PROBLEMI ETICI
NELLA DIOCESI DI ZUGLIO

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Su sollecitazione di alcuni amici frequentatori di Cjargne Online, ho ritenuto opportuno inserire questo particolare spazio dedicato ai vari problemi di carattere etico-morale che, anche nella DIOCESI DI ZUGLIO, vengono attualmente dibattuti a vari livelli, maggiormente sui Bollettini Parrocchiali.
Ciò ovviamente non impegna assolutamente la linea editoriale di questo sito, che accoglierà tutte le riflessioni ed i pensieri di chiunque vorrà partecipare a questa singolare e personalissima focalizzazione su tali tematiche.

Alfio Englaro

1978 - 2008
30 anni di legge 194
TROPPI NATALI SOPPRESSI

Nota storica
Il Parlamento italiano nella sua sovranità, il 29 maggio 1978, approvo’ a maggioranza la legge 194, promulgata e controfirmata dai ministri (tutti cattolici democristiani) Tina Anselmi (Sanità), Paolo Bonifacio (Guardasigilli), Giulio Andreotti (Presidente del Consiglio) e dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone (pure lui democristiano e cattolico). A favore di questa legge votarono: PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI. Contro invece si espressero: MSI-DN e DC, oltre che, per motivi opposti, Democrazia Proletaria e Partito Radicale che puntavano sul referendum per ottenere una maggiore permissività. Ricordo che proprio in quell’ anno memorabile 1978 (rapimento ed assassinio di Aldo Moro e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse, morte di Paolo VI, elezione e morte di Giovanni Paolo I, ele-zione di Giovanni Paolo II) era stato costituito il 4° Governo del romano Andreotti, un monocolore DC, appoggiato dall’esterno e per la prima volta, oltre che da socialisti, socialdemocratici e repubblicani, anche dai comunisti, che insieme formarono così un governo di cosiddetta “unità nazionale”. Per contro nei medesimi anni, l’altrettanto cattolico re Baldovino del Belgio, piuttosto che apporre la propria firma ad una analoga legge abortista, si dimise dalla carica per il tempo necessario! Una breve digressione: il più noto e famoso Ponzio Pilato (romano anch’egli, ma– a sua parziale scusante- non cattolico), quando si trovò nella situazione di poter liberare Gesù (consiglio di rileggere attentamente questo passo di Matteo), pur sapendolo “Giusto” e incolpevole ricorse a quel (primo?) famoso referendum: “Volete che vi liberi Gesù o Barabba?” e sappiamo bene come “democraticamente” rispose quella “maggioranza” manipolata dai capi del Sinedrio. Il “referendum” tra Gesù e Barabba prefigura così ogni occasione in cui il popolo viene eretto a fonte ultima della verità. E “Pilato dunque resta il simbolo della democrazia relativistica e scettica, basata non su verità e valori, ma su procedure” (Card. Joseph Ratzinger, 1993). Perché quando si sacrifica la verità al consenso, si cade giocoforza nel relativismo (etico e morale), ma prima o poi se ne paga il prezzo.

La legge
Questa legge, che non tutti hanno letto per intero, è composta da ben 22 articoli, la cui integrale riproposizione risulta qui impossibile. Il titolo di questa legge è: NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITA' E SULL'INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA”. Cito, per sommi capi, i punti salienti di questa legge dello Stato italiano, che tutti sono tenuti a rispettare. Nell'art.1 si dice: “L’interruzione volontaria della gravidanza non è un mezzo di controllo delle nascite…” Nell' art. 2 si legge: “I consultori familiari… assistono la donna in stato di gravidanza, informandola sui diritti.. contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.” Andiamo oltre: l'art. 4 recita: “...per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza o il parto o la maternità, comporterebbero un serio pericolo per la sua salute psichica e fisica…” E ancora l'art. 5 recita: “…il consultorio e la struttura socio-sanitaria hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di IVG sia motivata da condizioni economiche o sociali o familiari, di esaminare le possibili soluzioni dei problemi proposti e di aiutarla…”
Le sottolineature ed i grassetti stanno ad indicare che questa legge dello Stato (non solo a mio modestissimo modo di vedere) non è stata affatto applicata e fatta applicare in tutte le sue articolazioni.

Un fatto emblematico
Opedale di Careggi (FI) 2007. Una donna incinta si sottopone ad una serie di sofisticate indagini per sapere se il figlio che ha in grembo è sano. Quando ormai il feto ha 5 mesi, viene diagnosticata una grave malformazione (agastrìa, assenza di stomaco) per cui si decide di eliminare il problema eliminando il bimbo con un aborto “terapeutico”. Accade l’imprevisto: il bimbo viene estratto vivo, un “sopravissuto alla legge 194”. Quando i medici, che avrebbero dovuto eliminarlo, si accorgono che respira ancora, sono costretti a rianimarlo e a curarlo, come si fa con qualsiasi paziente e a dargli un nome: Tommaso. Dopo pochi giorni tuttavia il bimbo, che alla nascita-aborto pesava gr 500 ed era lungo cm 22, non ce la fa e muore. Si fa l’autopsia: la malformazione, unica colpa del piccolo, non c’era. Panico mediatico... Se questo bimbo fosse stato estratto morto con l’aborto, come di solito accade, nessuno avrebbe saputo nulla. Questa è solo la punta dell’iceberg dell’aborto di Stato.

Brevi riflessioni
- La promulgazione statale di questa legge ha insinuato in tutti noi (sia atei che credenti) l’idea che questa sia una legge buona e morale, solo perché legalizzata da un Parlamento (seppure transeunte ed a forte connotazione laicista e di sinistra): in questo modo abbiamo confuso la legalità statale con la morale (o legge) naturale.
- Con questa legge parlamentare in effetti è stato scardinato un principio universale (in questo caso quello della vita) e si è dato origine a quel relativismo etico (secondo cui non esiste alcun principio morale né alcuna verità immutabile ma tutto e sempre si modifica e si adegua alla realtà contingente) che oggi sta raggiungendo livelli impressionanti di applicazione. Si è cioè delegato ad un gruppo di persone (i parlamentari organizzati in partiti), di trattare e legiferare su principi universali che non sono assolutamente trattabili e negoziabili per nessuno, neppure per la Chiesa (tanto meno per lo Stato), perché sono principi pre-politici e pre-religiosi, insiti nella natura di qualsiasi uomo (“in interiore homine habitat veritas” insegnava già l’africano S. Agostino nel IV secolo d.C. Ed anche il filosofo tedesco Kant, che certo cattolico non era, ancora nel 1700 sintetizzava: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” frase diventata poi la sua epigrafe tombale). Principi dunque che, essendo appunto universali, non possono essere assolutamente modificati o conculcati neppure da maggioranze parlamentari, che (ieri) esistevano e che (oggi) sono già evaporate (mentre i pesanti danni sociali ed etici restano e si moltiplicano nei decenni). La democrazia non è il fine ma solo uno strumento, un mezzo per migliorare la società. Come tale, la sua moralità (della democrazia) non è automatica ma dipende dalla conformità delle “sue” leggi alla Legge naturale (da non confondere affatto con la religione). Se dunque la legge pro-aborto è stata approvata con procedura democratica, la sua ingiustizia rimane invariata e questa democrazia non può essere più una democrazia che aiuta a migliorare la società, ma un totalitarismo invisibile, che si è accanito e si accanisce sugli esseri umani più inermi e indifesi: quelli non ancora nati.
- Dai principi naturali universali discendono i valori specifici e particolari che sono la bussola del vivere quotidiano. Una volta manomessi, scardinati e scassati i principi, anche i valori che ne derivano vengono irrimediabilmente calpestati o obliterati con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: disconoscimento della famiglia tradizionale, matrimoni omosessuali, manipolazione di embrioni, eliminazione di embrioni soprannumerari, eutanasia... E a proposito di eutanasia non si deve credere che siano solo sinistre e radicali a sostenerla ed a promuoverla: già il nazionalsocialismo, prima di arrivare al genocidio pianificato degli ebrei, la praticò efficacemente sopprimendo fisicamente centiniaia di cittadini tedeschi (le fonti più accreditate parlano di oltre 80.000 persone), colpevoli solo di essere portatori di minorazioni fisiche o psichiche (e quindi vite “indegne di essere vissute”): Down, paralitici, malati di mente, inabili/disabili, malati terminali…; una di queste vittime dell’eutanasia attiva nazista fu anche una cugina dell’attuale papa Ratzinger, come egli stesso ebbe a ricordare recentemente.
- Viviamo in una società fatta solo di diritti (oltre che di consumi). Osserva: dapprima taluni privilegi conseguiti nel tempo da alcune categorie del pubblico impiego (posizioni retributive, anzianità velocizzate, pensionamenti precoci ecc…) sono stati trasformati in diritti acquisiti; poi fu la volta di alcuni naturali e normali desideri (desiderio di un figlio, di una casa di proprietà, di una buona salute…) che si tramutarono innaturalmente e assurdamente in diritti; infine, culmine del paradosso e dell’aberrazione, si è giunti al punto che perfino un delitto (prima del 1978 punito penalmente) sia stato trasformato in diritto da una legge di Stato: il diritto di ogni donna di poter sopprimere il proprio figlio in grembo! Ci troviamo in una lunga “notte della coscienza” in cui il bene è chiamato male e il male bene, in cui il lunghissimo catalogo dei diritti ha cancellato totalmente il pur breve elenco dei doveri, in una confusione che disorienta e avvilisce la nostra stessa società, avviandola verso una lenta progressiva dissoluzione. Tanto è vero che, neppure oggi, nessun politico cosiddetto cattolico (ma ce n’è in giro?) osa sollecitare questo Parlamento (che avrebbe i numeri per farlo) a rivisitare e riconsiderare questa ingiusta legge dello Stato italiano. Si fa finta di non vedere.

Effetti concreti della legge
1. Gli aborti volontari (burocraticamente: IVG) effettuati nell’Ospedale di Tolmezzo, con l’utilizzo della Legge 194, nel solo periodo 1984-2007, ammontano a 2.140. Questo dunque è il numero certo dei bambini carnici NON NATI. Se aggiungiamo le presumibili cifre relative al quinquennio 1978-1983 (di cui non si conoscono i dati) e quelle del corrente anno 2008, abbiamo questo risultato: in 30 anni di applicazione della legge 194, è stata cancellata dalla Carnia una popolazione ben superiore a quella dell’intero nostro comune di Paluzza!
2. Nell’intero nostro Paese i dati sono assai più allarmanti: al 31 dicembre 2007, gli aborti volontari totali effettuati in Italia con la legge 194 sono stati: 4.864.783 (quattro milioni ottocentosessantaquattromilasettecentoottantatrè), equivalenti ad una media di circa 150.000 all’anno. Come se avessimo cancellato insieme ROMA, MILANO, NAPOLI, ANCONA! Le bombe di Hiroshima e Nagasaki non fecero una simile strage! Neppure le ultime guerre in Afghanistan e in Iraq. Non cito neppure i dati europei: sono incredibilmente spaventosi se raffrontati a un qualsiasi genocidio recente o passato! Queste notizie e considerazioni però non compaiono né su Repubblica né sul Corsera né sul Messaggero Veneto, ma neppure su Famiglia Cristiana o su Vita Cattolica, perché non sono politicamente corrette, come si usa dire oggi, nel senso che infastidiscono o urtano la cultura egemone ed il pensiero unico dominante, il quale informa ormai indistintamente tutti i mass media, annebbiati da una spessa coltre di conformismo ipocrita che chiama eufemisticamente “interruzione volontaria di gravidanza” la soppressione violenta e immotivata di un “essere umano” incolpevole, quale è il feto.

Considerazioni finali
- Se pensiamo che le vittime di questa legge di stato sono innocenti bambini mai nati, allora davvero questi numeri interpellano la nostra coscienza e il nostro modo di vivere in questa “società (cosiddetta) civile” e progredita, indipendentemente dalla fede religiosa che ciascuno può professare o meno. Nè possiamo lamentarci se questi paurosi vuoti demografici generati (anche) dalla legge 194, oltre che dalla denatalità, inducono e alimentano poi problemi sociali a vari livelli (scuole chiuse, paesi vuoti, case abbandonate, ambiente trascurato, pensioni future in pericolo…).
- Se infine riflettiamo che i primi a gridare contro la chiusura delle scuole e l’abbandono dei paesi sono poi quei gruppi favorevoli all’aborto e alla denatalità, allora ci rendiamo davvero conto come la protervia e la follia umana siano giunte al culmine del paradosso che può essere così sintetizzato: chi vorrebbe un figlio, (spesso) non può averlo; chi lo ha, (spesso) non lo vuole (e lo sopprime). Potrà mai finire bene questa società?

dal Bollettino Parrocchiale "San Danêl" di Paluzza
dicembre 2008

 

 

TESTAMENTO BIOLOGICO ED EUTANASIA
Riflessioni e appunti sul fine-vita e dintorni

Credo sia ragionevole ed opportuno affrontare serenamente questo cruciale e decisivo argomento che attraversa la nostra società, determinando lacerazioni e divisioni, prima impensate, anche all’interno della stessa comunità cristiana e purtroppo anche nella gerarchia cattolica. Lo farò però da un punto di vista strettamente laico. Ad altri spetta l’approccio morale e religioso.

Antefatto
L’attuale discussione attorno al “testamento biologico”, mi riporta indietro di 30 anni e precisamente a quel confuso periodo del 1978 quando fu approvata a tamburo battente la legge sull’aborto volontario (legge 194), di cui ho diffusamente trattato nel numero natalizio del 2008 di questo Bollettino ed al quale rimando per una più proficua comprensione di queste note. Ricordo benissimo che nel 1978 le femministe (oggi stranamente assenti persino di fronte alle tragiche condizioni dell’universo femminile islamico) urlavano “l’utero è mio e me lo gestisco io!” alzando le mani sopra la testa in quell’ indimenticato gesto, mentre la propaganda radical-socialista (e non solo) batteva subdolamente e incessantemente sempre il tasto dei casi-limite (sui quali vi era e vi è un ampio consenso laico trasversale) e cioè: gravidanze frutto di stupri e gravissime malformazioni fetali, per far passare “nell’immaginario collettivo” della società italiana l’idea della bontà e ragionevolezza della procedura abortiva tout court. Sappiamo bene poi come è andata a finire: l’aborto, più che la sofferta e ineludibile soluzione ai casi estremi, è ormai a tutti gli effetti diventato un metodo anticoncezionale de facto, anzi IL metodo anticoncezionale più sicuro ed efficace, spesso utilizzato anche più volte da una medesima donna. Infatti nessuno oggi si sogna di sostenere che gli oltre 150mila aborti annui italiani (tra cui i 130 circa di Tolmezzo) vengono richiesti ed eseguiti per accertate gravissime malformazioni fetali o per interrompere gravidanze indesiderate causate da stupro! Ciò dimostra ampiamente che quando si cede (anche per motivi apparentemente plausibili) su un principio generale, si crea una pericolosissima breccia che, dopo poco tempo, fa crollare l’intera bastionata degli stessi valori che si pensava di difendere.

Preliminare
Qualcosa di simile sta dunque accadendo anche oggi con il cosiddetto TESTAMENTO BIOLOGICO (faccia presentabile e politicamente corretta della EUTANASIA). Prima di affrontare questo specifico argomento, mi permetto di ricordarti due punti:
A. Da lungo tempo esiste in Italia il CONSENSO INFORMATO per il quale, in assenza di un esplicito responsabile e firmato assenso del paziente, non è possibile eseguire alcuna azione terapeutica: né una trasfusione di sangue, né una terapia oncologica, né una pro-cedura medica mini-invasiva (come una biopsia), né tantomeno nessun tipo di intervento chirugico. Se il paziente non dà il suo consenso, esprimendo chiaramente la propria volontà, il medico non può assolutamente agire. Certamente ricordi il rifiuto all’amputazione dell’ arto inferiore cancrenoso da parte di quella donna che poi morì a seguito di tale rifiuto. Certamente sai anche che i testimoni di Geova non accettano (legittimamente peraltro) la trasfusione sanguigna (e tutti i derivati del sangue) neppure in articulo mortis, salvo intervento coercitivo della Procura della Repubblica che agisce ope legis, ma che configura così però una “pesante ingerenza dello Stato nella sfera privata di un cittadino” (direbbero taluni), per salvaguardare un bene primario “indisponibile” per chiunque, la vita, bene primario tutelato dalla nostra Costituzione, ben prima della libertà individuale.
B. Esistono i Donatori di Sangue, che debbono sottoscrivere un consenso informato previo accertamento di idoneità. Esistono oggi anche i Donatori di Organo (ADO), i quali sottoscrivono un consenso informato a futura memoria in cui assentono al prelievo di organi dal proprio corpo, una volta, badate bene, giudicato “morto” da una equipe di medici (vedi più avanti).

Un sentiero sdrucciolevole
Ed oggi, da quando si è iniziato a camminare sul sentiero scosceso e sdrucciolevole dell’eutanasia (dal greco: eu-buona, Thànatos-morte), il passo falso è sempre in agguato e facilmente si può precipitare nell’eugenetica (seppure mai espressamente nominata) che rappresenta il discusso (e discutibile) aspetto della genetica che si prefigge di modificare il patrimonio genetico in senso migliorativo (gli esperimenti dei medici nazisti su cavie umane miravano esattamente a questo scopo). Se dunque ci si propone di “migliorare” la vita a tutti i livelli, da inizio-vita con l’eugenetica a fine-vita con l’eutanasia, il metro di giudizio e di valutazione sarà ovviamente il BEN-VIVERE o meglio la “dignità del vivere”, ove per dignità si deve intendere una QUALITA’ di vita il più possibile perfetta o vicino alla perfezione, i cui canoni sono ovviamente: assenza di malattia, relazioni esterne conservate, autonomia delle proprie funzioni, indipendenza da altri; ma anche (e perché no?) bellezza e prestanza fisica, successo, giovanilismo: a ben vedere proprio il modello televisivo di tutti i giorni. Quanto più uno si avvicina a questo modello, tanto più è degno di vivere; quanto più se ne allontana, tanto meno è degno di vivere. Se dunque il criterio del “vivere bene” o “dignità di vita” dovesse lentamente affermarsi come la fonte di una nuova visione della società estesa a tutti i livelli, si introdurrebbe specularmente un nuovo diritto: quello di morire, attribuibile ed applicabile agli “indegni” di vivere. E si sa dove si inizia ma non si sa dove si può arrivare.
Ora vorrei farti osservare quanto segue:
1). circa 20 anni fa, si introdusse, senza tanti clamori mediatici, la diagnosi di “morte cerebrale” certificata dall’EEG piatto, che ha dato avvio agli espianti d’organo da soggetti con cuore battente e perfettamente funzionante, pure se con danni cerebrali ritenuti irreversibili, per i quali oggi è richiesta un’ osservazione di sole 6 ore (prima di poter effettuare l’espianto), contro le 24-48 ore dei primi tempi: questa drastica riduzione del tempo di attesa-sorveglianza, suscita più di qualche perplessità; una volta eseguito il prelievo dei vari organi che interessano, il cuore del donatore viene fermato con una piccola scossa elettrica oppure farmacologicamente: solo in quel preciso istante il paziente è morto per l’anagrafe civile e lo Stato italiano (e anche per me oltre che per il buon senso ed il senso comune).
2). si è ora passati a discutere dei pazienti SLA terminali (sclerosi laterale amiotrofica: immobilizzati, dipendenti da un respiratore automatico ma perfettamente coscienti) e SVP (stato vegetativo persistente: immobilizzati, autonomi nelle funzioni vitali, grado di co-scienza ignoto, assenza di comunicazione esterna) che, rappresentando appunto dei casi-limite, bene si prestano per reclamare una eutanasia passiva od omissiva (ricordo che, per legge, gli SLA e gli SVP non possono però essere sottoposti ad espianto d’organi, proprio perché considerati perfettamente vivi anche dal punto di vista cerebrale: un espianto da questi soggetti potrebbe configurare un omicidio volontario aggravato).
3). successivamente, passo dopo passo, si potrebbe facilmente arrivare agli Alzheimer avanzati (incapaci di relazioni esterne), alle malattie fortemente invalidanti (che esigono risorse umane e finanziarie), ai neoplastici terminali (che costano sempre di più alla so-cietà), ai Parkinsoniani (ormai irrigiditi come pietre): l’ Olanda insegna già qualcosa… Non paia sconveniente o allarmistica o terroristica questa visione, ma per l’aborto le cose sono andate esattamente così e nulla oggi mi rassicura che non sarà così anche con il testamento biologico e/o eutanasia (che sono le due facce dello stesso problema); un testamento biologico definito da una legge che dovrà fissare un confine non tra vita e non vita, ma tra il degno e l’indegno di essere vissuto: confine del tutto arbitrario e soggettivo che si presterà via via poi ad essere in qualsiasi momento spostato a seconda degli interessi contingenti. E poi: confine stabilito da chi? Dai giudici? Dai parlamentari? Dai familiari? Dai medici? Tutte domande (e ce ne sarebbero molte altre) che non trovano facili ed univoche risposte, quando meglio sarebbe per tutti affidare, in scienza e coscienza, al diretto rapporto medico-paziente-familiari la gestione finale dei vari casi specifici che sono sempre singolarmente unici e irripetibili e mai classificabili entro rassicuranti e deresponsabilizzanti “griglie di lavoro” né codificabili in linee di indirizzo.

Volontà del paziente
Oggi si sottolinea giustamente il principio della libertà del soggetto, garantita dalla Costituzione, di rifiutare terapie oppure di volere morire. Teoricamente siamo tutti d’accordo: chiunque può rifiutare una terapia (e nell’ospedale a volte succede) o desiderare di morire (specie se in stato terminale). Sommessamente desidero innanzitutto riportare la mia personale esperienza nel campo dei casi limite di suicidio (per i quali provo un rispetto assoluto e profondo) o di tentato suicidio. Nel primo caso la persona raggiunge lo scopo e nessuno obietta alcunché, anche se la Procura della Repubblica svolge comunque sempre le sue riservate indagini. Nel caso di tentato suicidio (che in gergo chiamiamo tentamen- tentativo, il più delle volte per assunzione “incongrua” di psicofarmaci), la volontà del soggetto, sostenuta da svariate motivazioni, è chiarissima: IO VOGLIO MORIRE. Che poi ci sia o meno un tratto psicotico sottostante a provocare una tale decisione, ciò resta del tutto ininfluente perché immediatamente scatta comunque la risposta sanita-ria pubblica: ricovero immediato, controllo costante a vista, terapia ansiolitica antidepressiva, eventuale contenzione, consulto psichiatrico… Insomma: nessuno lo lascia morire e tutti si affannano a salvargli la vita contro la sua stessa volontà, che (pur chiaramente espressa nei fatti) viene così immediatamente repressa. “E’ costituzionale tutto ciò?” chiedo ai sostenitori del diritto di morire, i quali, se coerenti, dovrebbero accondiscendere alla volontà di queste persone e porgere loro i mezzi per il suicidio, al fine di rispettarne la volontà. Esagerato? Paradossale? Ho voluto di proposito portare questo esempio estremo di VOLONTA’ ESPRESSA per dimostrare che non sempre (quasi mai) il desiderio (di morire) o la volontà (in un eventuale testamento biologico) appaiono univoche e coerenti, mentre si potrebbero facilmente prestare a svariate interpretazioni di legge, facoltà in cui eccellono i giudici italiani (prova ne sono le diverse sentenze nei vari gradi di giudizio, spesso diverse quando non diametralmente opposte). E’ tanto vera questa mia proposizione che, nella mia ultratrentennale attività medica ospedaliera, non ho MAI ricevuto da nessun paziente (neoplastico terminale o molto attempato o paralizzato) la richiesta di voler morire: tutti restano tenacemente aggrappati al filo sottilissimo della loro vita; piuttosto i parenti (peraltro molto raramente) esprimono un (in)conscio desiderio di interrompere una vita ormai agli sgoccioli: ma i diretti interessati non lo richiedono MAI. Possono semmai, sotto effetto farmacologico, sussurrare: “Lasciatemi morire” ma non diranno mai:”Fatemi morire”. Chiedono di non soffrire (certamente), ma questo è un altro problema che oggi trova soluzioni sempre adeguate ed efficaci, considerando che l’armamentario farmacologico attuale è assai vasto e articolato e riesce sempre a controllare qualsiasi tipo di dolore, anche se a volte la sedazione terminale, debbo chiarirlo, può a volte accelerare una morte ormai imminente: ma questa non può assolutamente definirsi eutanasia ma solo effetto collaterale non voluto, seppure paventato, di un farmaco utilizzato per lenire o eliminare il dolore. La volontà di morire non è dunque affare di poco conto ma spesso è dettata da estemporanei stati emozionali in condizioni di pieno benessere (“preferirei morire piuttosto che restare così”) o da posizioni ideologiche precostituite (“sono radicale per cui sostengo il diritto di morire”), più che da vera e approfondita riflessione.

Un testamento biologico?
E dunque se ora si potrà redigere il cosiddetto “testamento biologico”, chi spiegherà all’estensore-firmatario di questo documento le varie fasi del fine-vita, come può avvenire la morte, quali segni e sintomi si manifestano, come procedere nelle varie tappe ecc…? Neppure un medico esperto, lo posso garantire, può conoscere davvero con certezza la prognosi di uno stato di malattia, la sua evoluzione prossima e futura, i suoi risvolti più imprevedibili, i suoi imprevedibili recuperi, i misteriosi accadimenti e le impensate migliorie, meno che mai le certezze di un preciso e sicuro sbocco definitivo. Più volte, nella mia lunga professione, ho dovuto rimangiarmi sicure (per me) prognosi e altrettante certezze, proprio perché l’organismo umano, lungi dall’essere conosciuto completamente, diventa ogni giorno che passa un rompicapo ed un puzzle di difficilissima comprensione, mentre ogni malato ha una precisa storia a sé stante che non può quasi mai essere comodamente incasellata in schematismi o flow-chart preconfezionati, salvo rimediare pessime figure prognostiche: a volte ho dato per irrecuperabile un malato che “sembrava” irrecuperabile; a volte invece ho incautamente tranquillizzato i parenti di un paziente, morto improvvisamente solo pochi giorni dopo! Usualmente si ritiene che il medico sia un personaggio onnisciente e quasi onnipotente: purtroppo è vero il contrario perché (come dicevano i buoni filosofi socratici) più uno sa e più sa di non sapere; più approfondisci le problematiche e più esse si ramificano e si fanno complesse. Il medico deve essere umile, deve essere consapevole dei propri limiti umani e scientifici, deve essere consapevole soprattutto che un malato possiede sempre una sua personale reattività (di fronte ad una malattia) che spesso sfugge ad ogni strumento ed analisi. Un medico troppo sicuro di sé stesso è pericoloso per sé e soprattutto per gli altri, così come è un cattivo medico il medico “pietoso” (quello che, per pietà del malato, non gli amputa la mortifera gamba cancrenosa). Per tutti questi motivi, mi pare davvero azzardato assurdo e irragionevole oltre che difficilissimo redigere, in pieno benessere psico-fisico, un testamento biologico che stabilisca a priori, ora per allora, come dovranno comportarsi i sanitari nei miei confronti. Porto alcuni esempi estremi esplicativi di ciò che potrebbe avverarsi: “Andrò in arresto cardiaco? Non mi si rianimi (potrei restare in stato apallico)... Andrò in fibrillazione ventricolare in corso di infarto? Non mi si cardioverta (potrei restare cerebroleso)... Avrò un craniotrauma? Non mi si sorvegli né mi si sedi (potrei evolvere in SVP)... Avrò un tumore? Non mi si curi (potrei diventare un sofferente terminale cachettico)... Andrò in coma? Non mi si intubi (potrei restare neuroleso)... Avrò una grave emorragia con rischio di vita? Non mi si trasfonda sangue (potrei beccarmi l’AIDS o l’epatite C o qualche altra malattia ancora ignota)...”. E ancora: “Se vado in coma, fatemi morire, qualora non mi svegliassi entro 7 giorni...” (e magari all’ottavo avresti potuto proprio dare segni di vitalità neurologica). “Se resto paralizzato e senza parola per oltre un mese, fatemi morire...” (e magari proprio al 32° giorno avresti potuto iniziare a migliorare)… E allora: Come è possibile infatti predisporre un testamento biologico di fine-vita, quando la situazione personale di ciascuno evolve nel tempo e si modifica continuamente? Come si fa a presumere che tra qualche tempo la tua situazione psichica-fisica-spirituale non sarà mutata o che il progresso medico non avrà fatto decisivi passi avanti? Chi ti dice che i tuoi cari vorranno la tua morte o che preferiranno invece accudirti amorevolmente in casa, giorno dopo giorno, fino allo spegnimento naturale di tutte le tue funzioni vitali, come è sempre finora avvenuto nella storia dell’uomo? Sta purtroppo silenziosamente evaporando uno dei sentimenti umani più profondi, la compassione, quella vera che, anche etimologicamente, significa “soffrire insieme” (dal latino cum-patior: soffrire con). Se poi si uccide anche la speranza, si uccide l’uomo, perché solo l’uomo può sperare: nessun altro essere vivente ne è capace. Ricordo che perfino gli antichi greci paragonavano la speranza ad una dea (Elpìs monè theà), anzi all’ultima dea (per i cristiani essa è più prosaicamente una virtù, seppur teologale). Vogliamo davvero ucciderla?

Nutrizione e idratazione: sono terapia?

Tutti oggi siamo d’accordo sull’ uso proporzionato (e non futile) dei vari mezzi terapeutici ordinari e straordinari (spesso assai costosi) che la medicina attualmente mette a disposizione: respiratore automatico, pace-maker, trapianto di organi, contropulsatore aortico, emodialisi, ma anche chemioterapici, anticorpi monoclonali ecc. che vanno utilizzati solo in previsione di un risultato positivo e che non dovrebbero essere adottati (o procrastinati) qualora procurassero solo un prolungamento precario e penoso della vita (= accanimento terapeutico). Ma una recente sentenza del tribunale italiano (formato da giudici non medici) ha stabilito che anche alimentazione e idratazione “forzate” sono “terapia” a tutti gli effetti: da ciò discende che la NET (nutrizione enterale totale, tramite SNG) può costituire accanimento terapeutico. Altra cosa è la NPT (nutrizione artificiale per via venosa: questa certamente suscettibile di diventare spesso accanimento terapeutico). Desidero pacatamente riportare la mia esperienza anche in questo ambito. Fino a circa 25-30 anni fa, si poneva il sondino naso-gastrico (SNG) in quei pazienti che momentaneamente o prevedibilmente più a lungo, fossero stati impossibilitati a nutrirsi adeguatamente per via orale. Ebbene allora, con un siringone di plastica, attraverso il SNG, introducevamo manualmente: acqua, succhi di frutta, frullati di frutta, yogurth, crema di banane, omogeneizzati, addirittura minestrine: insomma cibo normale ai consueti e canonici orari di sempre. Quando il SNG si ostruiva, lo liberavamo con uno schizzo di portentosa… CocaCola, sempre presente sul comodino del paziente! I parenti diventavano esperti di alimentazione tramite SNG anche a domicilio. Poi le ditte farmaceutiche fiutarono il business anche in questo settore ed oggi siamo sommersi da pompe elettriche 24/h e da sacche nutritive multiformat: per diabetici, per ipertesi, ipercaloriche, con oligoelementi, con sali minerali… Insomma: non c’è che l’imbarazzo della scelta! Senza dire che queste sacche artificiali (comode certamente) provocano spesso fastidiosi effetti collaterali, fra tutti la diarrea (e allora: cambia sacca, rallenta la velocità di infusione…). Dopo questa geniale (e interessata) soluzione, qualcun altro ha inventato la PEG (gastrotomia percutanea): il SNG, anziché attraverso il naso, raggiunge direttamente lo stomaco attraverso un forellino praticato sulla cute dell’addome: comodissimo, praticissimo, esteticamente eccellente, quasi mai problemi. Ora tutti questi piccoli progressi della NET sono stati oggi considerati “terapia” dal tribunale italiano. Chiedo: se fossimo rimasti alle banane frullate e CocaCola frizzante, chi si sognerebbe di etichettarle come terapia o accanimento terapeutico? Credo proprio nessuno, salvo coprirsi di ridicolo. Praticamente si è voluto chiamare terapia solamente un banale progresso tecnico e la “forzatura” di questa alimentazione (definita perciò accanimento terapeutico) sarebbe data dal posizionamento di un presidio sanitario quale è considerato il SNG (banale tubicino di gomma siliconata) che poi ha la stessa funzione del biberon per i neonati o dell’ addensante per i disfagici (difficoltà a deglutire) colpiti da ictus cerebrale mentre può essere tranquillamente paragonato al catetere vescicale dei prostatici. Possono forse essere considerati “forzatura” il biberon o l’addensante o il catetere vescicale? A me pare proprio di no. Con questa sentenza però si è attribuito al SNG la peculiarità di cambiare funzione a seconda della persona cui viene posizionato: banale accorgimento tecnico per una certa categoria di utenti, accanimento terapeutico per un’altra. In questo modo però si opera una chiara discriminazione sulle persone, a tutto svantaggio di quelle più fragili e indifese, alle quali viene negata così una banalissima opzione accessibile a tutti gli altri.

Nutrizione e idratazione: è accanimento terapeutico?
Ma ammettendo, per ipotesi, che alimentazione e idratazione possano essere considerate un accanimento terapeutico, qualora noi interrompessimo questo naturale sostentamento vitale (eutanasia passiva?), il malato avrebbe davanti a sé un discreto periodo temporale di provocata agonia terminale (10-15 giorni) caratterizzati da progressiva insufficienza renale (volgarmente detta “blocco renale”) dovuta alla perdita fisiologica di liquidi (non più rimpiazzati) che evolverà fino alla anùria finale. Prima però di decedere (1 o 2 settimane), nessuno di noi può sapere quali sintomi spiacevoli il malato (in coma o incosciente o incomunicante) potrà avvertire, a meno di non introdurre una progressiva terapia farmacologia antidolorifica e sedativa, in grado di accelerare però l’exitus (eutanasia attiva?). In questo caso ci troveremmo però di fronte ad una situazione penosa sia per il malato che per chi gli sta accanto: paradossalmente, meglio a questo punto sarebbe per lui una morte provocata, immediata e tempestiva, che eviterebbe dolore e sofferenza prolungati. Vorrei infine sottolineare un aspetto decisivo: quando Madre Natura ha fissato il suo corso nei riguardi di una persona che sta per morire (o la greca Parca ha deciso di tagliare il filo), non esiste alcuna terapia in grado di prolungarne la sopravvivenza: né SNG, né flebo, né farmaci, né idratazione “forzata” (a meno di non ricorrere alle sofisticate macchine cardio-respiratorie moderne, ma questo sarebbe super- accanimento terapeutico)... Solo il calore umano e l’ immutato o accresciuto affetto di chi sta attorno al malato sono in grado di favorire e preparare una “buona e naturale morte”, questa davvero sì eu-tanasia, nel senso più vero del termine. E la Natura stessa, in questi tragici ultimi frangenti, se non viene ostacolata da estemporanee quanto inutili forzature terapeutiche, quasi venendo incontro alla trepidazione dei parenti ed alle sofferenze del malato (che difficilmente accetterebbe di morire se fosse in piena coscienza), provvede a far scaturire ed emergere risorse fisico-chimiche a livello cerebrale (e non solo) in grado di attenuare dolore e patimenti del moribondo e di obnubilarne la coscienza, tanto è vero che la grande maggioranza delle persone, essendo sul punto di morire di morte naturale, muore inconsapevole, quasi addormentandosi: se così non fosse, la morte sarebbe terribilmente dolorosa ed inaccettabile per una persona lucida e totalmente conscia di sé (raramente però accade anche questo e tale evenienza risulta assai drammatica e struggente sia per il morente che per i parenti). In questi casi debbo riconoscere che coloro che sono sostenuti da una fede religiosa matura (e non superstiziosa), affrontano il momento decisivo con una serenità d’animo davvero stupefacente, al di là dei ruoli di ciascuno: così ho visto gente semplice morire con una dignità ammirevole, ho visto “fedeli” morire in maniera dolorosamente faticosa e problematica…

Conclusione
Dare da bere agli assetati” e “dare da mangiare agli affamati” (chiunque essi siano) non dovrebbero essere considerati terapia o accanimento terapeutico ma debbono restare (a mio sommesso avviso) solo e semplicemente due delle sette opere di misericordia (corporale? chi se le ricorda più?) che ciascuno (cristiano islamico buddista agnostico o ateo) ancora oggi è chiamato universalmente a praticare. Non mi dilungo oltre, anche se l’argomento si presterebbe ad ulteriori riflessioni riguardanti più propriamente l’eutanasia, ma ritengo che questi spunti siano sufficienti per una personale riflessione, libera da ideologie o da pregiudizi. Riflettere fa bene allo spirito, stimola i neuroni, aiuta a vivere meglio e soprattutto consente di approfondire il confronto con chi, legittimamente, la pensa in maniera diversa.

 

dal Bollettino Parrocchiale "San Danêl" di Paluzza
agosto 2009

 

 

 

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