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PROBLEMI
ETICI
NELLA DIOCESI DI ZUGLIO
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Su
sollecitazione di alcuni amici frequentatori di Cjargne Online, ho
ritenuto opportuno
inserire
questo particolare spazio dedicato ai vari problemi di carattere etico-morale
che, anche nella DIOCESI DI ZUGLIO, vengono
attualmente dibattuti a vari livelli, maggiormente
sui Bollettini Parrocchiali.
Ciò ovviamente non impegna assolutamente
la linea editoriale di questo sito, che accoglierà tutte
le riflessioni ed i pensieri
di chiunque vorrà partecipare a questa singolare
e personalissima focalizzazione su tali tematiche.
Alfio Englaro
1978 - 2008
30 anni di legge 194
TROPPI NATALI SOPPRESSI
Nota storica
Il Parlamento italiano nella sua sovranità, il 29 maggio 1978,
approvo’ a maggioranza la legge 194, promulgata e controfirmata
dai ministri (tutti cattolici democristiani) Tina Anselmi (Sanità),
Paolo Bonifacio (Guardasigilli), Giulio Andreotti (Presidente del Consiglio)
e dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone (pure lui democristiano
e cattolico). A favore di questa legge votarono: PCI, PSI, PSDI, PRI,
PLI. Contro invece si espressero: MSI-DN e DC, oltre che, per motivi
opposti, Democrazia Proletaria e Partito Radicale che puntavano sul
referendum per ottenere una maggiore permissività. Ricordo che
proprio in quell’ anno memorabile 1978 (rapimento ed assassinio
di Aldo Moro e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse, morte
di Paolo VI, elezione e morte di Giovanni Paolo I, ele-zione di Giovanni
Paolo II) era stato costituito il 4° Governo del romano Andreotti,
un monocolore DC, appoggiato dall’esterno e per la prima volta,
oltre che da socialisti, socialdemocratici e repubblicani, anche dai
comunisti, che insieme formarono così un governo di cosiddetta “unità nazionale”.
Per contro nei medesimi anni, l’altrettanto cattolico re Baldovino
del Belgio, piuttosto che apporre la propria firma ad una analoga legge
abortista, si dimise dalla carica per il tempo necessario! Una breve
digressione: il più noto e famoso Ponzio Pilato (romano anch’egli,
ma– a sua parziale scusante- non cattolico), quando si trovò nella
situazione di poter liberare Gesù (consiglio di rileggere attentamente
questo passo di Matteo), pur sapendolo “Giusto” e incolpevole
ricorse a quel (primo?) famoso referendum: “Volete che vi liberi
Gesù o Barabba?” e sappiamo bene come “democraticamente” rispose
quella “maggioranza” manipolata dai capi del Sinedrio.
Il “referendum” tra Gesù e Barabba prefigura così ogni
occasione in cui il popolo viene eretto a fonte ultima della verità.
E “Pilato dunque resta il simbolo della democrazia relativistica
e scettica, basata non su verità e valori, ma su procedure” (Card.
Joseph Ratzinger, 1993). Perché quando si sacrifica la verità al
consenso, si cade giocoforza nel relativismo (etico e morale), ma prima
o poi se ne paga il prezzo.
La legge
Questa legge, che non tutti hanno letto per intero, è composta
da ben 22 articoli, la cui integrale riproposizione
risulta qui impossibile. Il titolo di questa legge è: NORME
PER LA TUTELA SOCIALE DELLA
MATERNITA' E SULL'INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA”.
Cito, per sommi capi, i punti salienti di questa legge dello Stato
italiano, che tutti sono tenuti a rispettare. Nell'art.1 si dice: “L’interruzione
volontaria della gravidanza non è un mezzo di controllo
delle nascite…” Nell' art. 2 si legge: “I
consultori familiari… assistono la
donna in stato di gravidanza, informandola sui diritti..
contribuendo a far superare le cause che potrebbero
indurre la donna all’interruzione
della gravidanza.” Andiamo oltre: l'art. 4 recita: “...per
l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni,
la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della
gravidanza o il parto o la maternità, comporterebbero un serio
pericolo per la sua salute psichica e fisica…” E
ancora l'art. 5 recita: “…il consultorio e la struttura
socio-sanitaria hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando
la richiesta
di IVG sia motivata da condizioni economiche o sociali o familiari,
di esaminare le possibili soluzioni dei problemi proposti e di aiutarla…”
Le sottolineature ed i grassetti stanno ad indicare che questa legge
dello Stato (non solo a mio modestissimo modo di vedere) non è stata
affatto applicata e fatta applicare in tutte le sue articolazioni.
Un fatto emblematico
Opedale di Careggi (FI) 2007. Una donna incinta si sottopone ad una
serie di sofisticate indagini per sapere se il figlio che ha in grembo è sano.
Quando ormai il feto ha 5 mesi, viene diagnosticata una grave malformazione
(agastrìa, assenza di stomaco) per cui si decide di eliminare
il problema eliminando il bimbo con un aborto “terapeutico”.
Accade l’imprevisto: il bimbo viene estratto vivo, un “sopravissuto
alla legge 194”. Quando i medici, che avrebbero dovuto eliminarlo,
si accorgono che respira ancora, sono costretti a rianimarlo e a curarlo,
come si fa con qualsiasi paziente e a dargli un nome: Tommaso. Dopo
pochi giorni tuttavia il bimbo, che alla nascita-aborto pesava gr 500
ed era lungo cm 22, non ce la fa e muore. Si fa l’autopsia: la
malformazione, unica colpa del piccolo, non c’era. Panico mediatico...
Se questo bimbo fosse stato estratto morto con l’aborto, come
di solito accade, nessuno avrebbe saputo nulla. Questa è solo
la punta dell’iceberg dell’aborto di Stato.
Brevi riflessioni
- La promulgazione statale di questa legge ha insinuato in tutti noi
(sia atei che credenti) l’idea che questa sia una legge
buona e morale, solo perché legalizzata da un Parlamento (seppure
transeunte ed a forte connotazione laicista e di sinistra): in questo
modo abbiamo confuso la legalità statale con la morale (o
legge) naturale.
- Con questa legge parlamentare in effetti è stato scardinato
un principio universale (in questo caso quello della vita) e si è dato
origine a quel relativismo etico (secondo cui non esiste alcun
principio morale né alcuna verità immutabile ma tutto e sempre
si modifica e si adegua alla realtà contingente) che oggi sta
raggiungendo livelli impressionanti di applicazione. Si è cioè delegato
ad un gruppo di persone (i parlamentari organizzati in partiti), di
trattare e legiferare su principi universali che non sono assolutamente
trattabili e negoziabili per nessuno, neppure per la Chiesa (tanto
meno per lo Stato), perché sono principi pre-politici e pre-religiosi,
insiti nella natura di qualsiasi uomo (“in interiore
homine habitat veritas” insegnava già l’africano S.
Agostino nel
IV secolo d.C. Ed anche il filosofo tedesco Kant, che certo cattolico
non era, ancora nel 1700 sintetizzava: “Il cielo stellato
sopra di me, la legge morale dentro di me” frase diventata poi la sua
epigrafe tombale). Principi dunque che, essendo appunto universali,
non possono essere assolutamente modificati o conculcati neppure da
maggioranze parlamentari, che (ieri) esistevano e che (oggi) sono già evaporate
(mentre i pesanti danni sociali ed etici restano e si moltiplicano
nei decenni). La democrazia non è il fine ma solo uno strumento,
un mezzo per migliorare la società. Come tale, la sua moralità (della
democrazia) non è automatica ma dipende dalla conformità delle “sue” leggi
alla Legge naturale (da non confondere affatto con la religione). Se
dunque la legge pro-aborto è stata approvata con procedura democratica,
la sua ingiustizia rimane invariata e questa democrazia non può essere
più una democrazia che aiuta a migliorare la società,
ma un totalitarismo invisibile, che si è accanito e si accanisce
sugli esseri umani più inermi e indifesi: quelli non ancora
nati.
- Dai principi naturali universali discendono i valori specifici e
particolari che sono la bussola del vivere quotidiano. Una volta manomessi,
scardinati e scassati i principi, anche i valori che ne derivano vengono
irrimediabilmente calpestati o obliterati con le conseguenze che sono
sotto gli occhi di tutti: disconoscimento della famiglia tradizionale,
matrimoni omosessuali, manipolazione di embrioni, eliminazione di embrioni
soprannumerari, eutanasia... E a proposito di eutanasia non si deve
credere che siano solo sinistre e radicali a sostenerla ed a promuoverla:
già il nazionalsocialismo, prima di arrivare al genocidio pianificato
degli ebrei, la praticò efficacemente sopprimendo fisicamente
centiniaia di cittadini tedeschi (le fonti più accreditate parlano
di oltre 80.000 persone), colpevoli solo di essere portatori di minorazioni
fisiche o psichiche (e quindi vite “indegne di essere vissute”):
Down, paralitici, malati di mente, inabili/disabili, malati terminali…;
una di queste vittime dell’eutanasia attiva nazista fu anche
una cugina dell’attuale papa Ratzinger, come egli stesso ebbe
a ricordare recentemente.
- Viviamo in una società fatta solo di diritti (oltre
che di consumi). Osserva: dapprima taluni privilegi conseguiti
nel tempo da alcune categorie del pubblico impiego (posizioni retributive,
anzianità velocizzate,
pensionamenti precoci ecc…) sono stati trasformati in diritti
acquisiti; poi fu la volta di alcuni naturali e normali desideri (desiderio
di un figlio, di una casa di proprietà, di una buona salute…)
che si tramutarono innaturalmente e assurdamente in diritti; infine,
culmine
del paradosso
e dell’aberrazione, si è giunti al punto che perfino un
delitto (prima del 1978 punito penalmente) sia stato
trasformato in diritto da una legge di Stato: il diritto di ogni donna
di poter sopprimere
il proprio figlio in grembo! Ci troviamo in una lunga “notte
della coscienza” in cui il bene è chiamato male e il male
bene, in cui il lunghissimo catalogo dei diritti ha cancellato totalmente
il pur breve elenco dei doveri, in una confusione che disorienta e
avvilisce la nostra stessa società, avviandola verso una lenta
progressiva dissoluzione. Tanto è vero che, neppure oggi, nessun
politico cosiddetto cattolico (ma ce n’è in giro?) osa
sollecitare questo Parlamento (che avrebbe i numeri per farlo) a rivisitare
e riconsiderare questa ingiusta legge dello Stato italiano. Si fa finta
di non vedere.
Effetti concreti della legge
1. Gli aborti volontari (burocraticamente: IVG) effettuati nell’Ospedale
di Tolmezzo, con l’utilizzo della Legge 194, nel solo periodo
1984-2007, ammontano a 2.140. Questo dunque è il numero certo
dei bambini carnici NON NATI. Se aggiungiamo le presumibili cifre relative
al quinquennio 1978-1983 (di cui non si conoscono i dati) e quelle
del corrente anno 2008, abbiamo questo risultato: in 30 anni di applicazione
della legge 194, è stata cancellata dalla Carnia una popolazione
ben superiore a quella dell’intero nostro comune di Paluzza!
2. Nell’intero nostro Paese i dati sono assai più allarmanti:
al 31 dicembre 2007, gli aborti volontari totali effettuati
in Italia con la legge 194 sono stati: 4.864.783 (quattro milioni ottocentosessantaquattromilasettecentoottantatrè),
equivalenti ad una media di circa 150.000 all’anno.
Come se avessimo cancellato insieme ROMA, MILANO, NAPOLI, ANCONA! Le
bombe di Hiroshima
e Nagasaki non fecero una simile strage! Neppure le ultime guerre
in Afghanistan e in Iraq. Non cito neppure i dati europei: sono incredibilmente
spaventosi se raffrontati a un qualsiasi genocidio recente o passato!
Queste notizie e considerazioni però non
compaiono né su Repubblica né sul Corsera né sul
Messaggero Veneto, ma neppure su Famiglia Cristiana o su Vita Cattolica,
perché non sono politicamente corrette, come si usa dire oggi,
nel senso che infastidiscono o urtano la cultura egemone ed il pensiero
unico dominante, il quale informa ormai indistintamente tutti i mass
media, annebbiati da una spessa coltre di conformismo ipocrita che
chiama eufemisticamente “interruzione volontaria di gravidanza” la
soppressione violenta e immotivata di un “essere umano” incolpevole,
quale è il feto.
Considerazioni finali
- Se pensiamo che le vittime di questa legge di stato sono innocenti
bambini mai nati, allora davvero questi numeri interpellano
la nostra coscienza e il nostro modo di vivere in questa “società (cosiddetta)
civile” e progredita, indipendentemente dalla fede religiosa
che ciascuno può professare o meno. Nè possiamo lamentarci
se questi paurosi vuoti demografici generati (anche) dalla legge
194, oltre che dalla denatalità, inducono e alimentano poi
problemi sociali a vari livelli (scuole chiuse, paesi vuoti, case
abbandonate, ambiente trascurato, pensioni future in pericolo…).
- Se infine riflettiamo che i primi a gridare contro la chiusura
delle scuole e l’abbandono dei paesi sono poi quei gruppi favorevoli
all’aborto e alla denatalità, allora ci rendiamo davvero
conto come la protervia e la follia umana siano giunte al culmine del
paradosso che può essere così sintetizzato: chi vorrebbe
un figlio, (spesso) non può averlo; chi lo ha, (spesso) non
lo vuole (e lo sopprime). Potrà mai finire bene questa società?
dal
Bollettino Parrocchiale "San Danêl" di Paluzza
dicembre 2008
TESTAMENTO BIOLOGICO ED EUTANASIA
Riflessioni e appunti sul fine-vita e dintorni
Credo
sia ragionevole ed opportuno affrontare serenamente questo cruciale
e decisivo argomento che attraversa la nostra società, determinando
lacerazioni e divisioni, prima impensate, anche all’interno
della stessa comunità cristiana e purtroppo anche nella gerarchia
cattolica. Lo farò però da un punto di vista strettamente
laico. Ad altri spetta l’approccio morale e religioso.
Antefatto
L’attuale discussione attorno al “testamento biologico”,
mi riporta indietro di 30 anni e precisamente a quel confuso periodo
del 1978 quando fu approvata a tamburo battente la legge sull’aborto
volontario (legge 194), di cui ho diffusamente trattato nel numero
natalizio del 2008 di questo Bollettino ed al quale rimando per una
più proficua comprensione di queste note. Ricordo benissimo
che nel 1978 le femministe (oggi stranamente assenti persino di fronte
alle tragiche condizioni dell’universo femminile islamico) urlavano “l’utero è mio
e me lo gestisco io!” alzando le mani sopra la testa in quell’ indimenticato
gesto, mentre la propaganda radical-socialista (e non solo) batteva
subdolamente e incessantemente sempre il tasto dei casi-limite (sui
quali vi era e vi è un ampio consenso laico trasversale) e
cioè: gravidanze frutto di stupri e gravissime malformazioni
fetali, per far passare “nell’immaginario collettivo” della
società italiana l’idea della bontà e ragionevolezza
della procedura abortiva tout court. Sappiamo bene poi come è andata
a finire: l’aborto, più che la sofferta e ineludibile
soluzione ai casi estremi, è ormai a tutti gli effetti diventato
un metodo anticoncezionale de facto, anzi IL metodo anticoncezionale
più sicuro ed efficace, spesso utilizzato anche più volte
da una medesima donna. Infatti nessuno oggi si sogna di sostenere
che gli oltre 150mila aborti annui italiani (tra cui i 130 circa di
Tolmezzo) vengono richiesti ed eseguiti per accertate gravissime malformazioni
fetali o per interrompere gravidanze indesiderate causate da stupro!
Ciò dimostra ampiamente che quando si cede (anche per motivi
apparentemente plausibili) su un principio generale, si crea una pericolosissima
breccia che, dopo poco tempo, fa crollare l’intera bastionata
degli stessi valori che si pensava di difendere.
Preliminare
Qualcosa di simile sta dunque accadendo anche oggi con il cosiddetto
TESTAMENTO BIOLOGICO (faccia presentabile e politicamente corretta
della EUTANASIA). Prima di affrontare questo specifico argomento,
mi permetto di ricordarti due punti:
A. Da lungo tempo esiste in Italia il CONSENSO
INFORMATO per il quale,
in assenza di un esplicito responsabile e firmato assenso del paziente,
non è possibile eseguire alcuna azione terapeutica: né una
trasfusione di sangue, né una terapia oncologica, né una
pro-cedura medica mini-invasiva (come una biopsia), né tantomeno
nessun tipo di intervento chirugico. Se il paziente non dà il
suo consenso, esprimendo chiaramente la propria volontà, il
medico non può assolutamente agire. Certamente ricordi il rifiuto
all’amputazione dell’ arto inferiore cancrenoso da parte
di quella donna che poi morì a seguito di tale rifiuto. Certamente
sai anche che i testimoni di Geova non accettano (legittimamente peraltro)
la trasfusione sanguigna (e tutti i derivati del sangue) neppure in
articulo mortis, salvo intervento coercitivo della Procura della
Repubblica che agisce ope legis, ma che configura così però una “pesante
ingerenza dello Stato nella sfera privata di un cittadino” (direbbero
taluni), per salvaguardare un bene primario “indisponibile” per
chiunque, la vita, bene primario tutelato dalla nostra Costituzione,
ben prima della libertà individuale.
B. Esistono i Donatori di Sangue, che debbono sottoscrivere un consenso
informato previo accertamento di idoneità. Esistono oggi anche
i Donatori di Organo (ADO), i quali sottoscrivono un consenso informato
a futura memoria in cui assentono al prelievo di organi dal proprio
corpo, una volta, badate bene, giudicato “morto” da una
equipe di medici (vedi più avanti).
Un sentiero sdrucciolevole
Ed oggi, da quando si è iniziato a camminare sul sentiero scosceso
e sdrucciolevole dell’eutanasia (dal greco: eu-buona, Thànatos-morte),
il passo falso è sempre in agguato e facilmente si può precipitare
nell’eugenetica (seppure mai espressamente nominata) che rappresenta
il discusso (e discutibile) aspetto della genetica che si prefigge
di modificare il patrimonio genetico in senso migliorativo (gli esperimenti
dei medici nazisti su cavie umane miravano esattamente a questo scopo).
Se dunque ci si propone di “migliorare” la vita a tutti
i livelli, da inizio-vita con l’eugenetica a fine-vita con l’eutanasia,
il metro di giudizio e di valutazione sarà ovviamente il BEN-VIVERE o meglio la “dignità del vivere”, ove per dignità si
deve intendere una QUALITA’ di vita il più possibile perfetta
o vicino alla perfezione, i cui canoni sono ovviamente: assenza di
malattia, relazioni esterne conservate, autonomia delle proprie funzioni,
indipendenza da altri; ma anche (e perché no?) bellezza e prestanza
fisica, successo, giovanilismo: a ben vedere proprio il modello televisivo
di tutti i giorni. Quanto più uno si avvicina a questo modello,
tanto più è degno di vivere; quanto più se ne
allontana, tanto meno è degno di vivere. Se dunque il criterio
del “vivere bene” o “dignità di vita” dovesse
lentamente affermarsi come la fonte di una nuova visione della società estesa
a tutti i livelli, si introdurrebbe specularmente un nuovo diritto:
quello di morire, attribuibile ed applicabile agli “indegni” di
vivere. E si sa dove si inizia ma non si sa dove si può arrivare.
Ora vorrei farti osservare quanto segue:
1). circa 20 anni fa, si introdusse, senza tanti clamori mediatici,
la diagnosi di “morte cerebrale” certificata
dall’EEG
piatto, che ha dato avvio agli espianti d’organo da soggetti
con cuore battente e perfettamente funzionante, pure se con
danni cerebrali ritenuti irreversibili, per i quali oggi è richiesta
un’ osservazione
di sole 6 ore (prima di poter effettuare l’espianto), contro
le 24-48 ore dei primi tempi: questa drastica riduzione del tempo di
attesa-sorveglianza, suscita più di qualche perplessità;
una volta eseguito il prelievo dei vari organi che interessano, il
cuore del donatore viene fermato con una piccola scossa elettrica
oppure farmacologicamente: solo in quel preciso istante il paziente è morto
per l’anagrafe civile e lo Stato italiano (e anche per me oltre
che per il buon senso ed il senso comune).
2). si è ora passati a discutere dei pazienti SLA terminali
(sclerosi laterale amiotrofica: immobilizzati, dipendenti da un respiratore
automatico ma perfettamente coscienti) e SVP (stato vegetativo persistente:
immobilizzati, autonomi nelle funzioni vitali, grado di co-scienza
ignoto, assenza di comunicazione esterna) che, rappresentando appunto
dei casi-limite, bene si prestano per reclamare una eutanasia passiva
od omissiva (ricordo che, per legge, gli SLA e gli SVP non possono
però essere sottoposti ad espianto d’organi, proprio perché considerati
perfettamente vivi anche dal punto di vista cerebrale: un espianto
da questi soggetti potrebbe configurare un omicidio volontario aggravato).
3). successivamente, passo dopo passo, si potrebbe facilmente arrivare
agli Alzheimer avanzati (incapaci di relazioni esterne),
alle malattie fortemente invalidanti (che esigono
risorse umane e finanziarie), ai
neoplastici terminali (che costano sempre di più alla
so-cietà),
ai Parkinsoniani (ormai irrigiditi come pietre): l’ Olanda
insegna già qualcosa… Non paia sconveniente o allarmistica
o terroristica questa visione, ma per l’aborto le cose sono andate
esattamente così e nulla oggi mi rassicura che non sarà così anche
con il testamento biologico e/o eutanasia (che sono le due facce dello
stesso problema); un testamento biologico definito da una legge che
dovrà fissare un confine non tra vita e non
vita, ma tra il
degno e l’indegno di essere vissuto: confine
del tutto arbitrario e soggettivo che si presterà via via poi
ad essere in qualsiasi momento spostato a seconda
degli interessi contingenti. E poi: confine stabilito da chi?
Dai giudici? Dai parlamentari? Dai familiari? Dai medici? Tutte domande
(e ce ne sarebbero molte altre) che non trovano
facili ed univoche risposte, quando meglio sarebbe per tutti affidare,
in scienza e coscienza, al diretto rapporto medico-paziente-familiari
la gestione finale dei vari casi specifici che sono sempre singolarmente
unici e irripetibili e mai classificabili entro rassicuranti e deresponsabilizzanti “griglie
di lavoro” né codificabili in linee di indirizzo.
Volontà del paziente
Oggi si sottolinea giustamente il principio della libertà del
soggetto, garantita dalla Costituzione, di rifiutare terapie oppure
di volere morire. Teoricamente siamo tutti d’accordo: chiunque
può rifiutare una terapia (e nell’ospedale a volte succede)
o desiderare di morire (specie se in stato terminale). Sommessamente
desidero innanzitutto riportare la mia personale esperienza nel campo
dei casi limite di suicidio (per i quali provo un rispetto assoluto
e profondo) o di tentato suicidio. Nel primo caso la persona raggiunge
lo scopo e nessuno obietta alcunché, anche se la Procura della
Repubblica svolge comunque sempre le sue riservate indagini. Nel caso
di tentato suicidio (che in gergo chiamiamo tentamen- tentativo, il
più delle volte per assunzione “incongrua” di psicofarmaci),
la volontà del soggetto, sostenuta da svariate motivazioni, è chiarissima:
IO VOGLIO MORIRE. Che poi ci sia o meno un tratto psicotico sottostante
a provocare una tale decisione, ciò resta del tutto ininfluente
perché immediatamente scatta comunque la risposta sanita-ria
pubblica: ricovero immediato, controllo costante a vista, terapia ansiolitica
antidepressiva, eventuale contenzione, consulto psichiatrico… Insomma:
nessuno lo lascia morire e tutti si affannano a salvargli la vita contro la sua stessa volontà, che (pur chiaramente espressa nei fatti)
viene così immediatamente repressa. “E’ costituzionale
tutto ciò?” chiedo ai sostenitori del diritto di morire,
i quali, se coerenti, dovrebbero accondiscendere alla volontà di
queste persone e porgere loro i mezzi per il suicidio, al fine di rispettarne
la volontà. Esagerato? Paradossale? Ho voluto di proposito portare
questo esempio estremo di VOLONTA’ ESPRESSA per dimostrare che
non sempre (quasi mai) il desiderio (di morire) o la volontà (in
un eventuale testamento biologico) appaiono univoche e coerenti, mentre
si potrebbero facilmente prestare a svariate interpretazioni di legge,
facoltà in cui eccellono i giudici italiani (prova ne sono
le diverse sentenze nei vari gradi di giudizio, spesso diverse quando
non diametralmente opposte). E’ tanto vera questa mia proposizione
che, nella mia ultratrentennale attività medica ospedaliera,
non ho MAI ricevuto da nessun paziente (neoplastico terminale o molto
attempato o paralizzato) la richiesta di voler morire: tutti restano
tenacemente aggrappati al filo sottilissimo della loro vita; piuttosto
i parenti (peraltro molto raramente) esprimono un (in)conscio desiderio
di interrompere una vita ormai agli sgoccioli: ma i diretti interessati
non lo richiedono MAI. Possono semmai, sotto effetto farmacologico,
sussurrare: “Lasciatemi morire” ma non diranno mai:”Fatemi
morire”. Chiedono di non soffrire (certamente), ma questo è un
altro problema che oggi trova soluzioni sempre adeguate ed efficaci,
considerando che l’armamentario farmacologico attuale è assai
vasto e articolato e riesce sempre a controllare qualsiasi tipo di
dolore, anche se a volte la sedazione terminale, debbo chiarirlo, può a
volte accelerare una morte ormai imminente: ma questa non può assolutamente
definirsi eutanasia ma solo effetto collaterale non voluto, seppure
paventato, di un farmaco utilizzato per lenire o eliminare il dolore.
La volontà di morire non è dunque affare di poco conto
ma spesso è dettata da estemporanei stati emozionali in condizioni
di pieno benessere (“preferirei morire piuttosto che restare
così”) o da posizioni ideologiche precostituite (“sono
radicale per cui sostengo il diritto di morire”), più che
da vera e approfondita riflessione.
Un testamento biologico?
E dunque se ora si potrà redigere il cosiddetto “testamento
biologico”, chi spiegherà all’estensore-firmatario
di questo documento le varie fasi del fine-vita, come può avvenire
la morte, quali segni e sintomi si manifestano, come procedere nelle
varie tappe ecc…? Neppure un medico esperto, lo posso garantire,
può conoscere davvero con certezza la prognosi di uno stato
di malattia, la sua evoluzione prossima e futura, i suoi risvolti più imprevedibili,
i suoi imprevedibili recuperi, i misteriosi accadimenti e le impensate
migliorie, meno che mai le certezze di un preciso e sicuro sbocco definitivo.
Più volte, nella mia lunga professione, ho dovuto rimangiarmi
sicure (per me) prognosi e altrettante certezze, proprio perché l’organismo
umano, lungi dall’essere conosciuto completamente, diventa ogni
giorno che passa un rompicapo ed un puzzle di difficilissima comprensione,
mentre ogni malato ha una precisa storia a sé stante che non
può quasi mai essere comodamente incasellata in schematismi
o flow-chart preconfezionati, salvo rimediare pessime figure prognostiche:
a volte ho dato per irrecuperabile un malato che “sembrava” irrecuperabile;
a volte invece ho incautamente tranquillizzato i parenti di un paziente,
morto improvvisamente solo pochi giorni dopo! Usualmente si ritiene
che il medico sia un personaggio onnisciente e quasi onnipotente:
purtroppo è vero il contrario perché (come dicevano i
buoni filosofi socratici) più uno sa e più sa di non
sapere; più approfondisci le problematiche e più esse
si ramificano e si fanno complesse. Il medico deve essere umile, deve
essere consapevole dei propri limiti umani e scientifici, deve essere
consapevole soprattutto che un malato possiede sempre una sua personale
reattività (di fronte ad una malattia) che spesso sfugge ad
ogni strumento ed analisi. Un medico troppo sicuro di sé stesso è pericoloso
per sé e soprattutto per gli altri, così come è un
cattivo medico il medico “pietoso” (quello che, per pietà del
malato, non gli amputa la mortifera gamba cancrenosa). Per tutti questi
motivi, mi pare davvero azzardato assurdo e irragionevole oltre
che difficilissimo redigere, in pieno benessere psico-fisico, un testamento
biologico che stabilisca a priori, ora per allora, come dovranno comportarsi
i sanitari nei miei confronti. Porto alcuni esempi
estremi esplicativi di ciò che potrebbe avverarsi: “Andrò in
arresto cardiaco? Non mi si rianimi (potrei restare in stato apallico)...
Andrò in
fibrillazione ventricolare in corso di infarto? Non mi si cardioverta
(potrei restare cerebroleso)... Avrò un craniotrauma? Non mi
si sorvegli né mi si sedi (potrei evolvere in SVP)... Avrò un
tumore? Non mi si curi (potrei diventare un sofferente terminale cachettico)...
Andrò in coma? Non mi si intubi (potrei restare neuroleso)...
Avrò una
grave emorragia con rischio di vita? Non mi si trasfonda sangue (potrei
beccarmi l’AIDS o l’epatite C o qualche altra malattia
ancora ignota)...”. E ancora: “Se vado in coma,
fatemi morire, qualora non mi svegliassi entro 7 giorni...” (e
magari all’ottavo
avresti potuto proprio dare segni di vitalità neurologica). “Se
resto paralizzato e senza parola per oltre un mese, fatemi morire...” (e
magari proprio al 32° giorno avresti potuto iniziare a migliorare)… E
allora: Come è possibile infatti predisporre un testamento
biologico di fine-vita, quando la situazione personale di ciascuno
evolve nel
tempo e si modifica continuamente? Come si fa a presumere
che tra qualche tempo la tua situazione psichica-fisica-spirituale
non sarà mutata
o che il progresso medico non avrà fatto decisivi passi avanti?
Chi ti dice che i tuoi cari vorranno la tua morte o che preferiranno
invece accudirti amorevolmente in casa, giorno dopo giorno, fino allo
spegnimento naturale di tutte le tue funzioni vitali, come è sempre
finora avvenuto nella storia dell’uomo? Sta purtroppo silenziosamente
evaporando uno dei sentimenti umani più profondi, la compassione,
quella vera che, anche etimologicamente, significa “soffrire
insieme” (dal latino cum-patior: soffrire con). Se poi si uccide
anche la speranza, si uccide l’uomo, perché solo
l’uomo
può sperare: nessun altro essere vivente ne è capace.
Ricordo che perfino gli antichi greci paragonavano la speranza ad
una dea (Elpìs monè theà), anzi all’ultima
dea (per i cristiani essa è più prosaicamente una virtù,
seppur teologale). Vogliamo davvero ucciderla?
Nutrizione e idratazione: sono terapia?
Tutti oggi siamo d’accordo sull’ uso proporzionato (e
non futile) dei vari mezzi terapeutici ordinari e straordinari (spesso
assai costosi) che la medicina attualmente mette a disposizione: respiratore
automatico, pace-maker, trapianto di organi, contropulsatore aortico,
emodialisi, ma anche chemioterapici, anticorpi monoclonali ecc. che
vanno utilizzati solo in previsione di un risultato positivo e che
non dovrebbero essere adottati (o procrastinati) qualora procurassero
solo un prolungamento precario e penoso della vita (= accanimento
terapeutico). Ma una recente sentenza del tribunale italiano
(formato da giudici non medici) ha stabilito che anche alimentazione
e idratazione “forzate” sono “terapia” a
tutti gli effetti: da ciò discende che la NET (nutrizione enterale
totale, tramite SNG) può costituire accanimento terapeutico.
Altra cosa è la NPT (nutrizione artificiale per via venosa:
questa certamente suscettibile di diventare spesso accanimento terapeutico).
Desidero pacatamente riportare la mia esperienza anche in questo ambito.
Fino a circa 25-30 anni fa, si poneva il sondino naso-gastrico
(SNG)
in quei pazienti che momentaneamente o prevedibilmente più a
lungo, fossero stati impossibilitati a nutrirsi adeguatamente per via
orale. Ebbene allora, con un siringone di plastica, attraverso il SNG,
introducevamo manualmente: acqua, succhi di frutta, frullati
di frutta, yogurth, crema di banane, omogeneizzati, addirittura minestrine: insomma
cibo normale ai consueti e canonici orari di sempre. Quando il SNG
si ostruiva, lo liberavamo con uno schizzo di portentosa… CocaCola,
sempre presente sul comodino del paziente! I parenti diventavano esperti
di alimentazione tramite SNG anche a domicilio. Poi le ditte farmaceutiche
fiutarono il business anche in questo settore ed oggi siamo sommersi
da pompe elettriche 24/h e da sacche nutritive multiformat: per diabetici,
per ipertesi, ipercaloriche, con oligoelementi, con sali minerali… Insomma:
non c’è che l’imbarazzo della scelta! Senza dire
che queste sacche artificiali (comode certamente) provocano spesso
fastidiosi effetti collaterali, fra tutti la diarrea (e allora: cambia
sacca, rallenta la velocità di infusione…). Dopo questa
geniale (e interessata) soluzione, qualcun altro ha inventato la PEG
(gastrotomia percutanea): il SNG, anziché attraverso il naso,
raggiunge direttamente lo stomaco attraverso un forellino praticato
sulla cute dell’addome: comodissimo, praticissimo, esteticamente
eccellente, quasi mai problemi. Ora tutti questi piccoli progressi
della NET sono stati oggi considerati “terapia” dal tribunale
italiano. Chiedo: se fossimo rimasti alle banane frullate e
CocaCola frizzante, chi si sognerebbe di etichettarle come terapia
o accanimento
terapeutico? Credo proprio nessuno, salvo coprirsi di ridicolo. Praticamente
si è voluto chiamare terapia solamente un banale progresso tecnico
e la “forzatura” di questa alimentazione (definita perciò accanimento
terapeutico) sarebbe data dal posizionamento di un presidio sanitario
quale è considerato il SNG (banale tubicino di gomma siliconata)
che poi ha la stessa funzione del biberon per i neonati o dell’ addensante
per i disfagici (difficoltà a deglutire) colpiti da ictus cerebrale
mentre può essere tranquillamente paragonato al catetere vescicale
dei prostatici. Possono forse essere considerati “forzatura” il
biberon o l’addensante o il catetere vescicale? A me pare proprio
di no. Con questa sentenza però si è attribuito al SNG
la peculiarità di cambiare funzione a seconda della persona
cui viene posizionato: banale accorgimento tecnico per una certa categoria
di utenti, accanimento terapeutico per un’altra. In questo modo
però si opera una chiara discriminazione sulle persone, a tutto
svantaggio di quelle più fragili e indifese, alle quali viene
negata così una banalissima opzione accessibile a tutti gli
altri.
Nutrizione
e idratazione: è accanimento terapeutico?
Ma ammettendo, per ipotesi, che alimentazione e idratazione possano
essere considerate un accanimento terapeutico, qualora noi interrompessimo
questo naturale sostentamento vitale (eutanasia passiva?), il malato
avrebbe davanti a sé un discreto periodo temporale di provocata
agonia terminale (10-15 giorni) caratterizzati da progressiva insufficienza
renale (volgarmente detta “blocco renale”) dovuta alla
perdita fisiologica di liquidi (non più rimpiazzati) che evolverà fino
alla anùria finale. Prima però di decedere (1 o 2 settimane),
nessuno di noi può sapere quali sintomi spiacevoli il malato
(in coma o incosciente o incomunicante) potrà avvertire,
a meno di non introdurre una progressiva terapia farmacologia antidolorifica
e sedativa, in grado di accelerare però l’exitus (eutanasia
attiva?). In questo caso ci troveremmo però di fronte ad una
situazione penosa sia per il malato che per chi gli sta accanto:
paradossalmente, meglio a questo punto sarebbe per lui una morte
provocata, immediata e tempestiva, che eviterebbe dolore e sofferenza
prolungati. Vorrei infine sottolineare un aspetto decisivo: quando
Madre Natura ha fissato il suo corso nei riguardi di una persona
che sta per morire (o la greca Parca ha deciso di tagliare il filo),
non esiste alcuna terapia in grado di prolungarne la sopravvivenza:
né SNG, né flebo, né farmaci, né idratazione “forzata” (a
meno di non ricorrere alle sofisticate macchine cardio-respiratorie
moderne, ma questo sarebbe super- accanimento terapeutico)... Solo
il calore umano e l’ immutato o accresciuto affetto di chi
sta attorno al malato sono in grado di favorire e preparare una “buona
e naturale morte”, questa davvero sì eu-tanasia, nel
senso più vero del termine. E la Natura stessa, in questi
tragici ultimi frangenti, se non viene ostacolata da estemporanee
quanto inutili forzature terapeutiche, quasi venendo incontro alla
trepidazione dei parenti ed alle sofferenze del malato (che difficilmente
accetterebbe di morire se fosse in piena coscienza), provvede a far
scaturire ed emergere risorse fisico-chimiche a livello cerebrale
(e non solo) in grado di attenuare dolore e patimenti del moribondo e di obnubilarne la coscienza, tanto è vero che la grande
maggioranza delle persone, essendo sul punto di morire di morte naturale,
muore inconsapevole, quasi addormentandosi: se così non fosse,
la morte sarebbe terribilmente dolorosa ed inaccettabile per una
persona lucida e totalmente conscia di sé (raramente però accade
anche questo e tale evenienza risulta assai drammatica e struggente
sia per il morente che per i parenti). In questi casi debbo riconoscere
che coloro che sono sostenuti da una fede religiosa matura (e non
superstiziosa), affrontano il momento decisivo con una serenità d’animo
davvero stupefacente, al di là dei ruoli di ciascuno: così ho
visto gente semplice morire con una dignità ammirevole, ho
visto “fedeli” morire in maniera dolorosamente faticosa
e problematica…
Conclusione
“
Dare da bere agli assetati” e “dare da
mangiare agli affamati” (chiunque
essi siano) non dovrebbero essere considerati terapia o accanimento terapeutico
ma debbono restare (a mio sommesso avviso) solo e semplicemente due delle sette
opere di misericordia (corporale? chi se le ricorda più?) che ciascuno
(cristiano islamico buddista agnostico o ateo) ancora oggi è chiamato
universalmente a praticare. Non mi dilungo oltre, anche se l’argomento
si presterebbe ad ulteriori riflessioni riguardanti più propriamente
l’eutanasia, ma ritengo che questi spunti siano sufficienti per una personale
riflessione, libera da ideologie o da pregiudizi. Riflettere fa bene allo
spirito, stimola i neuroni, aiuta a vivere meglio e soprattutto consente di
approfondire il confronto con chi, legittimamente, la pensa in maniera diversa.
dal
Bollettino Parrocchiale "San Danêl" di Paluzza
agosto 2009
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