LA MÊ CJARGNA

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Paola FIOR, figlia del poeta Giso di Verzegnis, ha desiderato ricordare il padre attraverso la riproposizione di una raccolta delle sue poesie, significativamente intitolata "La mê Cjargna", dove il poeta esprime tutta la propria sensibilità e fa vibrare le sottili corde del suo animo, nella interiore ricerca dei significati più profondi e veri di Carnia.
Trascriviamo letteralmente la presentazione che nel 1985 fece Alfeo Mizzau (alias Feo di Bean, allora dean della SFF e consigliere regionale della DC di lungo corso) in occasione della pubblicazione della prima edizione, curata da Andreina Ciceri con importanti note linguistiche di Giovanni Frau:

Cjantâ ‘l Friûl: Gjso Fior in dute la so vite al à cjantât la nestre int, la nestre tiare. Lis mons, i prâs, i crets di Verzegnas e de Cjargne a' vevin, par lui, une lûs che no si cjatave in nissune atre part dal mont.
     Al à cjantât ‘l Friûl no parcé che al à tirât dongje suns e peraulis des vilotis de nestre int, ma parcé la sô anime — monde, gjenerose, bìele — come chê de Scriture di Debora, di Mosè, di Salomòn, 'e dave fûr la puisie naturâl dal nestri popul.
     Nô, chi vin vude la fortune di vêlu conossût, di vêlu sintût a dî lis sôs puisis, 'o savìn la fuarze ch'al veve cun sé: une fuarze fate di tante passiòn e di tante bontât.
     Podino nô, chei ch'a l’àn conossût, scrivi di lui cence vêlu di front cun chei granc' voi di frùt ch'a cjalavin in sù? cu la vôs ch'a cisicave tal lengàz di Verzegnas peraulis di amôr pe nestre tiare? cence ricuardâ la voe mate di cjapâlu a brazecuèl pal bon-fâ ch'al samenave, magari cence savê?
     Gjso al ere convint che il misteri de vite plui biel bisugnave lâ a cjatâlu ta lis robis pizzulis, tai voi di une femine, tal cjant di soreli-jevât di un gjàl, tal gnaulâ di un gjàt, in tun clàp des sôs mons, tal rumôr armoniôs di un riul ch'al puartave aghe tal lât di Verzegnas.
     Gjso: un cjargnèl di uê e di tanc' secui fà; cuant che, jessint a lavo­râ a Milan, al cjaminave pes stradis de grande zitât, no ‘l sintive il davoi di chei lûcs, ma al pensave, j soi sigûr, ai trois des montagnis, ai prâs di seâ e cun sé al veve il parfun dal fen apene stagjonât.
     Lui al saveve cemût cjantâ il misteri dal nestri Friûl, e tes sôs puisîs si sint il tremâ di un inamorât cuant ch'al va incuintri ae sô pueme. Ogni pàs al è un spietâ, ogni peraule 'a jê 'ne preiere d'amôr, ogni pinsîr al pant chê gjonde de anime.
     Gjso al ere un ch’al saveve che, prin o tart, al doveve rivâ alc di «grant» ch’al varès scancelât lis poris e al varès lassât chi si fossin piardûs te lûs meraveôse di Diu.
     Parcé Gjso al ere omp di fede.
     La sô fede no ere la costruzion razionâl de inteligjenze, ma l’unic mût par capî la grandezze dal creât, de tiare, des aghis, dal cîl.
     Cui podevie racuei i suspîrs di Gjso e pandius-nu se no Andreine Ciceri ch’a je dentri tai misteris de puisie e de storie furlane?
     Gjso, cun chist libri, al cjamine in miez a nô, al cjamine cun nô, al pâr ch’a nus lei il siò test e che nus disi, cul siò ridi sancîr: cjantàit cun me ‘l Friûl.

Feo Mizzau
                                         Deàn de Filologjche

 

Ed ora la trasposizione fedele – con qualche nota aggiunta il 25 febbraio 2017 da parte di Paola FIOR– dell’ introduzione della dott.ssa Andreina Ciceri, curatrice dell’opera:

LA VOCAZIONE AL CANTO
1 - Curare un'opera postuma è impresa delicata e di grande responsabilità: la libertà stessa può spingere il curatore a eccedere o verso un'indulgenza controproducente o verso un rigore troppo severo; sta inoltre in agguato una tentazione agiografìca e celebrativa, specie quando la persona dell'autore si è conosciuta e quando abbondano memoria recente e commosso rimpianto, mentre sono carenti i riferimenti critici. Di Giso Fior ho scritto nell'Antologia Chiurlo - Ciceri ed in un breve saggio successivo (cfr. Sot la nape, 1978, 3-4, pp. 60-61). Accingendomi ora a curare quest'opera antologica, ho potuto esaminare, forniti dalla famiglia, pressoché tutti i suoi scritti: ho potuto cioè attraversare circa un quarantennio (1934-1978) di una scrittura poetica che restituisce ancora palpitante la storia della sua anima, della sua personalità, della sua vita. Nello scialo e nella dispersione dei suoi scritti, questa è la prima opera che ne proponga una grande sintesi. Era, intanto, doveroso porsi preliminarmente la domanda: quale dev'essere lo scopo di quest'opera? Non c'è dubbio che l'assunto era, è, quello di consegnare, e non soltanto ai contemporanei, una immagine non travisata ed il più possibile completa del poeta, liberandola da tutte le incrostazioni del contingente, senza tuttavia defraudarlo della sua cordiale umanità, anche negli aspetti magari fragili e vulnerabili. È certo che non dirò di lui solo sulla base dei testi qui antologizzati, ma di tutti quelli che ho percorso in questa occasione. Fior viene certamente ad assumere le proporzioni della voce più rappresentativa ed emblematica della Carnia: ultimo poeta autenticamente popolare.
2 - Per un'opera che tende a fermare i valori più persistenti, il momento più impegnativo è senz'altro quello della scelta dei testi, scelta che in questo caso non poteva essere guidata dal puro criterio estetico, ma anche dal desiderio di portare in luce tutta la gamma esemplificativa e tipologica del suo fare (con la decisione di includere anche un brano in italiano). Talvolta il discrimine tra ciò che è poesia e ciò che non lo è, in questo tipo di scrittura non trova un crinale così netto. La prima decisione è stata quella di non tenere conto del fattore edito-inedito, ma di fare un campo unico da cui selezionare i testi più significativi (sempre riesaminati sugli originali). Dell'edito si può prendere cognizione esaminando la bibliografia, in questo volume. Di inedito c'è molto nei voluminosi fascicoli conservati dalla famiglia e talvolta predisposti dall'autore per eventuali pubblicazioni. Proprio da uno di questi fascicoli, riordinati dall'autore già nel periodo milanese (1951), è stato prelevato il titolo di questo libro (altri titoli tracciati sui fascicoli sono: «Vergègnas», «Cjargna», «Friûl», «Italia», «Mâr», «I dialetti d'Italia volti in ladino»y del 1953, poi c'è la commedia giovanile «II Gnàu» e varie miscellanee e, oltre a raccolte di racconti o brani in italiano, «Lettere a Lina», progetti di lavori, brutte copie, e così via). Dai tre fascicoli scaturiti da una rubrica da lui tenuta per la RAI (1972-1976) ho potuto estrarre solo un testo e così riporto pure un solo esempio delle moltissime composizioni per nozze (Struscidôr; cfr. Glossario in questo vol.) ed un esempio anche di poesie ripetitive (Como un pôr...-Di vila in vila...) Certamente, per la sostanza linguistica tutte le sue poesie sono interessanti, ma, pur dando estrema importanza a questo fattore, è di un Poeta che qui si vuole tracciare l'immagine e, come seconda istanza, del mondo da lui amato, che si rivela anche efficace affresco di vita carnica. Per tutto questo si sono escluse, non categoricamente ma preferenzialmente, poesie dedicate a vari paesi ed a circostanze particolari. Così, ripetuto più volte lo spoglio dei materiali, per scelte e riduzioni graduali, sono stati selezionati 145 testi, ritenendo di fare miglior servizio al poeta con una depurazione che lo decantasse di quanto vi era in lui di corrivo e di troppo proclive alla disponibilità verso gli altri, decidendo di conseguenza di escludere i testi che sapevano di depliant turistico o propagandistico, di quelli eccessivamente nomenclatori, di quelli (tanti) troppo legati ad occasioni particolari e che sembrano sottendere una committenza, magari solo affettiva, di quelli inoltre dove s'infiamma di periodiche "cotte" idelogiche, e, naturalmente, di quelli che denunciano una caduta d'ali, specialmente nell'ultimo periodo della sua vita, nel tempo del post-sisma. La dismisura tipica del personaggio, la carenza di vigilanza e di calcolo egoistico, l'affetto, gli affetti lo facevano spesso debordare. Non si riportano neppure passi delle sue famose e godibilissime traduzioni dantesche (i canti - editi - I e III dell'Inferno) perché uno stralcio era illogico e il tutto avrebbe turbato gli equilibri, nell'economia dell'insieme; e neppure altre traduzioni sono incluse (es. fiabe di Andersen) anche perché estranee alla cornice idealmente progettata: infatti il parametro più producente mi è parso quello di evidenziare di Fior le presenze più umorali e intense, sia quelle dal movimento festoso, sia quelle elegiache, pensose, perché tutte legate da un intimo filo di poesia. Certamente una scelta è sempre, in qualche modo, un'amputazione, ma riteniamo di aver dato così, per exempla, una visione efficace della sua tematica e del suo fare, nella circolare globalità della sua opera, che va letta per analisi e per sintesi. Si era pensato di portare qualche esempio di suoi testi musicati (e molto egli stimava questa associazione, tanto che il suo lungo sodalizio, specialmente con Felice Cimatti e Bepi Lenardon, molto hanno contato per lui), ma uno o due testi poco avrebbero signi-ficato, creando invece un rischio di ibridazione. Meglio sarebbe che altri, più di me competenti in questo settore, pensassero ad un'operazione più completa sotto questo taglio. È vero che l'autore annota, sopra molti testi, «musica da componi» (e mette come sottotitolo «vilota») pensando idealmente di sposarli con le note, ma ciò è proprio della componente musicale dei suoi ritmi, spesso connotati come da un allure esclamativo, con uso frequente e gustoso dell’onomatopea, e con una elezione di vocaboli tali da fondersi nel verso in un continuum di armonia fonica.
Oltre alla scelta, altro angoscioso problema era quello della successione da dare ai testi stessi, i quali, mancando nella maggior parte dei casi di datazione, non potevano essere disposti in ordine cronologico (le date, quando ci sono, vengono registrate, non foss'altro che per motivare rilievi stilistici). Eppure bisognava dare una scansione che suggerisse un ritmo di lettura non troppo discontinuo e senza gravi frizioni di contenuto. Anche qui, qualcosa di razionale e qualcosa di imponderabile guida il gusto del curatore, anche se mai con completa soddisfazione. Particolarmente le composizioni nate dalla passione partigiana, per la loro eccezionalità (benché spesso esse pure adattate ai modi della villotta) e per essere come un momento di ictus nel tessuto complessivo, stentavano a legare con il restante corpus. E' ovvio che ogni lettore potrà accettare la "guida" suggerita o ricostruire idealmente un proprio percorso di lettura.
3 - Mi informavano che ci fu un tempo in cui il Nostro raggruppava le sue composizioni secondo la metrica usata: sonetti, villotte, sequenze di stanze... So che dava molta importanza alla "costruzione", alla misura dei versi, alla rima, ma non si poteva tener conto di questi elementi, senza cadere in forzature del tutto meccaniche ed esteriori. E poi, per fortuna, la piena dei sentimenti non risulta disturbata e. l’onda del canto, quando ha forza sufficiente, travolge ogni schema.

Nota di Paola Fior aggiunta il 25 febbraio 2017:
mio padre scriveva “musica di componi”


Ciò che non avviene invece nella scrittura in italiano (e nelle traduzioni che appone talvolta ai testi), dove qualcosa di troppo curato in parte lo spegne.
A bugàdas las vìlòtas
a’ mi vegnin fûr dal cûr...
Sì, la villotta, il canto popolare in genere, resta il suo ritmo naturale e quasi biologico. Dalla stessa radice viene la sua passione ad assumere le inflessioni più carnose del linguaggio della sua valle, un linguaggio che sembra la naturale efflorescenza dell'ambiente fisico. Per il suo «rispetto antropologico della parola», per il suo gusto sensuale della lingua, Fior entra quasi in simbiosi con essa. Al contrario della maggior parte dei poeti di oggi che operano una elezione-elevazione del linguaggio poetico rispetto a quello comune, egli affonda la sua pesca anche nel sottocodice linguistico, voluttuosamente terragno, lussuosamente sapido (es.: Vargègnas per Vergègnas, rasón o rosón per resón, buda per vuda, bìgna per bisùgna, ‘gna o cùgna per scùgna, gucéi per ucéì, e così via). Ebbene ciò non involgarisce il suo testo, ma sta come i fiori spontanei in rapporto con quelli coltivati. Così le metafore, i traslati non sono di natura cerebrale, ma sembrano predisposti già nella fascia popolare. Eppure egli era persona di buona cultura, per cui, scontata la spinta istintuale, bisogna pensare ad un fatto di amore e di coerenza, ed anche a certa ripugnanza ai travestimenti. È ben osservabile, del resto, una specie di illanguidimento che interviene nei pochi testi stesi nella Koinè friulana, opportunità che si impose quando tali testi, musicati, erano destinati ad una fruizione più ampia. Di certo non c'è niente di folclorico o di naìf: per lui la poesia non è «nobile finzione», ma adesione totale, viscerale al suo mondo, soprattutto a quello permanente della sua infanzia. Nel suo testo non c'è alcun turbamento semantico, neppure quando forgia qualche parola (es. àura per 'indora', detto del sole). Con strumenti lessicali così corposi, così materici, pure riesce a rendere con finezza situazioni e sentimenti. Persino le immagini del mare bene risaltano nel "calco" del suo linguaggio montanaro:
Tai prâz dal mâr
a sólz las òndas blàncjas...
Per quanto riguarda la grafia, egli adotta una semplice scrittura ortofonica, accessibile anche al lettore non specificatamente alfabetizzato, grafia che ho rispettato anche quando trovavo segni in eccesso, mettendo attenzione agli accenti, (specie ai gravi ed acuti) su cui si basa la musicalità dei suoi ritmi, come su arsi e tesi.
Poiché solo alcuni testi erano forniti di traduzione (e non sempre sicuramente dell'autore) e poiché «tradurre vuol dire rimuovere», mi è sembrato preferibile non intervenire con traduzioni mie, col rischio di operare una reinterpretazione o, peggio, una destituzione di valori, aggregando invece all'opera un glossario le cui definizioni sono in parte estratte dalle traduzioni rinvenute, in parte da un'indagine a Verzegnis (con varie collaborazioni).
4 - Anche in uno stesso àmbito comunitario si rilevano dif­ferenze sia lessicali che fonetiche, determinate non solo dal «lessico famigliare», ma anche da fattori sociali, culturali, di ascendenze, o da altro. Penso alla famiglia di Giso, con maestri da tre generazioni: eppure fu preponderante l'influenza materna, e quella dell'ambiente. Giso del resto fece vita da contadinello. Nelle vacanze scolastiche prestava persino opera nei lavori di altre famiglie (per spiccioli!). Racconta che si comprò un coniglio coi guadagni del...servir messa. Amava molto gli animali e la vita rustica, anche se fisicamente non sopportava lavori pesanti. Quando, ormai uomo, avrà preso consapevolezza della sua attività di scrittore, e soprattutto dopo i «Vìnc’ agn di Lombardia», correrà al recupero delle "parole" come fosse un circumnavigare la vita per ritornare al porto di partenza. E come per un abbraccio alla sua «int nudrìda di ‘sûf». Come un ritemprarsi alla fonte della madre-montagna. Perché il suo «naturalismo ecologico» è il filo costante della sua scrittura. Ed ecco che, nonostante i bei nomi di sapore romantico presenti nella sua famiglia (Arnaldo e Anseltno, Adelchi e Adalgiso) egli opta, come pseudonimo, per il soprannome Pitrìn, di ascendenza paterna. Se è vero che i nomi sono come un segno di predestinazione, Adalgiso Giocondo fa pensare ad un aspetto di lui: quello dell'innocenza e dell'umiltà dei puri di cuore. Ma, in consuntivo, la sua vita ci appare abbastanza drammatica: «...j pensi a la mê vita: uàrfin, soldât, migrant», scriveva. Nella sua infanzia, candore, esuberanza festosa, gusto della camaraderie lo portavano ai giochi, sempre contrastato però da incidenti provocati dalla sua fragilità ossea. Aveva orgoglio, volontà di presenza, ma l'indigenza economica pesava sulla famiglia. Quando i compagni andavano a scuola a Tolmezzo in bicicletta, lui ci andava a-piedi. Così la bicicletta diventò una "conquista" degli anni maturi e più tardi mancò di conseguire la patente di guida, perché negato psicologicamente alla "macchina". In un brano autobiografico, ripensando a questo aspetto della sua vita, scrisse: «II mio primo mezzo di locomozione che conobbi fu la gerla con cui la mamma mi portò nei giorni di Caporetto»! Anche il suo curriculum di studi, come quello del fratello, fu piuttosto travagliato, ma al fine entrambi conseguirono il diploma magistrale e Giso insegnò per un anno a Moggio: nell'aula che era stata di Enrico Fruch, ricorda con orgoglio. Aspirava a proseguire gli studi a livello universitario, ma venne richiamato alle armi. Come tenente, ebbe modo di girare l'Italia e cominciò anche a veder. stampato qualche suo scritto firmato «Soldato Pitrìn», su un giornaletto di Rovigo. Ma anche questo modus vivendi, anche questo suo nuovo piacere della stampa (lo scrivere del resto resterà sempre la sua «ciambella di salvataggio») fu interrotto dalle drammatiche vicende del '43, che lo. riportarono ai suoi monti e quindi alla lotta partigiana, che è un momento centrale nella sua vita, un momento esaltante in cui convergono tutti i suoi ideali: di patria, di libertà, di giustizia sociale, di difesa del focolare... Per il carattere di eccezionalità, per la sospensione dei rapporti e delle regole normali, ognuno rivelava la sua natura e definiva un suo ruolo. Giso, così disarmato per carattere, divenne il vero cantore della lotta partigiana, con un'ebbrezza di canto da sfiorare la retorica: misura questa del suo sprovveduto, totale abbandono alla forza della Illusione. Così, quando a guerra conclusa la vita tornò alle normali regole del gioco, coi suoi parametri di calcolo, di convenienza, di compromesso, proprio per quello scarto che sempre ci fu tra lui e la realtà, egli si sentì, amaramente, un «reduce sconfitto», anche se l'acre delusione non riuscì a farne un uomo disincantato e privo di fede, perché mai in lui la miseria materiale si trasformò in miseria morale. Continuò così il suo cammino tra rinnovate speranze e immancabili cadute, come in un calvario. Intanto, non approfittò della facile opportunità di entrare nei ruoli della scuola, ma scelse l'esodo: e fu il periodo milanese, talvolta molto duro, da cui ritornò definitivamente, già sposo, già padre dell'unica figlia, nel 1965.
5 - Gli impieghi ed i ruoli che egli ricoprì nel breve arco della sua vita furono sì abbastanza conformi alle sue inclinazioni, ma anche sempre abbastanza marginali e mai tali da permettergli di realizzare efficacemente i sogni, i progetti, le idee che lo accendevano, ma che per il senso comune parevano vagamente utopistici, sicché quello che faceva assumeva le proporzioni di un bel gioco. Così dicasi dell'iniziativa dei murales a Timau, o il «Natale della Fratellanza» sul Monte Forno (1968) con la barca dei pescatori portata sul monte, come l'arca sull’Ararat; o come il grande raduno dei pastori o i molti progetti per valorizzare la sua valle. Magari, i suoi "sogni" diventarono poi realtà in altri modi e in altre mani. Per questo egli lamentava di essere «usato sul fronte dell'interesse». Non mancava del resto di certa caparbietà e di eccessivo rigore morale, tanto che arrivava a farsene una colpa: «Vorrei essere sempre alla fine dei miei giorni per giudicare gli altri con cuore e con saggezza». Degli "altri" sentiva bisogno: amava il consenso, il contatto col prossimo, farsi "pellegrino", cantare la gente e per la gente. Amava «Dire parole. Far ridere e piangere», un poco claunesco, un poco "chierico laico". Ma la vita mai lo compensò, e neppure il destino, ché la malattia troppo presto si abbattè su di lui; nel 1974 fu colpito da una seria forma di epistassi e cominciarono i sintomi del grave male che lo portò a morte immatura: «S'inciampa la bardela», scriveva. Poi perse addirittura la parola, ma mai, fino alla fine, la chiarezza mentale, la voglia di scrivere. Già un po' di grafomania l'aveva sempre avuta (di notte arrivava a scrivere sul lenzuolo).
Il dolore dell'evento sismico probabilmente affrettò il proces­so distruttivo del male ed egli voleva almeno fissare «I ricuàrz, la mê rìcjècia».
6 - In questo volume le poesie più assorte sono raccolte nell'ultima sezione, ma, come si è avvertito, ciò non significa che siano nate in tempi ravvicinati. Ad esempio, il pensiero della morte, in proprio o tramite senhal, ritorna a intervalli, contrappuntando gli slanci di eccitato vitalismo, nella dichiarata intermittenza di umore: i suoi «sbalz di cûr». In una composizione ricorda un sogno ricorrente e quasi ossessivo: quello in cui gli appariva Nut, il coetaneo morto in guerra. E in una poesia alla moglie, in italiano (1958), scrive: «Ora lo sai chi ti è rivale: la morte». Ma, in fondo, qualcosa di trepido soggiace anche nei brani più scapigliati e connotati di espansività, perché è un mondo morto, o morente, quello che per lo più canta: il mondo contadino tradizionale. Per cui il velo dell'elegia sovrasta la memoria, necessariamente alimentata di nostalgia:
Parcé vàistu cûr tal stomi, parcé vàistu di scumdón?
La vena pensosa, più che nella scrittura in friulano, è incombente in quella in italiano, che risale alla giovinezza e agli anni milanesi. In italiano non ride, non ha tratti scherzosi. Si sente allora il modello culturale, si sentono le amate letture classiche.

Nota di Paola Fior del 25 febbraio 2017:
mio padre non aveva la mania di scrivere sul lenzuolo: è accaduto, qualche volta, che lui  sentisse la necessità di fissare un’idea o un verso e che scrivesse al buio – per non svegliare mia madre – sul notes, senza accorgersi in tempo  che la penna, usciva dai confini della carta e finiva sul lenzuolo.


Per l'italiano insomma dimostra quello stesso atteggiamento riguardo-so che rivela nei rapporti interpersonali e per tutto ciò che rappresenta un istituto ufficiale, l'autorità. Persino in famiglia, talvolta: per molto tempo si registrò come Adelgiso per non precedere, neppure alfabeticamente, il fratello Adelchi, di lui maggiore di pochi anni.
È per tanto straordinario che egli amasse farsi bocca di popolo per mimare la vita, in tutti gli aspetti tradizionali, senza scivolare però nel kitsch, o tipizzazione manierata. Semmai prevarica spesso l'ansia di trasmettere il massimo di informazione, con effetti di repertorio. In genere c'è un'adesione spontanea al linguaggio di comunicazione diretta, con uso discorsivo o, addirittura, con l'introduzione del dialogo in versi. Rappresenta sentimenti semplici, con una regressione totale nell'identità collettiva. Tipico del popolare è anche il gusto del narrato in versi; l'istinto del ritmo e la sapienza verbale esaltano il quotidiano in forme straordinariamente icastiche. Peccato che non si sia dedicato anche alla prosa. Qui non si riporta la commedia «II Gnàu» perché era impossibile estrapolare un brano, come invece si è fatto per «La Morètula di Dante», il racconto che sprizza ironia paesana. Di quella Verzegnis tradizionale, con un vivace spirito di borgata e con quella forza di carattere (che è poi di tutti i Camici) che non si lascia omologare; di quella Verzegnis che ha parecchi poeti popolareggianti, raccolti in un libretto del 1978 a cura del Circolo Culturale del luogo.
Giso spesso assume brani dall'anonimo patrimonio orale. Era del resto animatore del canto locale (aveva una buona voce) e a volte si ha l'impressione che certe sue poesie egli le abbia "cantate" dentro di sé, prima di stenderle sulla carta: che gli nascessero insomma come canto, come avveniva un tempo per le villotte di popolo.
La naturalezza e la spontaneità, l'unità di respiro, nelle migliori composizioni, sono frutto della sua linfa vitale, ma anche un portato della tradizione.
La sua personalità, peraltro, va ricostruita sulla globalità della sua opera, che va dalle note più ìlari alle più sgomente, dalle più "rumorose" alle più sommesse. Sua gioia era cantare la gente ed essere cantato dalla gente. E lo stesso rapporto interattivo aveva con la natura: «bevi il cìl ta l’aga da Landàja..»; «la not mi béìf..». Non idillio, ma una sorta di panismo, per cui la vita si sposa alla morte senza contrasti, con naturale acquiescienza, come fa capire più volte e come testimonia anche questo segmento di una poesia della raccolta in italiano del 1950: «Diventare un albero...un noce annoso o un pero gobbo, dal tronco che il fulmine ha sfregiato...». "La vita e la morte si bilanciano come nel ciclo naturale: «Un frut al rît. Un petarôs al mûr».
Abbiamo qui cercato di disegnare un arco ideale, tramite le sue composizioni: da quelle autobiografìche o che abbracciano i luoghi e le opere della sua terra, con i suoi tipi ora patetici ora grotteschi, col ricordo anche delle accensioni giovanili nelle tenere poesie d'amore o meglio di vagheggiamento, per allargare poi lo sguardo alla sua adesione creaturale alle stagioni e a più allargati orizzonti, concludendo con le poesie maggiormente intimizzate.
È chiaro che questa è una costruzione in un certo modo fittizia, anche se i risultati sono armoniosi. Nella realtà, probabilmente, la sua disposizione al canto si metteva in essere coi ritmi alterni di sistole-diastole, di contrazione-dilatazione. La "dilatazione" senz'altro è prevalente ed è per lui un modo felice di compenetrarsi con partecipazione affettiva negli altri (vivi e morti) e nella natura, in modo di rendere l'ampia orchestrazione della vita di cui si sente, francescanamente e panteisticamente, partecipe, ma in altri momenti avviene come uno stacco, un rientro nella solitudine individuale, nell'umanità più fonda, in una battuta di sofferta riflessione che è anche un momento di esilio: assolo dolente nel concerto riccamente cromatico del suo canto.

Nota di Paola Fior del 25 febbraio 2017:
petarôs è errato: la grafia corretta è petaròss, con o senza accento grave.


Andreina Ciceri

                                                    

 

Titoli delle poesie in ordine alfabetico

7

‘A nèvia

191

 

 

 

 

3

‘A plûf

104

 

 

 

 

5

‘L' è miôr murî

156

 

 

 

 

1

A barba Colò

47

 

 

 

 

1

A la mê Cjargna

60

 

 

 

 

5

A Lavoréit Ross

149

 

 

 

 

4

A mulìn

127

 

 

 

 

4

A Nut

128

 

 

 

 

4

A Rico di Pusêa

140

 

 

 

 

6

A San Francesc di Cjàurli

183

 

 

 

 

1

A Trasâgas

50

 

 

 

 

1

A un bisnôno

44

 

 

 

 

5

A Vandina

152

 

 

 

 

8

Âga di riù

226

 

 

 

 

8

Âgrimas sot sera

232

 

 

 

 

5

Al cjacàra il viéli

161

 

 

 

 

8

Al é muàrt un pianista

238

 

 

 

 

5

Al sorêli

153

 

 

 

 

7

Atom

204

 

 

 

 

2

Atòm a Vergègnas

85

 

 

 

 

6

Balade dal esìli

187

 

 

 

 

7

Begaruéla

199

 

 

 

 

7

Bochêras

198

 

 

 

 

3

Cavói

99

 

 

 

 

2

Ce biél

71

 

 

 

 

8

Cencia sunsûr

231

 

 

 

 

1

Ciòndars

51

 

 

 

 

2

Cjàicias

83

 

 

 

 

7

Cjalant

194

 

 

 

 

2

Cjampamàn

80

 

 

 

 

8

Cjampanuta

241

 

 

 

 

5

Cjantâ

163

 

 

 

 

6

Cjargna

169

 

 

 

 

6

Cjasagnova

173

 

 

 

 

4

Cjòc

134

 

 

 

 

1

Como un film

66

 

 

 

 

6

Como un pôr

170

 

 

 

 

7

Cric’… cric’…

209

 

 

 

 

5

Cu’ méi…

147

 

 

 

 

4

Da “La Morètula di Dante”

130

 

 

 

 

6

Di vìla in vìla

171

 

 

 

 

2

Dintissàns

84

 

 

 

 

5

Displaséis

150

 

 

 

 

1

Distrìghile ch’a é ore

57

 

 

 

 

8

Dopo muàrt

239

 

 

 

 

1

Duâr tu, Anselmo

54

 

 

 

 

6

Elegja cjargnela a Triest

181

 

 

 

 

3

Encjamó plója

105

 

 

 

 

7

Estât

202

 

 

 

 

3

Fèn

96

 

 

 

 

8

Fiésta

225

 

 

 

 

4

Filastrocja

129

 

 

 

 

8

Filologjca

223

 

 

 

 

6

Friûl

167

 

 

 

 

2

Fuìgnas

77

 

 

 

 

4

Gnàus, Gnaulìtis, Gnaulôrum

125

 

 

 

 

7

Gnot d’invièr

211

 

 

 

 

4

Guc’

139

 

 

 

 

7

I méis dal an

216

 

 

 

 

3

I tartùfs

118

 

 

 

 

2

I vói

90

 

 

 

 

5

Il fazolét

155

 

 

 

 

3

Il most

117

 

 

 

 

3

Il stâli dai Scimóns

107

 

 

 

 

3

Il stâli dal Dûr

100

 

 

 

 

8

Il tistignâr

228

 

 

 

 

5

Il vêr amôr

144

 

 

 

 

2

Invièr di paîs

89

 

 

 

 

5

Invît

157

 

 

 

 

3

J lìn

103

 

 

 

 

1

L’ombre

55

 

 

 

 

3

La fâria di barba Toni

119

 

 

 

 

5

La letarute

146

 

 

 

 

7

La neveàda dal 30-31 di Genâr 1976

213

 

 

 

 

7

La not dai muàrz

206

 

 

 

 

5

La stôria da pastôria

158

 

 

 

 

2

La Val di Dinglâr

73

 

 

 

 

3

La zornada a stâli

102

 

 

 

 

4

Lino da Braida

135

 

 

 

 

7

Lis stagjóns

215

 

 

 

 

1

M nôna Pitrìna

48

 

 

 

 

8

Malâz di Furlanîa

222

 

 

 

 

4

Mariùta

132

 

 

 

 

3

Méi dai rùzins

116

 

 

 

 

8

Mi sei ‘ncuzzât

230

 

 

 

 

7

Miesdì di Mai

195

 

 

 

 

7

Nedâl fra cîl e tièra

212

 

 

 

 

7

Néif

207

 

 

 

 

7

Néif sot il sorêli

214

 

 

 

 

5

Nine di Cjasteóns

154

 

 

 

 

5

Ninina jéi …!

143

 

 

 

 

7

Nîz tal Quadrât

196

 

 

 

 

8

No je finide la strade

237

 

 

 

 

8

Non spegnermi, Signore!

236

 

 

 

 

1

Not

62

 

 

 

 

7

Novèmbar

205

 

 

 

 

8

Novembre

233

 

 

 

 

7

Nùi

200

 

 

 

 

1

O prin o dopo

53

 

 

 

 

2

Pàla Boàna

78

 

 

 

 

3

Pastôrs di mont

109

 

 

 

 

2

Pedaja

76

 

 

 

 

8

Pelegrìn

227

 

 

 

 

8

Pensîrs

235

 

 

 

 

1

Plui fuàrz di prime

58

 

 

 

 

8

Prejêra a la mê ànima

240

 

 

 

 

3

Primadì a stâli

101

 

 

 

 

6

Raganizza cjargnela a Lignan

185

 

 

 

 

1

Ricuàrz di pastôr

43

 

 

 

 

4

Ruviâs

133

 

 

 

 

7

San Ramàcul

201

 

 

 

 

7

Sanmarc

193

 

 

 

 

2

Sastiéfin

81

 

 

 

 

8

Sbràga

221

 

 

 

 

3

Seâ

97

 

 

 

 

1

Sessanta

65

 

 

 

 

5

Si ‘odarìn lavìa

151

 

 

 

 

4

Silàn Grusa

138

 

 

 

 

6

Sonéz a Tulo

179

 

 

 

 

3

Spandi

98

 

 

 

 

1

Spìriz

46

 

 

 

 

3

Stâli dai Pieressàz

106

 

 

 

 

5

Struscidôr 1975

162

 

 

 

 

5

Sul clap

148

 

 

 

 

2

Sul lât di Vergègnas

74

 

 

 

 

2

Sul Pic’ di Lóida

75

 

 

 

 

2

Sul Piciàt

88

 

 

 

 

6

Sunéz a Fòr

175

 

 

 

 

2

Ta Bûsa di Navrìnt

87

 

 

 

 

3

Ta prêsa

95

 

 

 

 

6

Tal Comugna

176

 

 

 

 

2

Tas Planàcias

79

 

 

 

 

6

Tésis

172

 

 

 

 

1

Timp di cosàcs

56

 

 

 

 

7

Timp di Rogazió?ns

192

 

 

 

 

1

Toni, pâri di gno nôno

45

 

 

 

 

7

Umanitât

203

 

 

 

 

8

Un âti Nadâl

224

 

 

 

 

1

Un frùt al stâli

52

 

 

 

 

1

Una bacèda

64

 

 

 

 

1

Val Tajamènt

63

 

 

 

 

2

Vergègnas (Tu tu cîrs)

72

 

 

 

 

5

Vigjùta

145

 

 

 

 

2

Vila

82

 

 

 

 

5

Volenda

160

 

 

 

 

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