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di Mauro Tedeschi

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3° Puntata

 

Ma che bella Domenica.

Il sindaco non si aspettava di certo la visita di quegli ossessi. Osservava attentissimo le carte sullo scrittoio, le scrutava e le voltava, le ristudiava e le rivoltava. Era conscio della agitazione degli ospiti, sapeva di avere di fronte tre pentole in ebollizione. Avevano l’espressione di chi doveva liberarsi di un’enormità, un problema irrisolvibile, una catastrofe imminente. Era un uomo minuto, Pipino, soprannome che non faceva onore alla sua cultura ma al “breve” re Franco,un riferimento beffardo alla sua costituzione fisica. Professore di filosofia presso il liceo cittadino, enormi occhiali neri da presbite, sollevò finalmente lo sguardo. Le sue pupille presero a seguire l’esagitato Erbavoglio da una parte all’altra dell’ufficio, questi rimbalzava tra la bandiera europea e quella nazionale, tra il vessillo della regione e quello del paese. I simboli del Comune erano l’incudine e la tenaglia, niente martello, affinché nessuno, in quei già democristianissimi luoghi, tentasse di affiancarvi una falce. Aveva consentito quell’irruzione solo per l’insistenza selvaggia di sua figlia Francesca. Si sapeva che nel dì di festa, prima della messa, egli sbrigava le scartoffie meno importanti che si ammonticchiavano durante la settimana ma mai, dicesi mai, aveva aperto la porta a qualcuno.

“Cosa ti sei venduto?” Erbavoglio era alto e allampanato, i capelli paglierini abbastanza lunghi da ricadergli sugli occhi, portava un eterno maglione esistenzialista arancione che teneva nascosto sotto il camice durante il lavoro.

“Di cosa parli? Ti sei bevuto il cervello?”

“Avanti papà…” Francesca, una bella ragazza che non tollerava né trucco, né legge, lo invitava con lo sguardo a raccontare la verità, una verità assoluta, ma quale?

Pipino rinculò: “Di cosa stiamo parlando, e tu, Nico cosa ci fai qui, la cosa ti riguarda, in qualche modo?” Non capiva, o era un bravo attore.

Acquamen inspirò, fece per rispondere qualcosa di volgare, ma non aveva il coraggio di offendere il suo sindaco.

“La Ferriera, professore.”

L’espressione del politico mutò ed allora il soprannome si fece persona. L’uomo si contrasse, rimpicciolì, ogni angolo del suo corpo si divincolò nel tentativo di nascondersi e sparire, come vestisse la pelle di un camaleonte.

Il sindaco si concentrò sulle piastrelle del pavimento, poi si guardò le scarpe, poi sbirciò in alto, infine inquadrò i suoi interlocutori.

In tutto un minuto di silenzio, poi apparve mortificato: “Sono già arrivati?”

Sua figlia lo inchiodò con un’occhiata. Il farmacista stava per scavalcare la scrivania, Nico lo fermò con le maniere forti e cercò le parole.

“Cosa ti sei venduto, Sindaco?”

“Io niente… Mi illudevo forse, che non sarebbero mai arrivati, o che sarebbero arrivati solo dopo di me. Le elezioni, in fondo, sono solo tra pochi mesi.”

“Cosa vogliono allora?” Nico era preoccupato, suo cognato aveva sempre portato rogna.

“Costruire.”

“Un villaggio turistico, ‘Acciarino Mille’, come si diceva? Un impianto industriale?”

“Magari.”

Erbavoglio si placò, la verità sarebbe finalmente venuta a galla, ma non smise di recitare il suo mantra: “Cosa ti sei venduto, Sindaco?”

Il primo cittadino trovò coraggio, anzi, si alzò in piedi. “Adesso spiegatemi, dove siete stati negli ultimi quattro anni? Specialmente tu” Rivolto al farmacista, “che ti dai arie da politico.”

“Dovremmo sentirci in colpa?” sua figlia trasecolò.

“Di questa cosa si parla da anni, della necessità di trovare un posto adatto, un sito, un luogo per smaltire…”

L’alchimista ebbe un’intuizione.

“Non parlerai di quel maledetto inceneritore?”

“Termovalorizzatore si chiama e l’iter delle autorizzazioni è terminato sei mesi fa. Abbiamo dato il nostro ok in cambio di vantaggi seri per il nostro Comune, avremo finalmente un asilo nido tutto nostro, riscaldamento pressoché gratis, e corrente elettrica a basso costo per le fabbriche della pianura.”

Erbavoglio era allibito, sapeva del progetto dell’inceneritore, sapeva che Acciarino era stato individuato tra i siti eleggibili ma le sue informazioni si erano fermate lì. Si era fidato troppo degli amici della città. Dunque, un gigantesco inceneritore, una cosa enorme che avrebbe servito tutta la regione ad incombere sulle future generazioni con la benedizione di maggioranza, opposizione, industriali e mamme.

“Sindaco, non capisci nulla, avveleni il tuo paese per sempre in cambio di un pezzo di pane!”

“Dottore caro, se lei non si distraesse troppo a vagare nella rete ma si concentrasse sulla realtà locale, si sarebbe accorto che un’intero treno di rifiuti è transitato sotto i suoi occhi. Devo dire però che tutto è avvenuto in modo concertato ed al cospetto di un consenso diffuso. La Ferriera è lontana dal paese, almeno nella testa della gente, e i rifiuti arriveranno già imballati attraverso il percorso della vecchia teleferica, che ai tempi tagliava fuori il centro abitato per portare i materiali ferrosi alla stazione. Aggiunga una sessantina di posti di lavoro sicuro e nessuno le metterà più i bastoni tra le ruote.”

Erbavoglio colse nella voce del sindaco un tono di rimprovero, si schernì: “Avresti potuto avvertirmi!”

“Quando il consiglio si riunisce mettiamo sempre l’ordine del giorno in bacheca e nei locali pubblici del paese, farmacie incluse, ma non viene mai nessuno.Se vuole che dica quello che penso, sono quasi certo che Acciarino sia stato scelto per questo. Per il disinteresse, la disillusione.”

Nico che di questi argomenti era un esperto, commentò: “Perché è un paese senz’anima, una periferia della periferia. “

Pipino annuì e aggiunse: “Di fronte alla noncuranza dei miei concittadini e alla protervia di quelli che venivano a ‘portare ricchezza’ ”, guardò negli occhi Nico, certo che sapesse di chi si trattava “ho pensato a ridurre il danno, a ottenere più vantaggi possibili per il paese.”

“Papà, ma non ne hai mai parlato in casa nostra…”

“Perché noi parliamo Francesca? Solo Sì, Sì, No, No… Signori, non me ne faccio un vanto, ma le cose stanno così.”

Nico riuscì solo a commentare, mentre posava lo sguardo sulle pareti chiazzate da quadri di poco valore: “C’è troppo freddo qui dentro!”

Il sindaco lo osservò bene e gli rispose: “non è un mestiere facile, il mio.”

I tre scesero le scale, e, quasi meccanicamente, si infilarono nel bar che aveva sede nello stesso palazzo del municipio. Gli avventori si accalcavano intorno agli aperitivi, alcuni dialogavano fitti con le macchinette del video poker, un gruppetto commentava al tavolo il fine settimana calcistico. Trovarono un tavolino d’angolo, vicino al flipper. Nico era a disagio, non entrava più in quel posto da quando era rimasto senza spiccioli per il parcometro.

Erbavoglio si scaldò: “La rivoluzione si dovrebbe fare, la rivoluzione” parlava a voce alta.

La ragazza rispose senza perifrasi: “non penserai di potere coinvolgere questi stronzi.”

I tipi seduti al tavolo udirono e ci fu un breve, imbarazzato, silenzio.

Nico non nutriva molta simpatia per la giovane. Era una di quelle che sfasciava le vetrine. Niente vestiti alla moda, neanche un filo di trucco, sparava sentenze come una slot machine e con un energia nient’affatto paterna.

Un avventore, un camionista del paese, si fece sotto.

“Quali stronzi, quale rivoluzione?”

Il farmacista provò a chiosare: “Un inceneritore, a mille passi dal paese, e voi a parlare del campionato di calcio.”

Il tipo, faccia dura e spalle larghe, gli rispose quasi divertito: “Sono venti anni che faccio su e giù dalla provinciale, ho trasportato qualunque tipo di merda, e dovrei preoccuparmi per un inceneritore?”

“Sì, dovresti preoccuparti” il farmacista rispose deciso, “per la salute tua e dei tuoi figli.”

“Bravo, ma se alla fine del mese il mio conto è in rosso i miei figli non mangiano. Se questo inceneritore, come si dice in giro, porterà lavoro e mi cancellerà la bolletta, ben venga.”

“Perché, lo sapevi?” Erbavoglio ci era rimasto male, persino gli avventori del bar avevano più informazioni di lui.

Francesca sbottò: “Pensare solo al portafoglio.”

“Brava brava”, qualcuno dal banco la riprese. “I soldi per andare a Genova, quando ti hanno ‘ripassata’, chissà chi te li ha dati!”

“Io sono una studentessa, e combatto l’imperialismo.”

“Con i soldi del papà” si fece avanti un altro. Erano decisamente in minoranza. Se quello doveva essere un esperimento di comunicazione, era decisamente fallito. La notizia del termovalorizzatore non solo era già circolata ma non aveva sortito alcun moto di ribellione, anzi. Chi abitava in quel paese sapeva a cosa andava incontro quando usciva per strada e un po’ di fuliggine in più nell’aria ammorbata non avrebbe fatto una gran differenza. Le rette dell’asilo nido, le bollette del riscaldamento e della corrente elettrica quelle sì, a persone che se la cavavano con mille euro al mese, potevano regalare una certa euforia.

Nico sussurrò alla ragazza: “non c’è bisogno di litigare qua dentro, non sono loro i tuoi nemici. Quando la cosa più importante per un uomo è Sampdoria Milan vuol dire che non c’è altro. A volte il calcio, quando non hai più prospettive, aiuta a vivere.”

La ragazza sorrise, un bel sorriso aperto e si diresse verso il tipo che gli aveva ricordato la ‘ripassata’ di Genova.

“Guarda”, gli disse, “Io non pretendo di spiegarti perché ero al G8, quella volta, nè come e perché sono stata ripassata, come tu dici. Ma quel giorno, in quel posto, ci sono stata anche per te, che non c’eri e non capisci.”

Il viso dell’uomo, che prima era contratto in un’espressione di sfida si rilassò: “Giusto”, rispose, “Ognuno ha diritto a manifestare le proprie idee, perciò propongo un armistizio, pago da bere per te e i tuoi amici.”

Erbavoglio prese una camomilla, Nico un’acqua e menta, se non fosse stato per lo Spritz della ragazza, si sarebbero guadagnati qualche altro apprezzamento. Tutte cose che Acquamen conosceva bene, per questo non frequentava più certi locali.

Nico tornò ad osservare Francesca. Erbavoglio era un illuso, un sognatore, per questo forse gli piaceva, perché gli restituiva un po’ di vitalità ma i tipi come lei, quelli che non ammettono il grigio, ma solo il bianco e nero, non facevano proprio per lui. Non si sarebbe stupito, magari tra dieci anni, di vederla dirigere un call center, o uno di quei posti obliqui dove si offre lavoro a tempo, a chiamata, a cottimo. Il discorsi dei presenti ritornarono alle solite cantilene perciò i tre si concentrarono sul loro problema.

Erbavoglio chiese attenzione: “Dobbiamo saperne di più.”

Nico avrebbe anche mollato la presa, ma non prima di aver rifilato qualche stilettata al cognato. Doveva pur trovarsi qualcos’altro da fare, adesso.

 

L’ultima volta che si era trovato qualcos’altro da fare era stato un disastro, l’idea dell’agriturismo l’aveva condivisa con Alessia, un architetto del paese lo aveva aiutato a mettere insieme il progetto. I soldi da cacciare però, erano troppi e sua madre si guardò bene dall’aiutarlo, o forse il tornitore non era semplicemente all’altezza. D’altronde, con uno stipendio da operaio e la casa sotto ipoteca non si potevano fare miracoli. Il vino lo aiutò a dimenticare, all’inizio.

 

Invece di progettare blocchi stradali e scioperi della fame era meglio capire cosa fosse davvero questo termovalorizzatore, se poteva effettivamente rappresentare un pericolo per la popolazione o solo una scusa per menare un po’ di casino, come Erbavoglio e Francesca non vedevano l’ora di provocare. Nico non aveva la vocazione del protagonista.

 

Fabio, l’architetto più stimato del paese, aveva la sua stessa età ed era ritenuto un pozzo di scienza.

Il professionista lo ricevette volentieri, anche se era domenica pomeriggio, erano stati compagni di scuola e di bicchiere. Era sempre ben vestito, anche in casa, capelli radi, corvini e sguardo acuto.

“Termovalizzatore dici? Sì, ne ho sentito parlare”

“Sei anche tu dell’affare?”

L’architetto non si risentì “Sai che mi occupo di turisti, non di come farli scappare.”

“E questo coso? Potrebbe peggiorare le cose?”

Fabio sorrise mestamente: “Beh, scientificamente parlando, l’impianto ha la finalità di valorizzare energeticamente i rifiuti, cogenerando sia energia elettrica per uso civile che calore per i riscaldamenti.”

“Insomma non solo incenerire rifiuti.”

“Tutt’altro, da quello che ne so si tratterà di un impianto enorme, che servirà tutta la Regione, parliamo di una settantina di Megawatt elettrici e poco meno di termici. Dipende poi da quello che bruci…”

“Nel senso?”

“Nel senso che, se ci metti solo rifiuti fai fatica a raggiungere certe temperature, perciò se c’è carta, carbone, truciolati od altro allora vai alla grande, con buona pace della raccolta differenziata.”

“E’ un bene o un male per la valle?”

“Giudica tu, Nico. Le emissioni certo, almeno nominalmente, saranno tutte entro le norme di legge, ma non è che, se un politico traccia un numero sulla carta, i tuoi polmoni fanno festa. E poi, è una cosa talmente enorme che muterà di certo il microclima della vallata. Un’autentica Geenna.”

“Un’autentica cosa?”

“Il fuoco eterno, quello che brucerà per sempre le nostre anime poco candide, Nico.”

“Parla per te, architetto.”

“Senza contare l’elettrodotto, campate di sessanta metri, la teleferica in funzione giorno e notte e lo scannamento del territorio per far interrare i tubi del teleriscaldamento.”

“Niente a che vedere con il tuo progetto di ‘Acciarino Mille’, anello di fondo d’inverno e rafting in primavera estate, due dighe a monte e a valle per garantire il divertimento tutto l’anno.”

“Ci sarà una diga a valle, per garantire l’alimentazione delle turbine, ma niente divertimento. In ogni caso i miei investitori non potevano competere con quelli.”

“Chi sono?”

“Una multinazionale dell’energia, che ha trovato nuova linfa nella ‘valorizzazione di rifiuti’ non solo urbani ed è questo che, se non avessi già deciso di trasferirmi, mi preoccuperebbe.”

“Perché?”

“Hai presente cosa si nasconde sotto la vecchia ferriera? Puoi arrivarci da solo.”

“Il reticolo delle vecchie miniere.” Ci mise un attimo a fare il sillogismo. “Oh Cacchio!”

 

L’orologio del giàHotel Paradiso, suonò le otto di sera. La signora Afra si affrettò a compilare gli ultimi moduli per presentare la richiesta di licenza. Sentiva che adesso ce la poteva fare, lavoro nuovo, movimento, niente più turisti ma operai o gente che preferiva trovare un posto tranquillo fuori città, prima di tornare a tuffarsi nei gorghi della giornata lavorativa. Con l’appoggio di suo genero, certo, uno con la testa sulle spalle.

Alessia rimproverò a Nico la giornata passata fuori casa con il cellulare spento. A lei non serviva un investigatore privato per sapere dove si era cacciato, bastava la rete delle beghine.

Prima lo sgridò, poi si sciolse in un sorriso. “Troverai un altro posto, vedrai… Ci sono dei bellissimi torrenti nella valle a pochi chilometri da qui.”

Acquamen rimase sorpreso. “Chi te lo ha detto?”

Dado è passato di qui. “Mi ha pregato di informarti di aver lasciato le canoe nella rimessa dei suoi. Ti ha lasciato anche un carrello che puoi agganciare alla macchina. Omaggio della ditta.“ Sua moglie tornò a sorridere. “Non pensarci più, Nico, non cercare guai con gente che non ha altro da fare nella vita che sobillare casini.”

“Come lo sai?”

“Sono tua moglie, non ricordi?” poi spense la luce.

 

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