo) dovrebbe essere letta non solo dalle nuove generazioni ma soprattutto dalla nuova classe politica che si appresta (a volte troppo disinvoltamente) a prendere in mano il futuro delle nostre Comunità.

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