LA SCOMPARSA DI UN LIBRO
di Marino Plazzotta

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Nella società in cui viviamo  dobbiamo abituarci a tutto, dalla mucca pazza, all’uranio impoverito, al plutonio, alle pasticche di  extasy, al commercio  di ogni cosa , dai bimbi agli organi umani. Insomma ci dobbiamo abituare a vederne o sentirne di  tutti i colori!  Ma mai  mi sarei aspettato, nel 2000,  di constatare  la sparizione  dalle librerie di un  un libro  che aveva appena “visto la luce”, ancora intonso.

Mi riferisco al “ LA FABRICHE DAI PREDIS” scritto da Don Antonio Bellina e che improvvisamente per decisione di non so qual fantomatico “ Sant’Uffizio” è stato tolto dalla circolazione.

Senza grande scalpore o proteste si è ripetuta l’operazione  che Ray Bradbury descrive  in “Fahrenheit 451” , dove il corpo dei pompieri  è impiegato a  distruggere tutti i libri considerati fuori legge.

Anche a Udine, a distanza di secoli, si è ripresentato un severo Torquemada che , non si sa bene con quale diritto, né con quali poteri è riuscito , “senza il rumore della litigiosità” ,  ad eliminare un libro che non potrà nemmeno essere segnalato nell’ “Index Librorum Prohibitorum” di triste memoria. 

Il libro di don Antonio Bellina  è letteralmente scomparso.

Della sparizione mi sono accorto per caso, quando,  dopo aver acquistato regolarmente la copia che ho sotto gli occhi,  mi sono recato in libreria per acquistarne una  da regalare  ad un amico. “Il libro non si trova più in commercio” , mi ha risposto il libraio.

Ho fatto qualche indagine ed ho scoperto che per decisione di un Sinedrio diocesano il libro non poteva essere  più  di pubblica consultazione e non solo veniva messo all’indice, ormai soppresso, ma fatto sparire per il bene di tutti. La mia prima reazione è stata di incredulità: non mi sembrava possibile che nell’anno giubilare, con un papa che chiede perdono a tutti, perfino della santa Inquisizione, si arrivasse in una provincia,  nemmeno tanto religiosa, ad eliminare un bellissimo libro autobiografico!

E’ successo.

E sono qui  a raccontarvi quello che ho scoperto in  questa  sofferta storia che mi ha fatto apprezzare ancora di più il  mio Sciorsantul, che nonostante tutto,  è riuscito a salvarsi  con  dignità e umanità, da una scuola che  si prefiggeva di sfornare preti tutti uguali, tutti fieri, tutti pieni di sé e potenti. Il mio Sciorsantul si è salvato, perché dentro di sé  ha trovato dei valori  che nessun  docente è riuscito ad eliminare. Ha ritrovata un’anima in cui vivevano  suo padre e sua madre, e tutti gli avi  che se ne sono andati non senza lasciare una forte , determinante impronta.  Senza questo passato anche il mio Sciorsantul sarebbe diventato un prodotto confezionato e impacchettato dalla “fabriche” e comandato e dislocato  a piacere sulla scacchiera  della diocesi.

Don Antonio Bellina  è un prete scomodo, perché dice il vero e lo  sa scrivere bene. E  scrive tanto.

Ha portato a termine la traduzione della Bibbia in Friulano, iniziata con un altro prete scomodo, Don Placereani.

Come  Isaac Singer, premio nobel per la letteratura,  che  ha scritto sempre e solo in yiddish, idioma delle comunità ebraiche orientali,  Don Bellina  ha scritto e  scrive rigorosamente solo in friulano. Questo è il bello e il brutto di una mente  e di un uomo eccezionale per i sentimenti, le emozioni, le convinzioni, che riesce a comunicare: il friulano come limite , non come  prerogativa, come strumento comunicativo!

E’ un prete non etichettabile,   genericamente o facilmente,  nella classe clericale , ma è comunque un uomo in pace con se stesso.

E’ stato ed è una voce fuori dal coro , già da quando vent’anni fa scriveva : “La veretât e jè che che il gleseam al copie dutis lis pecjis dal stât…E come il stât al bandone i paîs plui picui e al siere scuelis e nol dà un avignî e nissune comuditât di sorte…cussi la glesie. Là che  no coventin predis and’è di vendi, la che a coventin no s’incjate”, ma il modo con cui è stato trattato questo ultimo suo libro, la dice lunga su come la chiesa testimoni ed interpreti la tolleranza. (Probabilmente la chiesa quando dice “mea culpa”, intende tutt’altro!).

Non ha risparmiato critiche ai suoi educatori, ai preti, alla chiesa, ma uno che critica non vuol forse bene all’oggetto che critica? Se uno critica la chiesa mica vuol dire che la odia? Don Bellina è ancora dentro alla chiesa, ne fa parte in maniera  coinvolgente. E’ parroco di una comunità minuscola, ma importante e se si mette a criticare il suo datore di lavoro lo fa , a mio avviso, perché gli vuole bene! Quindi da dove questa insolita censura?

Le sue critiche propositive, schiette, incisive, sono state ignorate, boicottate, combattute, come provenienti da un pulpito screditato e soprattutto senza potere.

In questo libro,  scomparso,  racconta, senza dimenticare alcun particolare, che cosa si mangiava in seminario, tutti i giovedì  di ogni anno, anzi di tutti i tredici anni ( gli anni trascorsi in fabbrica), come predicava don Lovo, ossessionato da san Luigi e la sua castità inconfutabile, descrive la spirituale saggezza di monsignor Peressutti, la perfida intelligenza del prof. Negus che infieriva sui deboli e tanti altri momenti di vita vissuta a quei tempi da innumerevoli giovani. Pensate che in quegli anni, dal 1950al 1960, i giovani andavano in seminario a frotte: c’erano ben tre sezioni nelle medie con  più di cento alunni!

Don Bellina descrive con  minuziosa precisione  particolari che hanno coinvolto, come me, numerosi giovani che riuscivano, pur con qualche sacrificio, a studiare in un luogo protetto e senza molta spesa.

Nel raccontare assieme alla sua, la storia di tanti giovani passati  nella “fabriche dai predis” don Bellina è  spietato, perfino micidiale.

Non perdona nulla e si ricorda  con puntigliosa memoria tutte le umiliazioni che quella congrega gli ha fatto ingoiare. Quello che ha rimuginato dentro in “ chei agns dal nestri calvari…in chel lûc di pocjs sodisfazions”  è  raccontato in un friulano semplice e comprensibile in un libro  che non potrete più acquistare, tolto alla vostra conoscenza ed al vostro giudizio.

E’ vero o falso quello che don Bellina  ci racconta?

Il “ seminari erial propit”  una prigione? Anche se non ti tenevano legato?…

L’educazione ivi impartita da lunatici professori spesso disadattati,  contribuiva a formare o a deformare pur che si entrasse  “tal stamp clericâl?

Pure io sono passato in quella fabbrica, cui serbo nonostante tutto, un sentimento di gratitudine, perché mi ha dato cultura e sicurezza. Non capisco perché criticare una “scuola” debba meritare l’ostracismo? Perché non hanno scritto una testimonianza  a controprova?  Che so? “Il Seminario aiuola di santi?” o “Il Seminario esempio educativo”.

I ricordi possono fare male.

Pre Belline ha sicuramente fatto male, con il suo libro , a quei preti che tuttora non accettano di essere venuti fuori da una “fabbrica”, conformati secondo uno stampo unico. Accettare il proprio passato è difficile soprattutto per  quelli che oggi sono diventati monsignori, arcidiaconi, vicari o vescovi, ma  che cosa è importante ? Essere o apparire?

Quello che non mi sembra assolutamente cambiato è che  se è vero che i preti sono diminuiti, non sono proprio cambiati certi metodi  arbitrari e crudeli, inquisitori, attribuibili a chi  ha deciso di togliere, con  insindacabile giudizio, un libro che più che peggiorare ci avrebbe fatto riflettere.

Ma forse, loro, non vogliono farci riflettere. Così come non sono riusciti a riflettere ed a pensare  che la chiesa avrebbe dovuto anticipare i tempi non a  farsi superare da questi. Fra qualche decennio la chiesa assumerà forme nuove di testimonianza, ma a pagare saranno i pre Belline che, umilmente, dicendo la loro idea , incasseranno più di qualche sberla.

Come ultima conclusione  mi viene da dire che se “la fabriche” è fallita i capi continuano , sotto antiche  spoglie, a comandare. Anche il comunismo, crollato il muro di Berlino, avrebbe dovuto sparire, invece ce lo ritroviamo ad ogni occasione.

Per non uscire dal tema  concludo meravigliandomi che gli intellettuali friulani abbiano  speso ben poco , quasi nulla,  qualche fievole voce, per protestare  contro l’imposizione, ridicola e beffarda, che qualcuno si è arrogato  di prendere quel libro e buttarlo nel cesso.

Non esito a definire “vergognoso, anacronistico, offensivo” quanto è successo a questo libro, quasi fossimo in regime cambogiano!  

MARINO PLAZZOTTA

 

P:S: Di seguito una traduzione, non autorizzata dall’autore, delle prime pagine di questo  libro che conserverò con cura.

Se volete sapere di più cliccate qui gosper1@tin.it

 

La fabriche dai predis
di  ANTONI BELINE

INTRODUZIONE 

Anche se i cambiamenti radicali e generazionali stanno sconvolgendo sempre di più la nostra fisionomia culturale e religiosa, resta ancora vera l’affermazione di Benedetto Croce che “non possiamo non chiamarci cristiani”. Addirittura nel senso di cristiano-cattolico, che è una delle forme di essere cristiani. Perché la religione ci ha segnati tanto in profondità che si potrebbe parlare di una sorta di somatizzazione, di una modificazione organica.

Se questo vale per gli italiani, vale con più ragione per noi friulani, che siamo nati come popolo  nel grembo di Aquileia e cresciuti attorno alla chiesa e all’ombra del campanile. Infatti uno dei difetti che tutti ci riconoscono, magari a torto, è quello di essere “campanilisti” e legati ognuno alla sua “parrocchia”. Che si può tradurre in selvatici,  individualisti e asociali.

L’influenza del nostro background culturale-religioso cattolico è tanto in positivo che in negativo. Nel senso che, se anche andiamo sempre più raramente  in chiesa o non andiamo proprio e siamo diventati neutri o contrari, ci sono rimaste le virtù e i difetti tipici di una società di stampo cattolico.

Per conoscere meglio la tipologia del friulano, base e premessa di ogni discorso sensato, sarà pertanto opportuno andare a vedere che sorta di religione  ci ha formati e deformati. A differenza dei protestanti, che danno grande importanza alla coscienza e soprattutto alla Scrittura, senza mediazioni e intermediazioni di sorte, la nostra religione o religiosità è stata centrata sulla mediazione,  quasi  esclusiva, della gerarchia, in particolare del prete, che l’abbiamo sempre visto e considerato come il referente principale e obbligatorio nel nostro rapporto con la divinità. Non è un caso che il clericalismo e l’anticlericalismo siano ortiche che crescono solo nell’orto dei cattolici. Perché per noi la figura del prete, del parroco è stata determinante e discriminante, al punto che tanta gente va in chiesa e crede in Dio  grazie a un prete santo e tanta gente non va in chiesa e non crede in niente per colpa di un prete  testardo ed imbecille. 

Arrivato ad una età in cui si può fare un minimo di bilancio e di riflessione e, trovandomi per combinazione nell’ambito clericale, mi è sembrato giusto studiare la figura, lo stampo, il modello del prete, per capire e spiegarmi la figura, lo stampo,  il modello dei nostri cristiani. Perché i preti hanno avuto grandi meriti nella nostra storia personale e sociale, come hanno avuto grandi colpe. Arriverei a dire che non si può scrivere la storia del Friuli senza scrivere un grande capitolo sulla chiesa e sui preti. Sono stato contento di leggere che uno studioso di religioni americano, Antony D. Smith,  ha trovato che in tutte le minoranze etniche e linguistiche il prete e la religione hanno una funzione insostituibile. Scappato il politico, sparito lo studiato, resta il prete, a prendersi debiti e crediti, a fare da papa e da re. Conoscere dunque i preti può diventare una chiave importante per aprire tante porte chiuse e per fare luce su tanti angoli oscuri.

Ma come conoscere i preti? Leggendo i documenti del Vaticano e della curia? Leggendo le vite dei santi,  quasi tutti preti, frati e suore? Leggendo  la tanta letteratura che in ogni secolo e in ogni parte del mondo è stata dedicata a loro? Andando ad interpellare la gente? Andando ad interpellare i diretti interessati? Tutte strade buone e percorribili, che possono dare qualche risultato illuminante.  

Io ho preferito andare a studiare il posto, là, da dove vengono e, meglio, venivano fuori i preti, quando era grande abbondanza e si poteva permettersi anche di fare  “gli americani”, i grandi e diradare senza stare troppo a trattare. Il posto si chiama “seminario”. E’ stato inventato e codificato nel 1500, e precisamente in quel Concilio Tridentino (1545-1563)  organizzato per combattere i protestanti, che è durato e dura,  nella sostanza, fino al giorno d’oggi. La parola viene  chiaramente da “semente “, una sorte di vivaio per piantine che dovevano essere guardate dai  venti del secolo e  riscaldate con il calore della santità.

In quei tempi di miseria materiale, i seminari godevano di grande abbondanza numerica, al punto che la nostra gente, per dire che “ce n’era ‘una strage”, diceva ‘un seminario’. Cosa che sicuramente oggi stonerebbe. Però l’aspetto più caratteristico di questo posto di formazione clericale, che la retorica del tempo chiamava anche “santuario”, non era il numero degli eletti ma lo stampo di educazione. Uno stampo soprattutto negativo, immobile, ossessionato  a far sparire l’uomo vero, l’uomo che diventa prete, per sostituirlo con l’uomo nuovo, il prete che non è più uomo.

Questa  struttura è durata quattro secoli e ha mandato fuori   centinaia, migliaia di preti, una stirpe  per conto suo, tutta compatta, tutta uguale, tutta differente e alternativa alla gente normale. Che se in tempi di clericalizzazione e di sacralizzazione generalizzate poteva essere comprensibile e addirittura accettabile, oggi è tremendamente, scandalosamente stonata, incomprensibile e soprattutto inaccettabile. 

Queste pagine sono una visita in quel luogo e in quell’ambiente, fatta da uno che ha passato li dentro tredici anni e dunque può vantare qualche titolo. Le ho scritte per fare luce sull’anormalità del prete, per trovare una qualche ragione alla sua stravaganza   rispetto alla gente normale. Per capire quello che gli hanno fatto per ridurlo così e dunque per trovare una qualche attenuante e, se è possibile, un po’ di comprensione, come si  ha  per tutte le vittime. Non è un lavoro contro i preti ma, contro la struttura che li ha ridotti così.

Ho scritto anche per dare una testimonianza alternativa a quella oleografica fornita dal mondo clericale, che sicuramente loda e dà risalto al suo prodotto  nascondendo colpe e limiti. Queste testimonianze, apparentemente inutili, hanno il vantaggio di offrire una lettura diversa, contraria, inedita. Di modo che, un domani, se Dio vorrà, si potrà sentire un’altra campana, meno edificante e celebrativa ma non per quello meno vera. Una testimonianza personale, ma provata sulla mia pelle e dunque genuina. 

Volevo mettere come titolo “memorie dall’oltretomba”. Poi mi era venuta la voglia di mettere “memorie di un sopravvissuto”, ma non arrivavo a trovare la parola giusta in friulano.  Alla fine ho  preferito  un titolo più generico ma forse più incisivo e comprensibile:  La fabriche dai predis - La fabbrica dei preti.

Una fabbrica che non ha saputo o potuto o voluto camminare con i tempi. Si è ostinata, prendendo come un punto di onore, a mandar fuori sempre quel prodotto, sempre più standardizzato, sempre più uguale, sempre più fuori dal tempo. Fino a che è arrivata la crisi o il momento del rendiconto.

Una prova  del Signore, ha detto una persona! Un castigo di Dio! ha detto un’altra. Una buona occasione per cambiare sistema! dice ancora un’altra. Io, la mia idea la ho e ho avuto modo di dirla in più occasioni.

A quelli che si strappano  la tonaca domandandosi come ha potuto franare  in maniera così repentina, io rispondo che la domanda sarebbe, in caso, un’altra: “Come ha fatto a durare così tanto a lungo?”. Ma lasciamo stare  considerazioni sicuramente importanti ma che non si possono sbrigare in quattro e quattr’otto. Occorre tempo, umiltà e soprattutto libertà. Entriamo assieme nella grande fabbrica silenziosa. Prima, però togliamo il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e rovinata  in tutti ‘questi’ anni e secoli. E, facendo uno sforzo, spendiamo  un recuie anche per le maestranze. Forse anche loro vittime di un sistema che  uccideva l’uomo illudendosi di onorare quel Dio che l’aveva creato come coronamento del creato a sua immagine e somiglianza.

IL SOGNO DI UNA MADRE

Santità nella culla

Siccome i santi sono persone straordinarie rispetto alla normalità, come stelle che luccicano in un cielo tutto grigio, è evidente che anche la loro vita è differente di quella della “massa damnatorum” della “folla dei dannati” che saremmo noi. La differenza di base è la loro vita interiore, il loro grado di grazia, la santità delle loro anima, ma questo è troppo poco per i nostri occhi curiosi e allora bisogna che la straordinarietà di palesi anche dal di fuori. E non solo in morte o dopo morti, ma anche in vita.. L’ideale sarebbe che tutta la vita fosse fuori dalla nostra ordinarietà, che Dio palesasse la loro grandezza fin dai primi anni, per non trovare in loro ombra di normalità. I migliori sono segnati dal momento della nascita o addirittura prima.

Mi ricordi di aver letto, negli anni della mia formazione, un  miscuglio di vite di santi ed agiografie, una più edificante di quell’altra, in cui Dio sfogava tutta la sua fantasia per sottolineare la santità dei suoi servitori. Bambini che nascevano con una piccola croce in mano, bambine alle quali uscivano  di bocca delle api, culle da cui si sentivano canti mai sentiti, case che si illuminavano come se avessero preso fuoco e la gente correva spasimando coi i secchi e trovava un  ragazzino bello come un angelo. Ci sono stati santi che, nei giorni di  astinenza, vuoi il mercoledì o il venerdì, non volevano succhiare il latte materno e altri che hanno incominciato a parlare appena usciti dal grembo della madre.

Non mancano naturalmente i sogni e le premonizioni, strada consueta che Dio adopera anche nella Bibbia per avvertire  degli  esempi  che sta preparando.

Ebbene, se invece di essere un beato prete, grande peccatore e eretico, fossi stato un san Giovanni Bosco, o un altro santo, anche nella mia vita avrebbero trovato qualcosa di straordinario. Per esempio il sogno di una madre.

Un piccolo prete avanti alla Madonna

Sono nato l’11 febbraio del 1941. In quel giorno la chiesa ricorda l’apparizione della Madonna di Lourdes a santa Bernardette. Può esistere un santo che non sia nato o morto in una giornata dedicata alla Madonna? Se deve tener conto che, a differenza della gente normale che vive in una quotidiana casualità, per le anime elette non esiste casualità e tutto ha un significato, compresi i giorni del calendario.

Quando stavo per nascere, mia madre si è sognata che, davanti all’altare della Madonna, c’era un bambino vestito da prete, con la piccola tonaca nera e la cotta bianca, tutto intento a guardare la Madonna e a pregare. Quella volta non si sapeva, come adesso, se nasceva bambino o bambina, e io non ero l’unico maschio della famiglia, avendo un fratello più grande di me e uno più piccolo. Mia madre non ha fatto nessun sogno con nessuno degli altri e dunque si può dire con relativa sicurezza che quel piccolo prete ero io.

 


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