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di Mauro Tedeschi

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12° Puntata

Le Corporation di oggi non sono ciò che vogliono apparire. Esse non producono solo beni e servizi, come vorrebbero far credere, esse producono potere. I beni e i servizi sono solo il carburante per tenere accesa la macchina. Il prodotto è un mezzo, e non un fine, tanto che la sua qualità intrinseca è di gran lunga meno importante dell’immagine che i media imprimono nella mente delle persone. Le logiche che si applicano in una mega azienda sono quelle tribali, dove chi non appartiene ad un branco non ha alcuna chance di successo. Non parliamo dei semplici lavoratori, che solo secoli di conquiste sociali, peraltro in corso di piena dissipazione, distinguono dagli schiavi dei tempi antichi, parliamo di chi ha almeno un bottone da pigiare per affermare “questo sì, questo no.” Perciò, nella continua lotta per salire nella scala sociale, ogni dettagliodiventa importante, ogni informazione vitale. Le Corporation hanno bilanci che potrebbero impallidire intere burocrazie statali, eserciti privati e servizi segreti tanto competitivi da costituire un serio problema di tenuta democratica per i paesi avanzati. La lotta per il predominio, definibile in tutto e per tutto imperiale, si svolge sul territorio virtuale del “mercato globale”, in un mondo privo di relazioni che non siano competitive, di umanità che non sia condiscendenza. Perciò la scuola di Acciarino veniva "attenzionata" dalla ‘Geenna’ con estrema cura, dall'interno, grazie ad un sistema di ascolto integrato, e dall'esterno con un attento monitoraggio dell'andirivieni di persone. Il dossieraggio, per un'azienda che si occupa di energia su scala globale, era non solo uno scrupolo, ma una necessità. L’assassinio un’opzione, specialmente quando si aveva a che fare con governi complici, di paesi talmente poveri da non tenere una contabilità dei morti ammazzati. In un paese come il Nostro, no, non si poteva. L’ordine doveva provenire dal massimo livello, dal numero uno in persona e quello di Celestino non era il caso. Il ricatto, la pressione indebita, il lastrico sì, ma il revolver, o il finto suicidio no. Marius era furibondo, quella del prete non era stata un’operazione voluta da lui e tutti gli uomini del cantiere presenti negavano recisamente ogni addebito.

“Il prete è morto?” L’ex militare li aveva convocati nella sede nazionale.

Tutti abbassarono lo sguardo.

“Che si faccia il possibile per capire cosa è accaduto, di questo passo ci troveremo poliziotti anche dentro al letto.”

Silenzio di tomba.

“Allora, nessuno ha visto, nessuno ha sentito?”

Un tipo che sembrava uscito da una sfilata di‘Milano veste moda’ rispose: “Era in corso la solita consegna di schifezze, magari spiava…”

Il capo della sicurezza non aveva nessuna voglia di scherzare.

“Abbiamo dei sensori di calore lassù?”

“Dodici.”

“E chi doveva controllare il monitor?”

“Andrew.” Rispose il responsabile.

“Dov’è, non lo vedo…”

“E’ in permesso speciale.”

“E chi gli ha dato questo permesso?”

“Il dottor Enrico.”

L’espressione non cambiò, l’umore sì, e di molto.

Il maresciallo dei carabinieri non si dava pace per non aver dato retta alle denunce di Celestino. Il minimo che poteva fare adesso era di fugare ogni dubbio sulla accidentalità dell’evento. Cosa ci faceva di notte un vecchio parroco in pensione sul sentiero dei minatori? Era scivolato da solo o era stato aiutato a scivolare? Mandò due dei suoi a fare domande su al cantiere. Era una scusa, voleva capire se, dietro alle apparenze, si nascondessero verità nascoste.

Il funerale di Don Celestin non fu quello che si poteva immaginare. A parte il nuovo parroco, solo due vecchi compagni di seminario vennero a concelebrare. Antonia si tenne in fondo alla Chiesa, assieme alle altre donne, giacchè nessuno aggiungesse parole a parole, per il resto, dato che si trattava di un pomeriggio feriale, a parte i vecchi ragazzi del comitato non c’era anima viva. Lo accompagnarono su, fino al piccolo cimitero di Luminaria, dove si era fatto preparare da tempo una modesta lapide di marmo bianco. Ci stava scritto: “Celestino, prete e uomo.” Erbavoglio piangeva, così Daria e Giorgio. Nico tratteneva le lacrime, ma, nel più profondo, si vergognava, si sentiva in un certo senso responsabile. Il cantiere in ogni caso si fermò, al fine di evitare rumori molesti, per tutto il tempo della cerimonia.

Nico sussurrò: “Cos’avrà visto?”

Erbavoglio rispose: ”Cos’avrà voluto vedere?”

Mauro, il ristoratore, era sempre caustico: “Ragazzi, lasciate perdere i libri gialli, il vecchio voleva giocare all’agente segreto ed è scivolato.”

Daria l’informatica, si chiese: “cosa avrebbe detto lui in questo frangente?”

“Di non badare alle apparenze.” Francesca, la figlia del Sindaco “Pipino”, appariva la più decisa.

Fabio, l’architetto, era uno che aveva visto il mondo, per questo sentenziò: “In ogni caso è bene sentire il maresciallo. Celestino ci ha rimesso insieme e noi abbiamo il dovere di fugare ogni dubbio.”

Daria sottolineò: “Occorre coraggio.”

Giorgio, che era innamorato di lei da vent’anni, si sentì chiamato in causa: “Penseremo a qualcosa.” Nella sua mente prese forma una strana idea.

Tutti gli altri, a vederlo così confuso, lo osservarono con compatimento.

 

Antonia uscì dalla canonica e si diresse verso Nico. Portava una borsa di pelle tutta rovinata e gliela consegnò. All’interno c’erano decine di taccuini, i diari di una vita e tanti segreti da custodire.

L’ex operaio si sottrasse.

L’anziana donna scosse il capo: “Ha detto che quando sarebbe venuta l’ora questa toccava a te, Nico. Lui chiamava questa borsa, ‘il sacro fuoco’, sono le memorie della Comunità di Acciarino, c’è anche la tua storia, qui dentro.”

“E’ per questo che non la voglio.”

La donna scosse il capo, Nico non se la sentì di respingerla e se la trovò tra le mani. La borsa pesava molto, l’avrebbe aperta molto tempo dopo.

La notte stessa gli uomini di Marius si proposero di bonificare il crinale dai sensori e da ogni traccia che avesse potuto sottintendere qualche forma di controllo militare ma, nonostante tutte le precauzioni, non si trovarono da soli.

Il maresciallo era un tipo tosto, si era fatto la Bosnia, il Kosovo e un turno in Iraq, durante la prima guerra del Golfo. Una malattia sfuggente e terribile, dovuta si diceva all’uranio arricchito di certi proiettili, toccata ad altri militari in missione, lo aveva messo al tappeto ma era riuscito a sopravvivergli grazie ad una fortunata diagnosi precoce. Per questo non si poteva dire che amasse i luoghi dove si conservavano dei veleni, specialmente se sospettava che, dietro le apparenze, si nascondessero loschi traffici. Sapeva come nascondersi perciò non si avvicinò troppo al cantiere rimase poco fuori il cancello sopra una collinetta naturale ad attendere la notte. Si era dotato di un visore notturno con rilevatore infrarosso, cimelio delle passate avventure, voleva capire se effettivamente qualcuno raccontasse favole sulla vera destinazione dell’antica ferriera. Giorgio, negli stessi minuti, si trascinava dietro Daria che non aveva voluto saperne di restare a casa quando lui si era vantato di voler scendere, nottetempo, nelle viscere della montagna.Si sarebbero calati dalla roccia a strapiombo direttamente nelle antiche miniere, lui era speleologo, lei appassionata rocciatrice, si completavano a vicenda. Alla moglie lui aveva raccontato di una rimpatriata tra compagni di scuola, tutto sommato non era proprio una bugia. All’una di notte il maresciallo potè osservare un manipolo di uomini disposti a raggiera salire sul crinale dei minatori. Parevano cercare qualcosa, raccogliere degli oggetti, per un attimo restò interdetto, poi comprese che stavano bonificando la zona. Dunque c’era qualcosa da proteggere da quelle parti, o qualcosa da nascondere. Nel mentre Giorgio e Daria stavano scendendo dalla montagna usando solo corde assicurate a due moschettoni, essi non dicevano una parola, il minimo rumore avrebbe potuto tradirli. Il maresciallo li vide, e si fregò le mani, c’era gran movimento, quella notte. Ebbe la tentazione di chiamare via radio i ragazzi di guardia in caserma, poi di usare il cellulare, ma il pericolo di essere intercettato e scoperto era troppo elevato. Dunque mentre gli “operai” trascorrevano la nottata sul crinale, qualcuno approfittava della confusione per un’incursione. Senza contare il carabiniere, un po’ sovrappeso mam altrettanto carico di esperienza, che se ne stava acquattato sulla collina.

I due amici toccarono terra. “Daria, hai notato i binari? Qui ci portano dentro qualcosa…”

“Silenzio, seguiamo le luci di segnalazione e occhio che non arrivi qualcuno.”

“Vedi telecamere?”

Lei appariva risoluta “Non mi sembra, in ogni caso stiamo all’occhio. Hanno trasformato questa miniera in un’autostrada.”

Le telecamere c'erano eccome, ben nascoste tra i sassi, ma in quel momento il monitor era sguarnito, dato l'eccezionale dispiegamento di forze usato per bonificare il crinale e recuperare qualche prova a proposito della morte del prete.I due intrusi si limitarono a seguire il percorso luminoso, fino a che si trovarono ad una biforcazione, faceva freddo. Uno scambio nei binari, comandato da chissà dove, precedeva due caverne, perfettamente identiche, evidentemente ripuntellate ed ampliate. Daria e Giorgio seguirono quella di destra, dopo circa un centinaio di metri si trovarono davanti ad una porta scorrevole, enorme e massiccia, preceduta da un grosso carrello ferroviario. Nessuna maniglia, solo un pannello di controllo sulla destra chiuso a chiave.  Tornarono sui loro passi e provarono con l'altra caverna, quella sulla sinistra, stessa chiusura ermetica, solo un piccolo indizio, raccattato da terra, un'etichetta. “Materiali radiologici pericolosi” diceva e tanto bastava a Giorgio per compiacersi di se stesso. Aveva corso un pericolo per qualcosa, si sollevò, mostrò il suo “tesoro” a Daria e l’abbracciò. Lei rimase stranita. “Ti sembra il luogo, tisembra il momento?”“Quando è mai stato il luogo e il momento? Ho trovato la prova, la pistola fumante, che qui si gioca sporco.”“Fammi vedere...” Lesse bene le scritte sull'etichetta e concordò: “Però adesso andiamo via, siamo stati fin troppo fortunati.” Parole sante, in fondo al corridoio, improvvisamente, si udirono delle voci.La caverna era stata praticamente resa un tunnel ferroviario, non c'erano nicchie dove nascondersi o vie di fuga laterali, potevano solo tornare da dove erano venuti, sperando che i visitatori prendessero l'altra strada. Così si spiacciccarono sulla parete nell'attesa di potere guadagnare l'uscita. Ma non sempre le ciambelle riescono col buco.“Sappiamo che siete lì, uscite fuori!” era una voce perentoria.Presi dal panico cercarono rifugio nell'altra direzione, nella speranza di trovare un pertugio dove rifugiarsi. Fatto strano il pertugio c'era. Era un budello, sulla destra, molto più stretto del tunnel che avevano imboccato, ci sarebbe passato appena un carrello, al millimetro. Percorsero solo pochi metri, poi un tipo in tuta mimetica spianò loro una pistola addosso: “fine della corsa”, si limitò a dire.Di sfuggita, ma solo di sfuggita, Giorgio intravvide una grande stanza che si apriva e più avanti un'altra porta, questa volta sembrava il boccaporto di un sommergibile. Poteva sbagliarsi ma ebbe l'impressione che di là uscisse aria calda. Daria tremava come una foglia, si erano cacciati in un bel guaio! "Venite fuori, non vi faremo alcun male."I due investigatori improvvisati alzarono le mani e si rassegnarono ad arrendersi.  Poco dopo il sottufficiale vide la pattuglia uscire dall'antica miniera e circondare i due intrusi. A quel punto poteva accadere ogni cosa, lui, di certo non se ne sarebbe restato con le mani in mano. Marius in persona perquisì Giorgio e Daria minuziosamente, ma la preziosa etichetta non venne fuori. Avevano visto tutto e niente, di sicuro non potevano immaginare quali abominevoli schifezze si andavano accumulando sottoterra. Rappresentavano il “finanziamento” attraverso il quale si sarebbero coperte tutte le spese vive del cantiere, senza contare i soldi pubblici, atti a finanziare le “energie alternative”. Gli anfratti prima o poi si sarebbero riempiti ma un crollo provocato, una frana improvvisata, li avrebbe nascosti per sempre.“Avete trovato quello che cercavate?”“No” rispose Daria, con grande fermezza.Giorgio si mise a tremare, temeva di essere colpito e temeva per la sua compagna.Marius era certo che tutti i portelloni di sicurezza fossero stati chiusidurante la loro incursione, era relativamente tranquillo, avendo coscienza che i permessi di copertura erano tutti in regola, anche per la messa “in sicurezza” delle miniere.“Avete commesso un reato, non avete trovato niente, cosa dobbiamo fare adesso?”Daria ebbe la giusta illuminazione: “Abbiamo sbagliato, chiamate pure la polizia”.Marius annuì, “buona scelta”, non poteva sapere che la polizia fosse già lì, a meno di cinquanta metri.

Daria e Giorgio vennero accompagnati in uno stanzino, in attesa dell'arrivo delle forze dell'ordine. Dal momento che pensavano di custodire orribili segreti dubitarono del fatto che quel tipo dalla faccia dura chiamasse veramente la polizia. Giorgio tremava come una foglia, ma, in quella situazione strana trovò comunque il coraggio.

“Daria?”

“Cosa c'è?” Lei era molto arrabbiata con se stessa, per essersi cacciata in un guaio e per aver seguito, contro ogni logica, quel pasticcione romantico di Giorgio.

“Daria ti amo.” Lei lo osservò come se fosse un marziano. Gli sembrava il momento di farle una dichiarazione, a rischio della vita, dopo essere statiscoperti in una palese violazione della proprietà? Provò un piccolo brivido di tenerezza, ma non lo diede a vedere, anzi non ne ebbe il tempo, dato che l'altro gli si avvinghiò nel bacio più lungo e disperato della sua vita.

Una voce gracchiò nella radio.

“Marius?”

“Cosa c'è”

“I carabinieri al cancello.” Il capo della sicurezza non fu felice di quella notizia, erano arrivati troppo presto. Sembrava quasi, malgrado li avessero chiamati loro, che fossero già lì.

“Falli passare.” Lanciò uno sguardo al monitor 32, i due speleologi dilettanti si stavano scambiando effusioni, non immaginavano di essere osservati da ventiquattro occhi stupiti.

Fu solo dopo, quando furono richiamati, che si accorsero che lo stanzino fosse, com’era logico, sotto sorveglianza. Daria si vergognò come una ladra, anche Giorgio se ne rese conto, ma era troppo spaventato e confuso per preoccuparsene.

“Maresciallo...”

“Signore.”

“Abbiamo trovato questi due boy scout nelle caverne, forse volevano provare qualcosa di forte...”

Tutti risero, tranne gli interessati.

“Intendete sporgere denuncia?”

“No, non è importante, basta che loro, o altri della loro risma, non si facciano più vedere da queste parti.”

Il maresciallo tentò una sortita: “Vuole che dia un'occhiata in giro?”

“La ringraziò” e lo chiamò per nome, sorprendendolo. Leisa che abbiamo dei permessi speciali, ci sono fossati, luoghi pericolosi, qua intorno. Da come lo aveva detto, il suo intorno travalicava, e di molto, il perimetro del cantiere.

Daria e Giorgio non credevano alle loro orecchie, li lasciavano andare!

Il maresciallo li stava accompagnando ma Marius li seguì con una breve corsa.

“Volevo lasciarvi un piccolo ricordo della vostra avventura.” Era una bella foto a colori, stampata di fresco, di loro due avvinghiati nello stanzino. “La metta nel soggiorno, di casa, a sua moglie” e indicò Daria “piacerà di sicuro.”

Giorgio borbottò, quasi tra sè: “ma lei non è mia moglie.”

“Lo sospettavo.” ripose Marius, con il suo sorriso agghiacciante.

Il maresciallo fece loro una lunga ramanzina, poi, con non chalance, gli chiese cosa mai avessero visto nella vecchia miniera.

Giorgio ci pensò bene, immaginò sua moglie che lo riaccoglieva a casa, con il consueto sorriso indagatore, e rispose “Niente.”

E Daria, solidale, ribattè: “Niente.” L’etichetta sotto il calzino rimase dov’era.

Chimera, un mostro, un animale inesistente, un’utopia.

Come si trasporta una Chimera? In un furgone bianco senza insegne, of course. Nessuno si aspettava quell'involucro grande come un armadio a tre ante, ma ragioni di sicurezza avevano sconsigliato di preavvisarne l'arrivo. Il seminterrato dell’albergo era già stato predisposto per la sua allocazione, l'accesso ai non addetti, ovvero s coloro che non fossero insegnanti della “scuola”, era consentito solo a Nico. Dunque Acquamen oggi avrebbe incontrato l'arma segreta, il motivo per il quale aveva lasciato il lavoro e si era imbarcato in un'avventura i cui confini doveva ancora individuare. La scomparsa di Celestino, le fugaci comparse di Herma, non lo rendevano un uomo felice. Per lei poteva essere solo un passatempo, chi lo sa quanti uomini lei avrebbe potuto incontrare senza che lui lo sapesse. In fondo ne aveva il diritto, non erano mica sposati, né fidanzati. Passarono dei giorni prima che l'imballo di cartone e polistirolo espanso venisse rimosso. Nel frattempo l’ex operaio passava interi minuti ad osservare l'involucro di quella che, secondo le voci che circolavano tra i professori, doveva essere una sorta di bruciatore inestinguibile, una fonte di energia dalle potenzialità inimmaginabili. Lui era un stato un operaio specializzato, aveva motivo di dubitarne, sapeva bene come si costruivano le cose. Un oggetto relativamente piccolo dove nascondeva la cisterna del combustibile? Sarebbe stato allacciato alla rete del gas, o della corrente elettrica? Kimera poi fu occasione di un violento alterco con la madre, che in quanto direttrice, pretendeva la password per l'accesso alla ‘cripta’, così veniva chiamato, per aggiungere mistero al mistero, il seminterrato.

“Cos'è questa storia che non posso entrare in casa mia?”

“E' per la tua sicurezza, mamma.”

“Alla mia sicurezza penso io!”

“La Scuola ha stabilito così.”

“Ma chi si credono di essere questi, perchè hanno quattro soldi da spendere?”

“Ripeto che cosìè, mamma.”

“Attento, Nico, tusei un'anima candida, potresti esserti cacciato in un guaio, in una cosa più grande di te.” Il viso di Afra si deformò, al punto da cambiargli i connotati: “Non sappiamo chi sia questa gente!”

Nico si preoccupò di quella espressione, conosceva sua madre, quella era rabbia allo stato puro, e, a dire la verità, non è che avesse tutti i torti.

“Pe- pe- però i soldi te li sei presi.”

“Non avevo alternative, se volevo riaprire il Paradiso.”

“C'era il tuo preferito, Dado. Avevi detto che ti avrebbe aiutato, ma lui e quell’altro, il sosia del ‘Duca’, non si sono fatti più vedere.”

Lascia perdere, non puoi né capire né competere con lui, non sei riuscito a tenerti nemmeno tua moglie...”

A questo punto Nico fece una cosa che mai si era sognato nella vita. La prese per il collo.

“Quello è un conto che devo ancora finire di saldare, vedi di non farmi prima saldare quello che ho aperto con te...” Impressionato dal suo stesso gesto lasciò immediatamente la presa.

Afra sbiancò, mai si sarebbe aspettata un gesto del genere da un figlio che riteneva poco più di un ritardato mentale. Cosa gli era mai accaduto, si era lasciato prendere da quell'ideologia malata che era stata la maledizione del suo padre putativo (senza saperlo)?

"Non osare mai più toccarmi." La direttrice girò i tacchi e sparì.

 

“Allora?” Chiese Dado, dal tono della sua voce si poteva percepire una certa ansia.

“E' arrivata” rispose Afra, “Te lo posso assicurare, è giù nel seminterrato, ma non mi lasciano entrare. L'ho solo sbirciata, mentre entrava qualcuno, è ancora avvolta nell'imballo.”

“Cos’è?”

“Non ne ho la minima idea, Enrico.”

“Perchè non ti fanno entrare, sospettano qualcosa?”

“No,l'hanno resa una zona 'off limits', come dicono loro, la chiamano 'la cripta'”

“Dovremmo fare un controllo, ci servono le chiavi...”

Afra ci riflettè un poco, poi si guardò allo specchio, i segni rossi attorno al collo erano ancora ben evidenti.

“Per questo non c'è problema, per te non c'è mai problema, lo sai. Ma come farete ad entrare lì dentro, c’è una porta blindata”

Dado disse qualcosa di incomprensibile a qualcuno che stava con lui, poi chiese di Nico. Per lui una porta blindata non era un problema.

“Tuo figlio gli fa sempre da cane da guardia?”

“Sempre, pare invasato e ce l'ha a morte con te. Hai esagerato con Alessia...”

“Un uomo è sempre un uomo, lo sai anche tu...”

Afra Arrossì, si ricordava di un ragazzino esuberante, e di un estate calda di tanti anni prima.

Dado parve curioso...”Frequenta qualche altra donna, adesso?”

“Sì, è una di loro, si chiama Herma.”

“Com'è”

“Un tipo sostenuto, una piena di sè...”

“Il mio tipo, vedrò di conoscerla meglio.”

“Tu sapevi forzare ogni porta.”

Enrico gignò.

“Ma questa volta mi servono le chiavi del Paradiso, tutte le chiavi, entro domani. Il sabato notte c'è meno gente?”

“E' così.”

“Manderò qualcuno dei miei, non lasceranno la minima traccia.”

“Che non mi portino dentro il fango dalla strada, stanno facendo i lavori.”

“Dirò loro di mettere le pattine.” Rise.

Andrew era davanti a lui. Dado aveva risposto da qualche parte vicino a Parigi.

“Non ti avevo detto di ammazzarlo.”

“Gli ho solo fatto vedere le foto che mi hai dato. Abbiamo sottovalutato la sua reazione.”

“Non tutte le ciambelle riescono col buco, Marius avrà provveduto al resto.”

“Mi cerca.” Andrew era seriamente preoccupato.

“Lo so, ma tu non lavori più per lui.”

“Lo sa?”

“Non è stupido, certo che lo sa.”

“E quella donna, la donna sulla foto, chi è?”

“Quella che ha rovinato quel prete, fino all'ultimo respiro.”

 

 

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