Corrado Venturini - 2021 www.corradoventurini.it con la collaborazione di Antonella Astori
Un fiume riunisce in sé la forza e l’anima dei suoi affluenti che, come tributo, riversano incessantemente nel suo alveo non solo acque, ma anche una varia e infinita quantità di frammenti rocciosi scalzati e prelevati dai rilievi montani. Esiste un fiume, nel Nord-Est d’Italia (Fig. 1), i cui sassi raccontano storie antiche di quasi mezzo miliardo di anni. A questi remoti racconti se ne aggiunge uno, il più recente, il cui inizio risale a una manciata di milioni d'anni fa. È la storia stessa del Fiume Tagliamento, che prosegue tuttora narrandoci di voraci piraterie fluviali, con tratti rapinati ad altri corsi o abbandonati all'improvviso, accanto ad altri che, al contrario, si modificano senza interruzioni sotto il nostro sguardo di attenti osservatori appassionati di Natura.
Fig. 1 – I tre tratti fisici del Fiume Tagliamento: montano (Passo della Mauria - Pinzano), dell'alta pianura (Pinzano - Varmo) e della bassa pianura (Varmo - Lignano/Bibione). Shaded relief concesso dalla Reg. Aut. Friuli Venezia Giulia.
Il Tagliamento, un fiume bonsai che per la sua ridotta estensione rispetto agli altri fiumi europei può essere considerato un modello in scala di corso fluviale percepibile anche solo in una giornata attraverso la visione diretta dei suoi tre segmenti base (Fig. 1): il tratto montano (ovvero delle selvagge e ramificate radici fluviali), quello dell'alta pianura (con i suoi caratteristici canali di magra intrecciati l’uno nell’altro), e quello della bassa pianura (dove il corso diventa sinuoso, in perenne lento spostamento laterale). Al termine di quest’ultimo tratto il Fiume Tagliamento si trasforma in distributore deltizio sfociando in Adriatico con un delta da manuale. Mirabili cose ci riserva questo piccolo grande fiume. Piccolo per la sua ridotta lunghezza: solo 178 km, di cui i primi cinque sesti scorrono interamente in Friuli mentre la restante parte si fa confine col Veneto. Grande perché il Tagliamento è uno dei rari fiumi europei che ancora conserva una naturalità che l'accompagna dalle sorgenti (Fig. 2), ubicate presso il Passo della Mauria (Alpi Carniche occidentali), fino a Ronchis di Latisana (UD), situata a quasi 30 km dalla foce in Adriatico. Solo nel suo ultimo tratto, da Latisana in poi, gli argini artificiali ne hanno imbrigliato la propensione innata alla divagazione lungo la pianura. Grazie ai peculiari caratteri di indiscussa e pressoché completa naturalità del suo corso, il Tagliamento è diventato un paradigma assoluto nel panorama fluviale europeo. Un fiume che potrebbe essere definito ancora come primordiale e in grado per questo di richiamare l’interesse degli studiosi. Non è senza motivo la sua recente candidatura Unesco nella lista dei patrimoni mondiali dell’Umanità. Un corso d’acqua che si è guadagnato nel tempo l’appellativo di Re dei fiumi alpini e che è conosciuto, anche all’estero, come l’ultimo fiume selvaggio d’Europa.
Fig. 2 – La scaturigine scelta come origine del Tagliamento all'interno della sua articolata area sorgentizia. È intersecata dalla SS 52 che conduce al Passo della Mauria, ormai prossimo, e riserva – per molti di noi – una sorpresa inattesa.
La prima grande sorpresa, per certi versi inaspettata, il Tagliamento la riserva proprio lì dove nasce. Non è una sorpresa geologica o morfologica, come tante ne nasconde lungo il proprio percorso, ma geografica. È una evidenza che appartiene a quella categoria di dati che sui banchi di scuola è classificata come relativa alla geografia politica, ovvero la geografia che tratta anche dei confini amministrativi. L’informazione ci racconta che il Tagliamento, il fiume che si identifica con il Friuli stesso, il corso d'acqua che si fa collegamento tra le genti friulane dei monti e quelle della pianura e del delta, il flusso liquido che per antonomasia rappresenta l’icona aggregante dei molteplici territori della Piccola Patria... non nasce in Friuli, ma in Veneto! Non è uno scherzo o una fake new. Per i friulani doc può rappresentare una sconcertante realtà. Questo accade perché nel settore del M. Cridola, a W di Forni di Sopra, il confine tra Friuli e Veneto abbandona improvvisamente il crinale di spartiacque e, con una virata piratesca, si tuffa in un fondovalle per poi correre a metà di un versante montuoso, escludendo di fatto dal Friuli amministrativo proprio le sorgenti del Tagliamento. Per poche centinaia di metri lineari. Con questa situazione confinaria, che scorpora anche il Passo della Mauria dal territorio friulano, molti di noi (me compreso) scoprono improvvisamente che la sorgente del Tagliamento (Fig. 2), sgorga nel comune di Lorenzago di Cadore (BL) e non in quello di Forni di Sopra. Tutto questo per un’infinitesima virgola di territorio. Al di là di questa precisazione, marginale ma doverosa, si può anticipare che ogni tratto di questo peculiare fiume ha le sue particolarità. Percorrendone il corso, di volta in volta si susseguono colpi di scena inattesi, intercalati a paesaggi e panorami che sanno anche trasformarsi in specchi dell’anima. E che dire delle infinite suggestioni create dalle piccole e infinitesime meraviglie disseminate lungo le zone d’alveo (Figg. 3 e 4), capaci ad ogni visita di trasmettere vortici di inattese emozioni.
Fig. 3 – Un sottile e limitato accumulo di sabbia, depositato durante il calo di una piena, è stato inciso dagli ultimi transiti di acqua. Il tutto poco prima che si affermasse la fase di magra fluviale. Una piccola meraviglia che impreziosisce le camminate lungo l’alveo del Tagliamento, proponendoci una sintesi ridotta del proprio intreccio di canali e barre.
Fig. 4 – Un'altra piccola meraviglia osservabile nell’alveo di questo magico fiume. Un velo di argilla si è depositato sott’acqua sopra ad uno strato di sabbia. Emergendo poi si è essiccato. A causa della rapida perdita d’acqua il volume dell'argilla si è contratto generando delle fratture poligonali. Inoltre, per la differenza di dimensioni tra le particelle argillose e i granuli sabbiosi, l'argilla si è scollata dalle sabbie continuando a perdere volume. La mancanza di adesione tra i due strati è stata più pronunciata lungo i bordi delle fratture, vie preferenziali di più rapida essiccazione. Questo carattere, unitamente alla continua contrazione delle argille, ne ha favorito l'incurvamento generando… l'effetto papiro. Il tratto montano
Questo lungo segmento fluviale montano si identifica con il Taiament (o, meno frequentemente, Tajament) della lingua friulana. La sua stessa pronuncia (ben differente dal Tiliment in uso nella successiva e ancor lontana pianura) rispecchia ed evoca l’energia e la forza delle sue acque, capaci da milioni di anni di separare le montagne, scavandosi una via carnica ai deflussi superficiali. Percorrendo questo iniziale, esteso tratto fluviale, segnato da un susseguirsi di confluenze vallive, si leggono con immediatezza i processi erosivi causati dal passato alternarsi di acque e di ghiacci. Un'alternanza, distribuita negli ultimi 2 milioni di anni circa, che è stata in grado non solo di approfondire e allargare la Valle del Tagliamento e quelle dei suoi affluenti, ma anche di generare crolli di interi diaframmi rocciosi che, nel tempo, si sono resi responsabili di importanti modifiche al reticolo idrografico. Franamenti poderosi che in particolari circostanze hanno innescato le caratteristiche “erosioni a gambero”, ossia regressive verso monte, responsabili di almeno tre incredibili atti di… pirateria fluviale. Più note come catture fluviali, con il loro affermarsi rappresentano processi in grado di cambiare drasticamente i tragitti fluviali, in special modo quelli montani, da molti ritenuti non suscettibili di modificazioni. E invece....
Tre catture fluviali da manuale
Il Tagliamento, nel corso della sua lunga evoluzione iniziata circa 20 milioni di anni or sono e perfezionatasi intorno a 10-5 milioni di anni fa, è stato coinvolto in processi di cattura fluviale per almeno tre volte, in zone differenti (Fig. 5). Più precisamente, è accaduto intorno a qualche centinaio di migliaia d'anni fa nei settori di Ampezzo e di Cavazzo-Amaro, e circa 20-15.000 anni or sono nel settore M. di Ragogna - Cimano - Pinzano. Vale la pena soffermarsi su questi tre episodi che hanno segnato profondamente l’evoluzione di questo piccolo grande fiume, per dimostrarne il dinamismo, direttamente connesso alla sua innata capacità di sorprendere e meravigliare.
Fig. 5 – Il Fiume Tagliamento con i suoi principali affluenti. La linea blu tratteggiata indica i tre antichi percorsi oggi abbandonati per altrettante catture fluviali. Sono rispettivamente quello di Ampezzo (1), di Cavazzo (2) e di Cimano (3). Trasferiamoci idealmente nella sede del primo episodio: Ampezzo (Fig. 5), tra Forni di Sotto e Socchieve. L’alta Valle del Tagliamento, da Tolmezzo a Forni di Sotto e ancora oltre, fino al confine col Veneto, ha un generale andamento E-W. Questo segmento fluviale, lungo quasi 30 km, per un esteso tratto occupa un solco vallivo molto ampio che risente dei passati, ripetuti transiti glaciali. Fa eccezione la sua porzione mediana, quella collocata proprio tra i paesi di Forni di Sotto e Socchieve. In questo tratto, lungo una decina di chilometri, la vallata in cui oggi scorre il Tagliamento cambia radicalmente i propri caratteri. Si fa improvvisamente tortuosa, riducendo sensibilmente la propria sezione. Inoltre, l’ampiezza del fondovalle è di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella misurata tanto nel segmento a valle, quanto in quello a monte. Questa situazione rappresenta una delle più note catture fluviali del settore alpino nord-orientale, già individuate a suo tempo dal nostro Michele Gortani (Fig. 6). A nessuno può sfuggire che il paese di Ampezzo – collocato, ricordiamolo, tra Forni di Sotto e Socchieve (Fig. 5) – giace in un'ampia valle quasi rettilinea, lunga 8 km e praticamente priva di acque superficiali, se facciamo esclusione di quelle in transito apportate dal Torrente Lumiei. Al loro posto troviamo invece solo spesse e abbondanti ghiaie fluviali, tenacemente cementate.
Fig. 6 – Settore di Ampezzo (Forni di Sotto - Socchieve). Confronto tra la situazione idrografica iniziale (a sinistra, intorno a 700.000 anni fa) e quella attuale, perfezionatasi indicativamente durante gli ultimi 100.000 anni. (Da Venturini, 2003, modificato).
Testimoniano che lungo quegli 8 km lineari di larga vallata, oggi praticamente priva di deflussi superficiali, un tempo scorreva dell’acqua. Molta acqua. Un’acqua con carichi ghiaiosi decisamente consistenti, quali solo un fiume come il Tagliamento avrebbe potuto accumulare. L’unica soluzione possibile è che un tempo (fino a qualche centinaia di migliaia d’anni fa; …ieri in geologia!) il Tagliamento transitasse proprio per Ampezzo. Quando questo accadeva, l’attuale e tortuoso segmento fluviale odierno era ancora soltanto un suo modesto affluente destro. Tra i due corsi – già molto consistente il primo, infinitesimo il secondo – esisteva un diaframma roccioso con funzione di spartiacque (Figg. 6 e 7). Si ipotizza che sia stato sventrato, spazzato via dalle pressioni delle periodiche lingue glaciali e/o da un franamento verificatosi durante un periodo interglaciale, caratterizzato da clima più mite. In ogni caso ne scaturì un’erosione regressiva delle sorgenti del modesto affluente, ossia con progressivo spostamento all’indietro, verso monte. Questo processo ha finito per intercettare le acque dell’antico Tagliamento appena a valle di Forni di Sotto (Fig. 7). In quell’attimo si è compiuta la cattura fluviale! Il varco apertosi ebbe l’effetto di richiamare le acque dell’antico Tagliamento, convogliandole nella vallecola di quel torrente anonimo che, da quel momento in poi, si ritrovò promosso a corso principale. Da quel momento il segmento fluviale Forni - Ampezzo - Socchieve fu abbandonato – si potrebbe dire “tagliato fuori per sempre” – e il nuovo percorso si stabilizzò. Le acque del “nuovo” Tagliamento lentamente, ma inesorabilmente, ne avrebbero scavato il fondovalle sempre più in profondità. Oggi la paleo-valle (abbandonata) di Ampezzo risulta sopraelevata di oltre 300 m rispetto al “nuovo” corso del Tagliamento. Resta come silenziosa testimonianza di un’eclatante cattura fluviale.
Fig. 7 – La figura schematizza l’abbandono del tragitto seguito anticamente dal Tagliamento e sviluppato verso Ampezzo. La X individua il punto di cattura fluviale; ad essa ha fatto seguito un marcato approfondimento erosivo. La paleo-valle di Ampezzo, ormai priva di acque superficiali (se si eccettua il transito del Torrente Lumiei che ne lambisce l’estremità orientale), ospita uno spesso deposito di conglomerati: rappresentano le originarie ghiaie un tempo accumulate dal Tagliamento durante il suo passato transito.
Il secondo episodio ci conduce a Cavazzo, nei pressi del più conosciuto paese di Amaro (Fig. 5). Superato Tolmezzo, l’attuale tragitto del Tagliamento rasenta il paese di Amaro e, in corrispondenza di Stazione per la Carnia, si arricchisce delle acque del Fiume Fella. È proprio lì, ormai alle porte di Venzone, che il suo corso ha virato deciso verso Sud, con un’ardita curva a 90°. Quasi fosse stato in grado di percepire che da quel punto, in lontananza, poteva scorgere uno scorcio di pianura, transito obbligato verso la meta adriatica (Fig. 8). Tutti giureremmo che nel settore di Amaro, i 5 km lineari di ampio transito del Tagliamento tra le mute e rassicuranti presenze dei Monti Amariana da un lato e Festa (-San Simeone) dall’altro, rappresentino un’eredità primordiale che da sempre ha fatto parte del suo percorso montano. Ovvero un tragitto scelto, fin dall’inizio dei tempi, dalle piogge che copiose cadevano su questi territori. Inciso, allargato e approfondito sì, ma mai mutato da quando – oltre 20 milioni di anni fa – questi territori, grazie all’orogenesi alpina, si avviarono a diventare importanti contrafforti montuosi. Errore! Fino a pochi milioni di anni fa la versione più antica del Tagliamento superava Tolmezzo e, scorrendo letteralmente sopra l’odierna cittadina di Cavazzo, scendeva verso quello che oggi è l’omonimo lago. Soltanto all’altezza di Osoppo (e solo lì!) si univa con il Fiume Fella. I dati geologici raccontano che questo scenario era ancora attivo sicuramente intorno a 5 milioni di anni fa (v. Cap. Un tuffo nel passato più remoto). A quei tempi – e probabilmente per altri 3-4 milioni di anni – il M. Amariana e il M. Festa (- San Simeone) erano uniti da una serie di contrafforti rocciosi che in quella zona facevano ancora da deciso spartiacque tra i Fiumi Tagliamento e Fella (Fig. 8). In sostanza, per meglio comprendere, replicavano la situazione che oggi possiamo osservare tra il M. San Simeone e il M. Brancot, collegati dai bassi rilievi rocciosi situati tra Invillino e Bordano.
Fig. 8 – Il confronto tra la situazione idrografica attuale (riquadro in alto a destra) e quella del passato, ci suggerisce che la confluenza tra Tagliamento e Fella si è spostata verso monte di 12 km. Sicuramente fino a 5 milioni di anni fa la zona di Amaro ospitava una serie di rilievi rocciosi che collegavano il M. Amariana al massiccio del Monte Festa.
Si può aggiungere che, con ogni probabilità, per il diaframma roccioso di Amaro dovette iniziare una vita di tribolazioni quando sul palcoscenico alpino fecero l’ingresso le periodiche coperture glaciali quaternarie (ultimi 2,6 milioni di anni). Inoltre, l’ammasso roccioso era già compromesso da una concentrazione incredibile di faglie e fratture, scomoda eredità delle compressioni alpine. Contro queste rocce super-fratturate si accanirono periodicamente due poderose lingue glaciali formate da masse di ghiaccio spesse circa un chilometro e mezzo, in perenne lento movimento. Tanto da Ovest (Valle del Tagliamento) quanto da Est (Valle del Fella) convergevano su di esso. Il diaframma roccioso, largo e articolato, presumibilmente resistette alla compressione delle prime ondate glaciali, favorendo per entrambi i ghiacciai la brusca deviazione verso Sud. Tale situazione li portava ad unirsi nella zona di Osoppo, dove generavano un’unica grande lingua glaciale. Al ritiro e scomparsa dell’ennesima coltre di ghiacci (non è dato di sapere di quale si trattò, delle quattro o sei che interessarono le Alpi) non restò che il ricordo di quei rilievi rocciosi che, nella zona di Amaro, per milioni di anni avevano collegato il M. Festa (- San Simeone) al M. Amariana. L’invito morfologico era stato tracciato. Il Tagliamento colse al volo l’occasione riversandovi le proprie acque. Fu così che abbandonò la vecchia direttrice di Cavazzo, oggi nota solo a chi si interessa di “cose geologiche”. Per imbatterci nel terzo episodio di cattura fluviale ci lasceremo trasportare dalle acque del Tagliamento oltre il paese di Osoppo, sede dell’antica confluenza con il Fiume Fella (v. Cap. Un tuffo nel passato più remoto). Ci fermeremo 7 km più a valle davanti all’abitato di Cimano, collocato in sinistra idrografica (Fig. 9). Proprio lì, al centro di un alveo fluviale ghiaioso che supera il chilometro di larghezza, si staglia un isolotto coperto di vegetazione stabilizzata. Il suo nucleo è costituito da un contrafforte roccioso (il Baluardo di Cimano), formato da prevalenti arenarie, marne e conglomerati generati nel lontano Miocene (intorno a 10 milioni di anni fa), poi sollevati e resi quasi verticali dalle compressioni alpine. È alto una ventina di metri sulle alluvioni mobili del Tagliamento; ha una forma allungata e stretta (300 m x 80 m) e si dispone pressoché perpendicolarmente ai deflussi. Il fiume con le proprie acque lo lambisce, avvolge e supera agevolmente, risparmiandolo dagli affronti delle sue piene più imponenti.
Fig. 9 – Nel Tagliamento, al centro dell'alveo, emerge un contrafforte di rocce mioceniche disposto trasversalmente alla corrente: il Baluardo di Cimano. È ritenuto il residuo di un ben più vasto affioramento roccioso che faceva tutt'uno con il M. di Ragogna e i vicini rilievi di Susans (tutti di età miocenica), saldandosi anche alle rocce che sovrastano Cornino, in destra Tagliamento.
Un tempo, prima della fusione dei ghiacci würmiani (18.000 anni fa), formava tutt’uno con il nucleo del M. di Ragogna e i rilievi rocciosi di Susans, sviluppati entrambi in sinistra idrografica. Sul lato opposto si saldava ai monti della destra Tagliamento (Fig. 10). Ne scaturiva un modesto, ma ampio contrafforte roccioso: un limite di per sé invalicabile per le acque superficiali. Il corso dell’antico Tagliamento ne risentiva, tanto che – da sempre – fluiva verso Sud-Est per aggirare l’ampio, seppure non elevato, promontorio roccioso. Fino ad allora scorreva dunque alcuni chilometri a Est dell'odierna San Daniele, mentre oggi transita a Ovest della cittadina (Fig. 10). Eppure questo è solo l’inizio della storia. Il meglio (ma sarebbe stato “il peggio” per… il Torrente Arzino!) doveva ancora venire. Noi oggi osserviamo il Tagliamento che, 8 km a valle del Baluardo di Cimano, attraversa con decisione la Stretta di Pinzano. Una gola in roccia, larga appena 100 m. Teniamo presente che l’attuale alveo di piena del Tagliamento, tanto immediatamente a monte quanto appena a valle di questo angusto passaggio, supera costantemente il chilometro di larghezza. Diventa a questo punto interessante ascoltare ciò che ci racconta in merito la geologia di questo settore. Ed ecco la sorpresa sorprendente: la Stretta di Pinzano esisteva ben prima che, circa 15.000 anni fa… il Tagliamento se ne impossessasse! Si trattò di un vero e proprio atto di pirateria fluviale ai danni del Torrente Arzino. La gola rocciosa era stata incisa nella roccia da quest’ultimo, durante milioni di anni di caparbia insistenza erosiva. Inoltre, fino a quel momento l’aveva utilizzata in esclusiva. I dati di questo “scippo idrografico” sono conservati nella composizione dei sedimenti fluviali presenti appena a valle della Stretta di Pinzano.
Fig. 10 – La ricostruzione visualizza l'antico percorso del Tagliamento, valido fino all’affermazione dell'ultimo impulso glaciale, quello würmiano. DEM (Digital Elevation Model) elaborato da Antonella Astori su dati vettoriali forniti dalla Regione Aut. Friuli Venezia Giulia. Esagerazione verticale 12x.
Si possono “leggere” lungo la poderosa scarpata prodotta, ironia della sorte, dalle recenti erosioni del Tagliamento stesso tra gli abitati di Ragogna e Aonedis (Fig. 11). Una sorta di sua ingenua autodenuncia che ricorda l’Armando dell’omonima canzone di Iannacci!
Fig. 11 – Panorama sull’estesa incisione spondale che, da Ragogna ad Aonedis (3 km lineari), è stata prodotta dall'approfondimento erosivo del Fiume Tagliamento durante gli ultimi 15.000 anni circa. Oltre l'abitato di Aonedis l’altezza della scarpata cala riducendosi progressivamente. Vista dal Castello di Pinzano verso Sud-Est. Occorre precisare – ma solo per i più desiderosi di approfondimenti – che il bacino idrografico del Torrente Arzino, oggi affluente destro del Tagliamento, è da sempre formato da rocce che hanno età da triassica media a miocenica. Al contrario, il Tagliamento attraverso i suoi numerosi affluenti sinistri, altrettanto da sempre si arricchisce di frammenti molto più antichi, addirittura del Paleozoico. Torniamo allora a considerare quello che anche il profano di “cose geologiche” può riconoscere nella Scarpata di Aonedis (o di Ragogna, come anche è definita): una vera meraviglia della Natura (Fig. 12). All’osservatore più attento non sfuggirà la differenza di colore che, semplificando, divide la scarpata fluviale in due porzioni sovrapposte. Ocracea quella inferiore e più grigia la superiore. Nascondono storie e origini molto differenti. Rendersene conto è come spalancare all’improvviso una finestra ed illuminare una stanza colma di ricordi, rimasta per anni nella penombra. Nella parte inferiore della scarpata i ciottoli e i granuli, riuniti in strati orizzontali, sono stati erosi e strappati a rocce considerate geologicamente recenti o al massimo vecchie (mai più del Triassico medio). Invece, nella parte superiore, i depositi si arricchiscono improvvisamente anche di ciottoli originati dall’erosione di antichissime rocce paleozoiche, presenti solo verso i confini con l’Austria. Tali tipologie di ciottoli e granuli non sono presenti nei depositi inferiori della scarpata. E non è un caso che il Torrente Arzino, assieme ai suoi modesti affluenti, abbia le proprie sorgenti nelle Prealpi Carniche, dove le antichissime rocce paleozoiche sono del tutto assenti. Da sempre.
Fig. 12 – La Scarpata di Aonedis, 56 m di altezza. L'erosione è dovuta all'approfondimento del Fiume Tagliamento e si è attuata negli ultimi 15.000 anni circa, dopo il ritiro della grande lingua glaciale würmiana e successivamente alla scomparsa del vasto paleo-Lago della Piana di Osoppo, sostituitosi inizialmente ai ghiacci.
Al contrario, il Tagliamento da quand’è nato (molti milioni di anni fa) affonda i propri affluenti settentrionali – Fella, Bût, Degano – nelle rocce paleozoiche. Queste rocce da sempre lo riforniscono di ghiaie particolari, corredate di ciottoli inconfondibili. Ecco la luce illuminante: non potevano essere state le acque del Tagliamento a trasportare e abbandonare in questa posizione i depositi inferiori della scarpata. Da qualche migliaio d’anni il Tagliamento lambisce questi depositi facendoci credere d’essere l’artefice di tutto. Falso! Come conseguenza ovvia, dobbiamo allora dedurre che per la Stretta di Pinzano fino a un certo momento geologico il Tagliamento non doveva o non poteva transitare. “Ma – ci si chiede allora – chi avrebbe generato la Stretta di Pinzano (- Ragogna)?” Sembra incredibile, ma la dobbiamo all’oscuro lavorio erosivo del solo Torrente Arzino (Fig. 13), che per molti milioni di anni è stato l’unico corso fluviale ad attraversarla, incidendola e… modellandola dal nulla. Ci sarebbe allora da domandarsi anche: “Chi o cosa, per così lungo tempo, è riuscito a tenere lontano il Tagliamento (assopigliatutto!) dal capolavoro d’incisione creato dal Torrente Arzino?” Noi la risposta la conosciamo e sappiamo che si trova presso Cimano, proprio al centro del suo attuale, ampio alveo ghiaioso. Quel ridotto, residuo moncone di roccia – il Baluardo di Cimano – oggi ci narra di tempi passati in cui, fino a circa 20.000 anni fa, era ben più ampio e ancora in grado di unire il Monte Prât ai rilievi di Susans e Ragogna, obbligando il Tagliamento a scorrere verso Majano (Fig. 10). “E i depositi superiori della Scarpata di Aonedis?” A dire il vero non sono dei veri e propri depositi fluviali, ma… fluvio-glaciali. Ossia scaturivano dalla lingua glaciale tilaventina che per molte migliaia di anni (fino al suo ritiro e fusione, iniziati circa 18.000 anni fa) avrebbe in seguito coperto il settore tra Flagogna, Majano e Tricesimo. La composizione delle relative ghiaie indica che sotto i ghiacci le rocce di Cimano si stavano già sgretolando, perdendo la loro funzione di… saracinesca idraulica! Le acque di fusione che distribuivano i propri detriti oltre la fronte glaciale, oltre la Stretta di Pinzano erano già acque “tagliamentose”, ricche in ciottoli paleozoici.
Fig. 13 – Queste cascate, incise nelle rocce triassiche superiori dalle acque limpidissime dell'alto corso del Torrente Arzino, potrebbero richiamare l'inizio della formazione della Stretta di Pinzano. Gola rocciosa scavata, ad opera dello stesso Arzino, in rocce più recenti, di età miocenica. L’iniziale stadio di approfondimento erosivo dovrebbe essere avvenuto intorno a 7-6 milioni di anni fa.
I cambiamenti morfologici diventarono evidenti al ritiro dei ghiacci würmiani mostrando, presso Cimano, un diaframma roccioso ormai irrimediabilmente eroso e mutilato dai transiti glaciali. Tutto questo consentì poi al Tagliamento di considerare il Baluardo di Cimano come un semplice bruscolino morfologico da aggirare con noncuranza, incanalandosi trionfalmente verso la Stretta di Pinzano. Con un vero e proprio atto di bullismo idrografico relegò il Torrente Arzino a proprio affluente. Un’autentica inversione dei ruoli che non tutti conoscono. Manca ancora un ultimo tassello per completare il quadro evolutivo. Il collegamento alla situazione attuale. Quando il Tagliamento ha preso a scorrere come fiume verso e oltre la Stretta di Pinzano, ha mostrato il suo lato più irruento ed esuberante: quello erosivo. Da allora (meno di 20.000 anni fa) non ha fatto altro che scavare e incidere i depositi accumulati da millenni, strato su strato, appena oltre la Stretta di Pinzano. Quasi a voler mostrare i muscoli a quell’Arzino, iniziale artefice della ripida incisione in roccia ormai scippata con destrezza attraverso un’azione di pirateria fluviale da manuale. Il risultato più eclatante di questa fase erosiva è proprio l’incredibile, suggestivo salto morfologico improvviso, alto 56 metri, affacciato sull’attuale greto del Tagliamento. Una scarpata erosiva che in sponda sinistra corre da Ragogna ad Aonedis come un poderoso muro a tratti quasi verticale (Fig. 11).
Fig. 14 – Affiancata all'alveo ghiaioso del Tagliamento, la Scarpata di Aonedis appare in tutta la sua valenza geologica e potenza estetica. L'erosione recente, operata dalle piogge battenti, vi ha modellato fitti pinnacoli scolpiti nei depositi inferiori. Sono composti di sabbie, fanghi e più rari livelli di conglomerato tenace. Depositi a suo tempo distribuiti dal Torrente Arzino parecchie decina di migliaia d'anni fa.
E dove le recenti erosioni la privano della diffusa copertura vegetale, come accade nei pressi dell’abitato di Aonedis (Fig. 14), essa stessa diventa uno scrigno aperto sul passato prossimo della nostra Regione, sempre incredibilmente ricca di tracce di ogni genere. Come scrive Jurij Cozianin a proposito di questa magica esposizione: “Muta testimone di innumerevoli eventi naturali e storici, la meravigliosa scarpata fluviale che si ammira a Ragogna è parte integrante dell’ecosistema del Tagliamento, assolutamente degno di essere candidato dalla nostra Regione e dall’Italia a patrimonio mondiale dell’Umanità, ovvero dell’UNESCO. Il modo migliore per preservarlo da ogni eventuale, maldestro ed interessato intervento umano”. L'artefice unico della profonda forra incisa nelle rocce mioceniche che fanno da spalla al Ponte di Pinzano fu dunque il Torrente Arzino. Questa particolare cattura fluviale lo ha relegato a semplice affluente del Tagliamento, impostandone la confluenza un paio di chilometri a monte della Stretta omonima (Fig. 5). Una cattura fluviale tanto incredibile e affascinante, quanto difficile da individuare a motivo della sua abilità a mascherarsi durante tutte queste migliaia di anni!
Fig. 15 – Le acque turchesi del Tagliamento riprese nel suo tratto montano più distale (segmento Cornino-Cimano), ormai in prossimità della transizione all’alta pianura. Acqua e ghiaia: due insostituibili protagoniste su questo palcoscenico fluviale. Sono capaci di valorizzarsi a vicenda: le ghiaie esaltano la limpidezza delle acque, mentre le lame liquide rivelano la magnificenza degli infiniti ciottoli.
Frane e laghi estinti
Nel medesimo, esteso segmento fluviale montano – circa 1/3 della sua lunghezza complessiva – si sono verificati cospicui eventi franosi. Scalzando enormi porzione rocciose dai versanti vallivi, temporaneamente e a più riprese hanno bloccato i deflussi del Tagliamento generando degli invasi lacustri, tutti ormai estinti. Tra i laghi naturali (tutti ormai scomparsi) originati lungo il corso montano del Tagliamento per improvvisi franamenti dei versanti in roccia che ne bloccarono i deflussi, si segnalano l'antichissimo paleo-Lago di Osoppo-Braulìns, risalente a più di 5 milioni di anni fa (v. Cap. Un tuffo nel passato più remoto); il più recente paleo-Lago di Forni di Sotto, datato a quasi 10.000 anni fa, e quello di Borta, generatosi il giorno di ferragosto del 1692 (Fig. 16). L’accumulo di frana è la tipologia di sbarramento lacustre più diffusa, anche se non l’unica. A questo proposito è sufficiente citare il vasto paleo-Lago della Piana di Osoppo. A generarlo fu lo sbarramento dei deflussi del Tagliamento da parte di un ampio accumulo morenico frontale. Naturalmente il tutto avvenne al ritiro dei ghiacci würmiani. A tal proposito si potrebbe citare anche il Lago di Ragogna, che ancora sopravvive come limitato specchio lacustre generatosi tra due archi morenici al ritiro della grande lingua glaciale tilaventina, circa 18.000 anni fa. A differenza delle altre ragioni di formazione degli invasi lacustri naturali, lo sbarramento per frana è sempre improvviso e in grado di creare laghi anche di estese dimensioni a motivo di accumuli che possono di norma raggiungere e superare i 100 m di altezza. Tornando al Tagliamento e ai laghi estinti generati lungo il suo corso a causa di improvvise frane, diventa utile risalire il suo tratto montano raggiungendo Forni di Sotto. Appena a monte della cattura fluviale trattata in precedenza (Figg. 6 e 7), un allargamento della valle ospita il paese e ne agevola la viabilità. Entrambi sfruttano la presenza di estesi depositi recenti, accumulati dopo il ritiro dei ghiacciai. Ne sono diretta testimonianza le ampie ed estese aree a deboli pendenze che caratterizzano l’intero fondovalle, delimitato da impervi e scoscesi massicci, in parte dolomitici. Sono i geologi a raccontarci che le superfici prative di Forni di Sotto, a tratti coperte da boschi spontanei, sono organizzate “a gradoni”, ovvero sono il recente risultato dell’attività di approfondimento erosivo del Tagliamento. Un’erosione sviluppata a spese di spessi depositi postglaciali. “Ma di quali depositi si tratta?”. Domanda lecita, perché dalle risposte potremo dedurre molte cose. Ancora una volta attingiamo le notizie da quanto i geologi hanno scoperto. Innanzitutto che questi depositi hanno un’origine deltizio-lacustre e sono spessi circa 150 m. Poi, dato altrettanto significativo, che 10.000 anni fa (età ottenuta tramite le analisi del 14C contenuto in alcuni tronchi sedimentati assieme ai depositi lacustri) si stavano già depositando sul fondo del lago.
Fig. 16 – Intorno a 10.000 anni fa la frana del Clap di Lavres, bloccando i deflussi del Tagliamento, ha generato il Lago di Forni di Sotto. A dire il vero si tratta di un paleo-lago, in quanto oggi non v’è più traccia dell’invaso lacustre, pur restando sul posto i depositi del suo riempimento, muti testimoni. Sono depositi deltizio-lacustri che il Tagliamento, una volta estinto il lago, ha pensato bene di incidere in profondità scavandovi i cosiddetti “terrazzi”: morfologie a gradoni, segno distintivo di un transito fluviale.
C’è dell’altro. A dire il vero non tutti i depositi sono di tipo deltizio-lacustre. Dove la vallata si restringe (verso il punto dell’antica cattura fluviale), sotto una fitta vegetazione spontanea è ancora presente un potente accumulo di frana stimato in 50 milioni di m3 (Fig. 16). Si staccò dalle pareti dolomitiche e calcareo-dolomitiche del Clap di Lavres e precipitando nel fondovalle bloccò i deflussi del Tagliamento. Ne scaturì un esteso invaso lacustre, profondo più di 100 m e con superficie di almeno 3 km2. Già presente circa 10.000 anni fa, non è possibile stimarne la durata effettiva. La sua estinzione invece potrebbe risalire a due cause alternative. Per riempimento e trasformazione in una piana fluviale, oppure per una piena più violenta delle altre che ha alzato il livello del lago oltre la soglia dell’accumulo di frana. In entrambi i casi la discesa rapida delle acque lungo il fronte esterno della frana ha generato una rapida erosione regressiva (“a gambero”, verso monte) che ha scavato i depositi deltizio-lacustri sagomandoli a gradoni (terrazzi fluviali). Nel caso della Frana di Borta, ad essere bloccati per oltre un secolo furono i deflussi del Tagliamento montano nel suo tratto di più recente formazione: quello acquisito attraverso la cattura fluviale di Ampezzo commentata in precedenza (Figg. 6 e 7). Il relativo accumulo di frana, ancora intatto sul posto, seppellì tragicamente l'omonimo paese coi suoi 53 abitanti.
Fig. 17 – Frana di Borta, presso Caprizi (UD). A - Situazione pre-franamento. B - Situazione di poco successiva allo scivolamento di un costone roccioso dal M. Auda nel Tagliamento. Sotto - Ricostruzione dell’invaso lacustre prodotto in seguito al blocco dei deflussi del Tagliamento. (Da Cavallin & Martinis, 1974; modificato).
Si trattò di un cedimento in roccia (dolomie noriche) dal M. Auda, lungo il versante destro della vallata. Sono state ricostruite le condizioni pre- e post-frana grazie a due distinte cartografie originali del XVII sec. (Fig. 17), effettuate la prima in condizioni di stabilità e la seconda dopo pochi mesi dall’evento. Attraverso le testimonianze scritte e i dati cartografici sull’accumulo di frana (altezza massima di 140 m sull’alveo del Tagliamento), i geologi hanno ricostruito la lunghezza complessiva dell’invaso, che si estendeva linearmente per più di 5 km. Il relativo riempimento fu parziale, con spessori compresi tra 20 e 40 m. Una piena fluviale più intensa delle precedenti superò l’ostacolo di frana e prendendo velocità innescò una rapida erosione regressiva nella porzione centrale dell’accumulo – ovvero “a gambero”, verso monte – ripristinando i deflussi del Tagliamento. C’è un’evidente similitudine tra le condizioni del M. Auda e del M. Toc (frana del Vajont). In entrambi i casi gli assetti a franappoggio del versante hanno predisposto i relativi cedimenti ed entrambi gli eventi sono stati preceduti da un intenso periodo piovoso. E il parallelo si ferma qui. Il tratto dell’alta pianura
All'uscita dalle Prealpi, oltre la Stretta di Pinzano, il Tagliamento si fa protagonista assoluto (Fig. 18). Da qui in poi sarà riconosciuto come Tiliment la cui pronuncia, molto più dolce del precedente Taiament (Tajament), questa volta evoca il suo placido scorrere – perlomeno in tempi di magra fluviale – in compagnia delle infinite barre ghiaiose immerse in panorami quieti ed aperti. Finalmente in pianura, il fiume utilizza i vasti spazi a disposizione per mostrare il meglio di sé: l’alveo ghiaioso.
Fig. 18 – La caratteristica configurazione a canali intrecciati (braided river) del Tagliamento, nota distintiva del tratto fluviale dell'alta pianura (Pinzano - Varmo). L'assetto intrecciato è già presente anche a monte di Pinzano, nel tratto cosiddetto montano. I due paesi sullo sfondo dell'immagine sono rispettivamente Pinzano (a sinistra) e Ragogna, separati dal corso del Tagliamento che transita in corrispondenza della Stretta di Pinzano.
Oggi la sua larghezza può raggiungere i 2 km, in un recente passato storico superava i 3 km. In tempi di magra è solcato da infiniti intrecci di acque, linfa perenne per irrigazioni e fonte inesauribile di ispirazione liriche. Intrecci dovuti tanto all’abbandono di barre ghiaiose generate sul fondo del letto fluviale durante le piene, quanto alle successive erosioni prodotte su quelle stesse barre al calare della piena e durante l’affermazione del successivo regime di magra (Fig. 19). Ne scaturiscono morfologie a canali e isole effimere delle dimensioni più varie, dove l’attecchire della vegetazione può nel tempo propiziare un particolare ecosistema fluviale.
Fig. 19 – Giochi di ombre e riflessi durante un tramonto sul Tagliamento, tra Pinzano e Spilimbergo. Una barra ghiaiosa, in origine continua, è smembrata dalle erosioni fluviali e trasformata in piccole isole effimere. Può rappresentare un modello in scala ridotta del motivo a canali intrecciati. In questo segmento centrale il Tagliamento per quasi 50 km scende veloce e quasi rettilineo verso la bassa pianura. Nel precedente tratto montano il fiume ha riservato gran parte delle sensazioni che è capace di trasmettere a coloro i quali ne hanno ascoltato e percepito l’evoluzione recente. Sono state le catture fluviali che ha architettato e realizzato nel tempo e nello spazio ad avere stupito chi ne ha frequentato, anche solo virtualmente, i percorsi. Sono stati i laghi ormai estinti, invisibili testimoni del suo passato recente, ad avere affascinato chi ne ha esplorato il greto e le rive.
Fig. 20 – La profonda incisione (56 m) operata dal Fiume Tagliamento a valle della Stretta di Pinzano consente di affacciarsi, ammirando dall’alto, il suo largo alveo ghiaioso solcato, durante la fase di magra, dai caratteristici canali intrecciati. Sulla sinistra si intravede la terminazione della estesa Scarpata di Aonedis (Fig. 14).
Al contrario, in questo tratto definito dell’alta pianura le cose cambiano. Non occorre più conoscere le vicende passate del fiume per restare attratti e coinvolti dalle sue storie. Qui è l'alveo stesso che ammalia il visitatore con i suoi contrasti multipli e vari. Percorrendone gli ampi spazi ci si sposta rapidi tra distese di ghiaie silenziose, spesso assolate. I miliardi di ciottoli, come infiniti occhi immobili, sembrano guardarci fissi, quasi consapevoli di essere a loro volta osservati.
Fig. 21 – Sopra: il Ponte di Pinzano che collega le due sponde rocciose dell'omonima Stretta (vista da Sud). In basso a sinistra: vista dal ponte verso settentrione; il paese in primo piano è Flagogna. In basso a destra: panorama dal ponte sull'alta pianura. A breve distanza dalle infinite superfici ghiaiose il silenzio che le avvolge e permea sfuma e sparisce, sommerso dal fluire sonoro di un’ampia striscia d’acqua. È il ramo principale di quel reticolo di canali di magra che col suo intercalarsi valorizza e amplifica i pregi e i caratteri delle aride superfici emerse, vestigia di quelle effimere e mutevoli barre fluviali un tempo subacquee (Figg. 21 e 22). L'acqua dei canali bagna le ghiaie sommerse, regalando loro nuovi e più vivi colori. Si scoprono così, tra i sassi delle rive, miniature di effetti impensabili. Dove corre l'acqua l'accompagna il suono del suo muoversi perenne. Sempre presente e mai interrotto, nemmeno per un istante, da quando – intorno a 20 milioni di anni fa, durante i parossismi delle grandi compressioni crostali – presero a sollevarsi con forza i contrafforti alpini carnici. Da quando, con altrettanta forza, le piogge ricorrenti scrosciando su quelle nuove superfici iniziarono a scegliersi una via, un tragitto, un solco da approfondire ed allargare per scendere rapide verso il Mare Adriatico del tempo. C'è un altro suono che il Tagliamento ci regala. Per ascoltarlo dobbiamo abbandonare il greto ghiaioso e necessariamente trasferirci sulle sponde sopraelevate del fiume, a distanza di sicurezza. È il rumore che genera durante le sue periodiche piene, invasioni fluide talvolta devastanti. Un rumore sordo e continuo, non privo di poesia. Una sorta di tuono liquido che non si limita a raccontare il vorticare delle proprie acque, scure di sabbie e limi portati in sospensione. Accanto a quel primordiale rombo, continuo e persistente, modulato su un’unica nota, c’è dell’altro. Ad esso si affianca e sovrappone un suono singolare, insolito e inconsueto che pochi, tra i non geologi che mi leggono, sono mai riusciti a cogliere. È il suono prodotto dagli infiniti ciottoli che durante le piene fluviali vengono spinti, trascinati, urtati, strisciati tra loro sul letto sommerso del fiume. Miliardi di elementi sospinti e arrotondati, mossi dalla primordiale forza dell’acqua corrente.
Fig. 22 – Il flusso principale del Tagliamento nel suo tratto a canali intrecciati. Nelle due immagini la corrente fluviale ha inciso una barra ghiaiosa (70 cm di scavo) che, abbandonata al calare dell’ultima piena, in origine proseguiva verso destra estendendosi in continuità.
Vista, udito, tatto... Non basta. Nel tratto dell’alta pianura il Tagliamento sa conquistarci anche con l'olfatto. Sperimentatelo d'estate, quando le sue acque sono particolarmente limpide, quasi di cristallo, con un inquinamento minimo rispetto agli altri fiumi d'Italia. Immergetevi allora – in condizioni di sicurezza – lì dove uno dei canali di magra di ridotta larghezza si muove calmo, esibendo un colore blu che a distanza ravvicinata si fa turchese. Mentre vi lasciate lentamente trasportare dalla corrente, accompagnati da uno sciabordio delicato che per un istante vi trasforma in zattera fluviale, chiudete gli occhi. Ora, aspirate con intensità l’aria a contatto con quell’acqua trasparente. Personalmente, ogni volta mi inebria un sottile profumo fruttato di anguria e mele acerbe. Infine, uscendo dall’acqua, sostate sulle ghiaie assolate delle barre emerse e disponetevi ad odorare anche quelle. Urtate fra loro due ciottoli qualsiasi e aspirate a piene narici. Percepirete il profumo del tempo. Un odore di roccia nato decine, centinaia di milioni di anni fa che voi stessi ora state per la prima volta liberando. Vista, udito, tatto, olfatto... Manca solo il gusto. Nessun problema: è previsto anche quello. È rappresentato in massima parte dai sapori di una cucina locale che utilizza i prodotti agricoli della limitrofa pianura. Quella pianura mantenuta vitale da una fitta rete di canali artificiali derivati dalle stesse acque del Tagliamento – e della sottostante falda – che ne assicurano la costante irrigazione. Nell’alta pianura, per trovare indizi in grado di trasmettere anche la storia passata del Tagliamento (fino a non oltre 15.000-20.000 anni fa, nell’istante in cui lo stesso con un abile colpo di mano si appropriò della Stretta di Pinzano sottraendola al Torrente Arzino) dobbiamo uscire dal suo alveo di magra e allontanarci da esso, vagando nella circostante pianura alla ricerca di indizi. Il primo e più recente di questa serie di segnali potrebbe essere evidente a chi, come me, ha ormai una certa età e una frequentazione prolungata nel tempo del territorio. Per i più giovani invece è sufficiente un confronto cartografico tra i rilievi topografici del passato (anni ’50 del secolo scorso) e quelli attuali, ovvero cercando le serie storiche delle riprese satellitari. Nel volgere di nemmeno un secolo in molti tratti del suo corso la larghezza dell'alveo si è quasi dimezzata, passando da quasi 2 km a meno di 1 km (Fig. 23).
Fig. 23 – Segmento centrale del tratto dell’alta pianura. I limiti segnati con linea gialla continua individuano l’ampiezza dell’alveo ghiaioso attivo intorno agli anni ’50 del secolo scorso (e precedenti). Nelle zone ormai abbandonate dal transito della corrente solo le porzioni più esterne sono in parte coltivate. Si riconoscono (tra Flaibano e Rivis, al centro e in alto) per la loro parcellizzazione catastale, molto differente da quella del limitrofo settore di pianura.
Allontanandosi dall’alveo attuale e allargando lo sguardo all’intera alta pianura friulana sono i geomorfologi, con i loro studi specialistici, ad illustrarci come il Tagliamento, valutato a scala plurimillenaria, si dimostri un corso fluviale tutt’altro che statico ed immobile, anche nell’ambito del suo percorso di pianura. Effettivamente c’era da aspettarselo che un fiume, in mancanza di regimazioni idrauliche, ad ogni violentissima piena (in genere a cadenza plurisecolare o addirittura millenaria) subisca sfondamenti degli argini naturali, cambiando anche in modo radicale il proprio percorso e le aree di relativa influenza. Ricordiamo che talvolta il richiamo delle acque può essere favorito anche da una generale tendenza all'abbassamento (subsidenza) di certi settori di pianura rispetto ad altri. Quello odierno dunque è solo il più recente dei percorsi scelti dal medio Tagliamento durante gli ultimi 15.000-20.000 anni (Fig. 24). Di sicuro, c’è da scommetterci, non sarà nemmeno l'ultimo. A meno che l’Uomo, anche col Tagliamento dell’alta pianura, non voglia agire incatenandolo nella posizione attuale, nella volontà di trasformare il film dinamico della sua evoluzione in una fotografia statica, a tutela di un territorio vocato all’agricoltura e all’insediamento. Del resto è così che si formano le pianure: attraverso fiumi vagabondi che, cambiando tragitto nel tempo, distribuiscono su vaste aree il loro carico solido. Ricordiamo sempre che le pianure, tutte le pianure, sono le figlie legittime dei propri fiumi.
Fig. 24 – Il disegno a sinistra sintetizza la situazione idrografica di circa 22.000 anni or sono, in pieno acme glaciale würmiano. Dà soddisfazione osservare che il Fiume Po del tempo avrebbe potuto essere considerato il... maggiore affluente del Tagliamento! Dato il generalizzato calo del livello marino globale (oltre -120 m) causato dalla glaciazione allora in atto, la linea di costa dell’alto Adriatico era migrata verso Sud, tra Ancona e Pescara. Sulla destra sono indicati i principali percorsi del Tagliamento, dal Tardiglaciale (circa 18.000 - 12.000 anni fa) ai tempi storici. (Da Fontana, 2006; Surian & Fontana, 2017; modificato e semplificato).
Lungo l’alta pianura il transito del Tagliamento discrimina territori che da sempre in lingua friulana sono segnati dalla fisicità del suo elemento acqua: di ca da l'Aghe, di là da l'Aghe. Dove con Aghe – concreta sineddoche – si intende il Fiume, fattosi magicamente femminile come le sue esoteriche abitatrici. Quelle Agane che nei suoi recessi vegetati ne sono da sempre le emanazioni più vitali (Fig. 25). E come non scorgere nel caratteristico infinito intreccio di canali che caratterizza questo primo tratto di pianura, un’enorme e lunga treccia di una sensuale Agana, annodata al limite delle Prealpi e appoggiata sugli aperti e sconfinati spazi che conducono al mare…
Fig. 25 – Le Agane o anche Angane – Aganis in lingua friulana – sono caratteristiche creature femminili legate indissolubilmente all’acqua e ai suoi ambienti torrentizi e fluviali. In Friuli la tradizione le rappresenta come ninfe acquatiche, in genere giovani, vestite sempre di bianco. A loro viene attribuito il potere di generare i sogni dei bambini. (Foto cortesemente concessa da Paolo G. De Maio). Il tratto della bassa pianura
È l'inclinazione della pianura stessa a decretare la fine del lungo tratto fluviale a canali intrecciati. Qui, ormai prossimi al confine tra Friuli e Veneto che il fiume stesso si incarica di demarcare, inizia a prevalere l’idronimo in lingua italiana: Tagliamento. Quella denominazione che, al pari delle altre adoperate nella lingua friulana, deriva dalla prima citazione latina di questo fiume di cui si ha conoscenza. Registrata nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio: Tiliaventum maius minusque, lascia intendere la presenza, nella pianura friulana del tempo (I sec. d.C.), di due rami fluviali distinti. Il passaggio di consegne fra il tratto dell’alta e quello della bassa pianura avviene nei pressi di Varmo, tra Morsano al Tagliamento e Rivignano, a Sud di Codroipo. Dove l’alta pianura cede il passo a territori meno pendenti – da circa 7-3 m a meno di 3-1 m di dislivello per ogni chilometro di spostamento – ecco che, come guidato dall’istinto (potenza delle leggi fisiche), il Tagliamento perde velocità e abbandona il proprio detrito grossolano: le ghiaie. Da lì prosegue poi col proprio carico meno gravoso: quelle sabbie e quei fanghi che ridistribuirà fino alla foce adriatica. Sono proprio le basse pendenze del territorio a favorire una completa, rapida metamorfosi del suo modo di essere fiume. Sparisce la treccia di canali, si restringe l’alveo, si riuniscono e incrementano le acque, mentre parallelamente aumenta la sinuosità del corso. Tutto questo avviene per il calo di pendenza della superficie del territorio e per la diminuita porosità dei depositi della bassa pianura, non più in grado di favorire le abbondanti infiltrazioni caratteristiche del segmento dell'alta pianura.
Fig. 26 – Queste sono tra le prime barre di meandro che il Tagliamento forma e amplia nel suo percorso inferiore (tratto della bassa pianura). Interessante notare (foto a destra) che l'erosione della sponda esterna (in alto a sinistra) è stata bloccata da una scogliera spondale a massi, ben riconoscibile nell’immagine satellitare. Al contrario, l'erosione nel meandro successivo (in basso) sta progressivamente intaccando i campi coltivati. La situazione raffigurata è precedente ai lavori per la terza corsia dell’autostrada A4, visibile nella foto di destra. (Da Venturini, 2009, 2010; modificato).
Il Tagliamento ora si è fatto improvvisamente tutto curve e anse, i noti meandri (Fig. 26). Apparentemente statico, mostra invece una sorprendente vivacità se osservato alla scala dell'intera vita umana (ma a un attento e costante osservatore è sufficiente anche solo una decina d’anni di monitoraggio). Come una gigantesca biscia d'acqua si sposta sinuoso, cambiando lentamente il proprio percorso. Modifica incessantemente le sue curve (meandri) grazie a contemporanee erosioni, attive sulle sponde esterne, dove la velocità del flusso è maggiore, e deposizioni, abbondanti in quelle interne, dove la velocità della corrente tende a rallentare. Questo particolare dinamismo è ancora libero di agire fino alle porte di Latisana, lungo un segmento di quasi 20 km. Ne sono testimonianza i confini amministrativi fissati nel secolo scorso in corrispondenza del corso fluviale del tempo e ora completamente differenti rispetto al suo mutato percorso attuale (Figg. 27 e 28). Le sistemazioni idrauliche assecondano la necessaria tutela di un territorio di bassa pianura che si fa più densamente popolato e coltivato da qui a Lignano Sabbiadoro e Bibione. Due cittadine balneari, rispettivamente friulana e veneta, che hanno colonizzato in tempi molto recenti (anni ’50 e ’60 del secolo scorso) l’apparato deltizio e di foce del Fiume Tagliamento.
Fig. 27 – È solo da Latisana in poi che l’originario limite amministrativo e il percorso fluviale ancora coincidono quasi ovunque. Segno che una intensa regimazione fluviale (argini spondali) ne ha cristallizzato le potenziali migrazioni.
Fig. 28 – In questa immagine satellitare sono messi a confronto due percorsi del Fiume Tagliamento separati da meno di un secolo. Siamo nel territorio di Ronchis di Latisana, 15 km a Sud di Codroipo. È ben riconoscibile l’autostrada A4.
Sabbie sgretolate dalle montagne carniche e affidate al Mare Adriatico che le ridistribuisce ai lati della foce fluviale del Tagliamento, ad alimentare i vasti arenili destinati alla balneazione (Fig. 29). Essi stessi sono parte integrante di quel delta che, con la sua caratteristica forma arcuata (Fig. 30), testimonia la supremazia delle onde sugli apporti sedimentari.
Fig. 29 – Arenile di Lignano Sabbiadoro. In questa zona convivono la naturalità di un ambiente costiero dominato dalle dune eoliche parzialmente vegetate (fascia sinistra) e la vocazione turistica che, sulla destra (verso Nord-Est) le ha sostituite con la ricettività alberghiera che alimenta l’economia del territorio.
Da qui in poi il fiume si fa mare, distribuendo l’ultimo suo carico solido in Adriatico. Quelle sabbie e quei fanghi che trovano pace trasformandosi in nuovi strati. Granuli e particelle che un tempo appartenevano a successioni rocciose vecchie di decine e centinaia di milioni (!) di anni e che ora riacquistano una nuova esistenza geologica. Antichi pacchi di strati rocciosi, fratturati dalle compressioni crostali, sollevati dalle poderose spinte alpine, scardinati dalle continue erosioni torrentizie e glaciali, trasportati e affidati alle acque del Tagliamento. Infine frantumati, levigati e polverizzati dagli urti reciproci subiti durante le sue piene vorticose, ridistribuiti poi nella pianura – alta e bassa – e sui fondali dell’alto Adriatico il quale, selezionandone continuamente le sabbie, in parte le restituisce al litorale deltizio di Lignano e Bibione. Come in un gigantesco puzzle le cui tessere, disarticolate e mescolate, vengono poi ricomposte in uno spazio nuovo a formare un’immagine completamente differente.
Fig. 30 – La forma cuspidata dell’apparato deltizio del Tagliamento è legata alla prevalente energia del moto ondoso che, grazie alle frequenti mareggiate dovute ai venti sciroccali, è in grado di ridistribuire lungo costa il materiale abbandonato alla foce. Il delta si è formato durante gli ultimi 2.500 anni. Si ritiene possa essere stata la diretta conseguenza di una deforestazione della pianura (sviluppata specialmente dai Romani) che ha accelerato i processi erosivi fluviali con ridistribuzione verso valle dei materiali mobilizzati. Un tuffo nel passato più remoto
Tutto quanto appena descritto basterebbe per attrarre, coinvolgere e far sognare generazioni di appassionati. Schiere di entusiasti nei confronti del Friuli, dei suoi ambienti naturali, delle dinamiche fluviali che regolano le sue vie d’acqua, dell’evoluzione tanto abiologica quanto biologica dei suoi territori. Per quest’ultima non si sottovalutino i complessi e ricchi ecosistemi forestali, botanici e faunistici che questa striscia d'acqua, particolare e per molti versi unica, favorisce e alimenta, diversificandoli nei suoi quasi 180 km di percorso. Basterebbe, certo... Ma c’è ancora qualcosa che si aggiunge all’infinita serie di peculiarità che caratterizza questo piccolo grande fiume, spina dorsale della nostra Regione. Questa che sto per raccontarvi è la storia più remota e antica che il Tagliamento gelosamente custodisce lungo il suo corso. Un’eredità di conoscenza che si spinge oltre 5 milioni di anni fa con una serie di evidenze che, da sempre, sono sotto gli occhi di tutti coloro che transitano nei pressi di Osoppo e Braulìns, di fronte a Gemona. Occorre dunque abbandonare il delta, la bassa e l’alta pianura, e risalire il corso del Tagliamento fermandosi al Puint di Braulìns (con l’accento sulla i). Se fino a questo momento il nostro viaggio d’acqua ci ha mostrato, seppure in sintesi, la vita presente e il passato prossimo del Tagliamento, quest’ultima sosta è destinata a rivelarci la sua anima più profonda e nascosta, sondando quanto di più remoto questo fiume ha saputo tramandarci attraverso le nebbie del tempo geologico (Fig. 31).
Fig. 31 – L'abbondante vegetazione cela parzialmente delle rocce risalenti a circa 5 milioni di anni fa. Si sono accumulate in quello che già a quei tempi era un profondo solco vallivo. Lo aveva poco prima generato la coppia Tagliamento-Fella che in questa porzione di Friuli tendeva a scambiarsi i ruoli e le rispettive zone di influenza (Fig. 8). I numeri sugli affioramenti corrispondono a quelli del disegno sottostante (Fig. 32). Individuano le tipologie dei corrispondenti pacchi di strati e gli ambienti in cui si sono generati.
Fig. 32 – Il disegno a sinistra schematizza la situazione attuale dei depositi rocciosi di Osoppo e di Braulins, formatisi tra 5 e 6 milioni di anni fa. Un sistema di faglie recenti ha smembrato la successione rocciosa, un tempo continua (a destra). Inoltre, l’approfondimento erosivo recente del Fiume Tagliamento ha separato in due nuclei distinti quanto inizialmente formava un prisma roccioso unico che riempiva la vallata, a quei tempi presumibilmente non molto larga e profonda. Per la distribuzione sul terreno dei vari depositi cfr. Fig. 30. (Da Venturini & Discenza, 2010; modificato). È proprio ad Osoppo e nella vicina Braulìns che troviamo le vestigia di qualcosa di unico. Sono paragonabili, in campo archeologico, ai resti di Pompei, Ercolano e Oplontis, sepolti e conservati per due millenni da ceneri e lapilli. I rilievi rocciosi che oggi sovrastano i due paesi e che da essi prendono il nome (Colle di Osoppo e Rupe di Braulìns) sono oggi separati dal largo greto ghiaioso del Tagliamento. Ci troviamo nel segmento distale del suo tratto montano. Anche qui il corso fluviale esibisce un assetto intrecciato da manuale, nell’attesa di sfoggiarlo in grande spolvero nel tratto dell’alta pianura, oltre la Stretta di Pinzano. È la geologia di questi due contrafforti rocciosi a raccontarci che intorno a 5 milioni di anni fa il Tagliamento e il suo affluente Fella già passavano da queste parti, ancora pieni di esuberanza giovanile. Ma c’era un “ma”. Le rocce tenaci che si incontrano intorno e sopra all’abitato di Braulìns – sopraelevato di pochi metri sull’alveo del Tagliamento – un tempo erano tutt’uno con quelle del Colle di Osoppo. Tutto questo intorno a 5 milioni di anni fa. Se potessimo disporre di una “rappresentazione Google Earth" risalente al passaggio MiocenePliocene rimarremmo stupiti nel cercare di riconoscere il Mare Mediterraneo di allora. Poco più di 7 milioni di anni fa, nel tardo Miocene, dove oggi troviamo lo Stretto di Gibilterra esisteva ancora un braccio di mare molto ampio e articolato. Intorno a 7-6 milioni di anni fa, per una sinergia di cause (in gran parte dovute a compressioni crostali e conseguenti sollevamenti) i suoi fondali iniziarono ad emergere finendo col bloccare l’ingresso delle acque dal vicino Atlantico.
Fig. 33 – A sinistra: le piste fossili indicano spostamenti di mammiferi che percorrevano l’alveo fluviale ghiaioso-limoso alla confluenza tra il Tagliamento del tempo e l’antico Fiume Fella. Al centro e sulla destra: un’orma di bovide e due impronte di Hipparion, equide ancestrale.
La situazione diventò critica e, con alterne vicende, durò poco meno di un milione di anni rendendo il Mare Mediterraneo irriconoscibile. Durante questa crisi il suo rifornimento idrico fu affidato ai pochi grandi fiumi, tuttora esistenti: Nilo, Ebro, Rodano e Po, ognuno con i propri affluenti. Non bastarono. Ben presto l’evaporazione, non più equilibrata dagli afflussi, ebbe il sopravvento Da vasto mare interno il Mediterraneo si trasformò in una ghirlanda di laghi. Il livello dell'acqua calò sensibilmente, tanto che i grandi fiumi incisero in profondità i loro corsi per ricalibrarli alle più basse quote di foce. Fu così ad esempio che il tratto terminale del Nilo si scavò una valle fluviale stretta e profonda (ben 2,4 km di incisione!) documentata dalle “radiografie sismiche” effettuate in corrispondenza del Cairo. Oggi la paleo-valle è celata dai depositi del suo successivo delta. Un delta nato quando – 5,3 milioni di anni fa (inizio Pliocene) – il Mediterraneo ricominciò, come un’enorme vasca, a riempirsi nuovamente di acque atlantiche. Secondo alcuni studiosi questo accadde per una serie di movimenti crostali che fecero sprofondare il settore che oggi tutti conosciamo come Stretto di Gibilterra. Altri invece invocano la sola semplice erosione della soglia presente nella zona di Gibilterra da parte delle acque atlantiche; questo nel momento in cui, complice forse un generalizzato sollevamento del livello marino, le correnti oceaniche riuscirono ad oltrepassare le terre emerse che fungevano da momentanea soglia. Il Nilo non fu l'unico corso fluviale ad approfondirsi. È opinione condivisa da molti studiosi che gli stessi grandi laghi italiani (Maggiore, Como e Garda) abbiano occupato, dopo le recenti fasi glaciali, il fondo di antiche vallate fluviali approfonditesi proprio in ragione del calo generalizzato del livello marino mediterraneo, concentrato intorno a 6 milioni di anni fa. In effetti, i fondali rocciosi sui quali poggiano i sedimenti recenti presenti sul fondo dei grandi laghi alpini italiani giacciono qualche centinaio di metri sotto al livello marino attuale (Lago Maggiore -179 m; Lago di Como -228 m; Lago di Garda -281 m). Dati che fanno riflettere. Il Nilo, gli antichi solchi vallivi che oggi ospitano i grandi laghi alpini... e non solo. Possiamo aggiungere anche il Tagliamento! Le rocce di Braulìns e Osoppo – un tempo tutt’uno e datate intorno a 5 milioni di anni fa grazie alle piste fossili di mammiferi trovate impresse sugli strati della sommità del Colle di Osoppo (Fig. 33)– ancora oggi si appoggiano a un solco erosivo fluviale che come età di formazione giustamente deve averle precedute (Figg. 31 e 32). A quei tempi Tagliamento e Fella si incontravano ad Osoppo, zona di antica confluenza fluviale (Fig. 8). Può essere interessante notare che gran parte dei depositi di Braulìns e di Osoppo sono conglomerati di origine fluviale. Erano spessi almeno fino a 70 m (oggi sono penalizzati dalle erosioni recenti) e furono trasportati e abbandonati dai due maggiori protagonisti, allora come oggi, dell’idrografia friulana. Altrettanto degna di nota è la presenza di un’intercalazione di depositi lacustri (Figg. 31 e 32): sabbie e fanghi di fondo lacustre assieme a strati inclinati di conglomerato (le ghiaie oggi cementate) facenti parte di apparati deltizi che avanzavano da più direzioni (Fig. 34). Dalle evidenze presenti oggi sul territorio è possibile ricostruire la profondità minima dell’antico lago, superiore a 50 m, e magari azzardare anche le ragioni dell’improvvisa origine dell’invaso lacustre.
Fig. 34 – 1 - Estensione del paleo-Lago di Osoppo-Braulìns. In giallo gli apparati deltizi lacustri che, man mano diventavano zone emerse, fluviali e forse palustri, sulle quali si muovevano bovidi, equidi e piccoli rinoceronti (Fig. 33). 2 - Fase di riempimento del paleo-lago. Mentre nella porzione meridionale convergevano gli apporti fluvio-deltizi, verso Nord era ancora attivo il lobo deltizio di Braulìns. La vallata, molto più stretta e differente rispetto all’attuale situazione morfologica, poteva essere ancora facilmente intasata dall’accumulo di occasionali frane. Il termine foreset, presente nelle legende delle due ricostruzioni, indica i depositi deltizi che già all’origine si formavano inclinati e che, strato dopo strato, avanzavano ad ogni piena verso il centro del lago, colmandolo. (Da Venturini & Discenza, 2010). Una valle – e a quei tempi la nostra non doveva essere ancora molto larga, mancando le erosioni glaciali – quando subisce un rapido approfondimento erosivo fluviale deve fare i conti con versanti instabili che tendono a franare. L’intercalazione deltizio-lacustre sarebbe dunque un’ennesima testimonianza conservata lungo il Tagliamento odierno, di un vasto lago (ovviamente estinto) generato per accumulo di frana e momentaneo blocco dei deflussi. Questo dunque rappresenterebbe il più antico paleo-lago vallivo conservato lungo il suo corso fluviale! Col passare del tempo e con l'avvicendarsi delle erosioni fluviali alternate a quelle glaciali, la gran parte di quegli antichi depositi è stata spazzata via. Fra meno di un milione di anni sparirà anche questa irripetibile testimonianza, conservata tra Braulìns e Osoppo. Il suo destino è quello di essere irrimediabilmente cancellata dal proseguire inesorabile degli smantellamenti erosivi. Per ora continuiamo ad ascoltare con reverenziale stupore quanto ci comunicano queste incredibili rocce assieme ai resti dell’antica incisione fluviale miocenica alla quale, oggi come allora, ancora si appoggiano (Figg. 31 e 32) dandocene silenziosa testimonianza.
Il Tagliamento: un corso fluviale unico nel suo genere, da tutelare, preservare e valorizzare. Con il desiderio e la volontà di far conoscere e diffondere le sue multiformi ricchezze nel rispetto e nella consapevolezza del patrimonio ambientale che questo piccolo grande fiume rappresenta.
Fig. 35 – Il Tagliamento ripreso durante una piena a Ospedaletto di Gemona. Segmento distale del suo tratto montano.
Fig. 36 – Ancora un’immagine della Scarpata di Aonedis, una meraviglia naturale. Tratto dell’alta pianura (Ragogna). Lavori di riferimento
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