Chi fa non
può, chi può non fa
8° Puntata – Sorestants
Per una di quelle stranezze che l’amministrazione centrale a
volte propina, Nevesa faceva Comune. Il geometra Tare governava il
piccolo ufficio tecnico con uno stile che i suoi colleghi e vicini di Paluzza,
Cercivento, Sutrio, Ravascletto, Comeglians Rigolato e Forni Avoltri non
smettevano mai di biasimare apertamente. Spesso gli stessi compaesani
arrivavano a criticarli per la loro eccessiva rigidità a fronte dell’abilità
creativa del geometra di Nevesa. Le amministrazioni si avvicendavano ma
l’organigramma degli impiegati rimaneva sempre lo stesso e tutti i politici,
prima o poi, si adeguavano. Tirare certi cassetti o aprire certi armadi poteva
dire gettare discredito sulle amministrazioni precedenti, tutte monocolori
dello stesso colore e allora lasciavano fare, non disdegnando di partecipare
allo scempio del territorio che da alcuni anni era diventato inarrestabile. Un
territorio piuttosto ampio, con una vasta zona confinaria e ricco di acque,
legname e cave di ghiaia, marmo e granito. Solo una volta i carabinieri, sulla
base di una denuncia anonima, avevano messo in piedi un’inchiesta sul nuovo
piano regolatore del Comune di Nevesa, ma il maresciallo era stato
avvicendato, richiamato in servizio in un piccolo paesino della Calabria, la
faccenda era finita in una bolla di sapone.
Tare si era costruita un’aura di onnipotenza, in pochi osavano
contrariarlo e la sua forza consisteva anche nel fatto di non travalicare mai
i confini del suo territorio, come un signorotto medievale.
Il nuovo parroco era un giovane intelligente, della generazione
che era entrata in seminario sulle ali del grande cambiamento. Era stato tra i
primi a vestire il clergyman, ma, a parte questo, il suo impeto rivoluzionario
si era ben presto arenato. Sognava una parrocchia operaia, nella periferia di
una grande città, si era trovato invece in quel paese di poche anime dove le
questioni di religione venivano regolate da secoli nel medesimo modo, con
cadenze stagionali, immutabili. Quando aveva tentato di incoraggiare le
ragazzine a fare le chierichette era diventato per le malelingue una specie di
eretico sporcaccione. Il momento
magico dell’arrivo nel paese, il carosello di macchine, la prima messa, i
fiori sull’altare, erano divenuti ben presto un lontano ricordo. La realtà
erano i sacramenti, troppi funerali e il sostegno ai bisognosi, nessun
esercizio intellettuale, poche occasioni di svago. Scior Santul aveva
cominciato ad ingrassare e l’unica tentazione a cui aveva ceduto era il
peccato di gola, ed anche di bicchiere in talune occasioni. Quando finalmente
si trovò di fronte ad un problema reale, che coinvolgeva profondamente la
Comunità come la crisi della Ditta, si dovette scuotere da un certo torpore e
guardare in faccia alla realtà. Si preparò bene, quella sera, a ricevere i
suoi ospiti, gli operai, e ripassò nella mente tutte le sue teorie
“moderniste”, ma di fronte all’esperienza pratica del sacerdozio si
domandò se, nei fatti, si sarebbe dimostrato adeguato.
Zitti zitti fecero il loro ingresso in canonica con il vestito
della festa. Erano in sei, Pietro e la
Renzina in testa. Gabriele si era rifiutato, giacchè lavorava in ufficio era
molto più utile come quinta colonna. Il parroco si sedette dietro il tavolo
di formica verde e, vistili rabbuiati, offrì loro qualcosa da bere e mise sul
fuoco il bricco del caffè.
“Alore?”
La Renzina si fece piagnucolosa…
“L’Azienda va male, da quattro mesi non riceviamo lo
stipendio”.
“Se non fosse per l’orto e le bestie…” aggiunse un
altro.
“Non vende?” chiese Scior Santul, e si rese subito conto di
aver detto una banalità.
“Il problema è che non abbiamo capito quale sia il vero
problema. Così, dall’oggi al domani…niente”.
“Se n’è andato il principale, sono rimasti i fratelli e si
è rotto l’incantesimo!” aggiunse un altro.
Il religioso si fece silenzioso, forse aveva bevuto troppo
quella sera ma, come aveva temuto, non sapeva proprio cosa dire, poi si scosse
“E con i parons, avete parlato con loro?”
“Continuano a ripetere di non preoccuparsi, che le cose si
aggiustano…” aggiunse la Renzine.
“Ma non si aggiustano…” sospirò il prete.
“Perciò ci chiediamo se lei potesse intervenire presso i
Sorestants, per chiarire la situazione…”
Ora gli sovvenne a, Scior Santul, quello che doveva dire…
“E i sindacati, li avete sentiti?”
Come se avesse pronunciato una parola magica, o fosse entrato
un refolo di vento gelido, tutti si volsero o guardarono per aria, tutti
tranne Pietro.
“I sindacati” disse risoluto “intervengono solo se hanno
un mandato, vogliono fare un’assemblea ma qui, i compagni lavoratori, non
sono troppo convinti, preferiscono sgranare i rosari…”.
La Renzine l’interruppe piccata “Noi non vogliamo entrare
in quelle cose di politica”
“Ma i sindacati ci sono per difendere i lavoratori in
difficoltà…” si meravigliò il giovane prete.
Uno più ombroso degli altri sospirò “per me sono come i
becchini, quando li chiami vuol dire che hai già il morto in casa”
“Ma cosa dice?” si meravigliò il Don e indicò Pietro.
“Il vostro collega Pietro ha ragione, il medico si chiama
prima del prete, io certo posso ascoltare, convincere qualcuno a darmi delle
informazioni ma voi dovete avere coraggio, o volete prendere, come tanti
altri, la strada del passo e vedere Nevesa una volta all’anno?”
La Renzina fu categorica “lei ascolti, riferisca e poi ci
rivediamo, non credo che i Sorestants mancheranno di fare il proprio dovere di
fronte a tanti posti di lavoro”
“Oooooh” si liberò Pietro dalla cappa di oppressione che
sentiva piovergli addosso, di fronte all’urgenza economica, comprese che
c’era poco da discutere:
“Io sto finendo i soldi, se voi avete modo di sostenervi in
altro modo meglio per voi.”
“E allora?” protestò la Renzine
“E allora li chiamo io i sindacati a costo di fare
l’assemblea da solo.”
Ci fu un rosario di esortazioni “ma no”, “aspetta”,
“vediamo cosa succede nei prossimi quindici giorni.”
Tutti,
meno Pietro, avevano metabolizzato il messaggio dei proprietari, portare
pazienza, attendere ancora un poco. Era uno stato d’animo molto più
rassicurante rispetto alla necessità del muro contro muro. Tutti erano in
difficoltà ma al Parroco dalla maggioranza dei presenti era richiesto solo di
“aggiustare” la situazione, cercare di limitare i danni nell’attesa di
un domani migliore.
Ma il Scior Santul non era molto convinto: “dovete darvi da
fare, se non vi muovete c’è il rischio che siate voi a lasciare l’azienda
prima che l’azienda lasci voi”.
“E lei che cosa fa?” lo prese in contropiede Pietro.
“Mi interesso…” fu prudente il religioso
“Non basta, se facciamo l’assemblea lei verrà assieme a
noi!”
“Non se ne parla, io sono un prete…”
“E allora abbiamo perso tempo…”
“Farò il possibile!” si inorgoglì il giovane parroco.
“Lei costruisce le chiese, una cattedrale per un comune di
neanche 1000 anime”
“Ho solo completato i lavori”
“Veda allora di non fare chiudere la fabbrica, non credo che il suo padrone le darebbe un
premio, per questo”
E così con fare sprezzante, ed un sorriso amaro Pietro prese
la porta e se ne uscì.
La Renzine guardò il parroco scotendo la testa: “Comunista e
Forest” si limitò a sussurrare.
Quella mattina il parroco, che si chiamava Carlo, saliva
scorrendo il breviario sulla strada di Varmost. Sapeva che il sindaco sarebbe
passato da quelle parti di lì a poco. Non aveva chiesto un appuntamento
ufficiale per non metterlo sulla difensiva. Il prete era un giovane moro, un
po’ in carne, l’aria paciosa. Il sindaco era stato a lungo il Direttore
didattico della locale scuola elementare e adesso era in pensione. Per lui
l’attività di sindaco era nei fatti un impegno a tempo pieno. L’aria era
quella di un intellettuale di altri tempi, con il pizzetto grigio e il bastone
da passeggio. I due si incrociarono il parroco in salita, il sindaco in
discesa.
“Scior Santul, buongiorno”
“Signor sindaco…” breve inchino, poi due passi avanti.
“A proposito…” sbottò Don Carlo, l’altro si bloccò
interdetto
“Ho sentito che giù alla fabbrica le cose vanno male, che
sappia lei è una cosa vera?”
“Cosa vuole, le aziende da queste parti hanno vita difficile,
anche io ho sentito qualcosa…ma niente di particolare…”
“Mi dicono le donne che non prendono lo stipendio da quattro
mesi…”
“Don Carlo lei si occupa di anime, lo fa molto bene…” e
rimase in silenzio, come a dire, continui a farlo e non rompa gli zebedei.
“Vero, ma se la
fabbrica chiude vedrò disperse per il mondo alcune delle mie pecorelle e
questo provoca dispiacere in me, sa, Nevesa è già una parrocchia così
piccola…non posso pensare solo ai vecchi” e lo guardò dritto negli occhi.
“Beh, si è fatto tardi…” il Sindaco fece per togliere il
disturbo.
Allora Don Carlo, come se fosse una cosa naturale lo prese per
un gomito e, riscendendo da dove era venuto, lo accompagnò fino dentro al suo
ufficio. La segretaria fece per protestare, ma il religioso la tacitò con un
gesto come dire “fatti gli affari tuoi”.
Il sindaco si accomodò e, visto che era in casa sua, perse la
sua abituale prosopopea.
“Senta signor parroco, mi vuole accusare di qualcosa? Che
vuole che faccia io, se la fabbrica va male, va male!”. Allo sguardo carico
di dubbi del prete l’altro si scaldò ancora di più:
“Gli abbiamo fatto dare le concessioni, il terreno per una
cifra ridicola, tutti i permessi che ci hanno chiesto, gli stipendi non glieli
possiamo mica pagare noi!”
“Si, ma credo che tra le sue competenze ci sia anche quella
di conoscere i problemi della
nostra gente, pensavo che lei avesse potuto approfondire le reali ragioni
della crisi, in fondo Nevesa è un paese piccolo.”
“Senta di queste cose si è sempre occupato il nostro
geometra, lei lo conosce bene, quanto me, posso combinarle un incontro, se
vuole. Da quello che so la situazione si dovrebbe aggiustare, lui mi ha
rassicurato, mi ha detto di non farmi problemi. Si parla di una nuova Ditta, con nuovi
soci, che dovrebbe rilevare le attività della prima”. Abbassò la voce:
“Ma questa cosa è segreta e delicata e lei deve considerare questa
informazione come rivelata in confessione”.
“Ma che informazione è, signor Sindaco? Io le ho chiesto
perché l’Azienda va male, non di conoscere i nomi dei nuovi soci. Se pagano
o no gli stipendi…Questo mi interessa. Mi hanno detto degli amici che se una
attività chiude e poi riapre con un altro nome è facile che molti degli
operai non vengano più riassunti”.
“Ma
che amici ha lei?”
Don Carlo ne uscì seriamente preoccupato, il sindaco aveva
messo tutto in mano a Tare, il che era un bel guaio, poteva voler dire
solo guai. E poi Giovanni, il sindacalista di Tolmezzo, suo compagno di studi
al seminario lo aveva istruito bene su come potevano evolvere le cose. Aveva
avuto l’idea ambiziosa di cercare nel sindaco, persona integerrima ma
debole, un prezioso alleato ma aveva sbagliato la prima mossa. Alla
provvidenza si sarebbe dovuto rivolgere ma la provvidenza va sempre aiutata e
lui aveva uno strumento di spionaggio raffinatissimo. Non sarebbe stato lui a
cercare le informazioni ma sarebbero state le informazioni a venire da lui..
La
moglie di Tare, la signora Antonella era una donna pia e di buona
famiglia. L’unico neo della sua vita, un problema non da poco, era il suo
matrimonio con quell’uomo. Un matrimonio praticamente combinato, poco più
che un contratto. Questo aveva permesso all’amorale geometra di fare un
balzo nella scala sociale e di installarsi in servizio permanente effettivo
nell’ufficio tecnico del comune di Nevesa. La donna aveva dovuto sopportare
ogni genere di vessazione e tradimento e,
malgrado fosse la madre dei suoi figli, era da sempre trattata come la
governante di casa. Perciò, visto che tutti i parenti si guardavano bene dal
dare ascolto alle sue lamentele, prima
o poi potevano avere bisogno del marito, lei aveva trovato sollievo nella
confessione, dove, nei fatti, parlava sempre e solo dei peccati e dei
tradimenti di lui. Non si era mai soffermata sui suoi pubblici intrighi nel vasto territorio comunale di
Nevesa ma il privato bastava e avanzava a far sbuffare i fedeli in fila per il
Sacramento. Lei non era bella, ma estremamente dignitosa e curata, Don Carlo
l’ascoltava con pazienza ma non gli raccontava mai nulla di nuovo. Anche lui
aveva conosciuto Tare alle medie, dai salesiani, nella classe dove
studiava Giovanni, il sindacalista di Tolmezzo. Si capì ben presto che egli
non avesse nessuna vocazione al sacerdozio, era quello che organizzava tutti
gli scherzi di cattivo gusto, era il classico bambino cattivo. Si vociferava
che suo padre lo maltrattasse di brutto e lui si rifacesse con gli interessi
vessando il resto del mondo.
Tare non andava in chiesa,
semplicemente la riteneva una perdita di tempo. Gli piaceva passare la
Domenica mattina al bar della Ester e scambiare facezie con chiunque si
presentasse nel locale.
“Allora, sorella”
“Mi ha tradito ancora, con la Adelina che abita in
Coline…”
A volte Don Carlo pensava che la povera Antonella fosse
diventata paranoica, e scorgesse corna ovunque.
“Pazienza sorella”
“Pazienza, pazienza gli dovrebbe dire qualcosa, lo conosce
anche lei, no?”
Il discorso andò avanti sul solito binario, fino a che il
giovane parroco diede una brusca sterzata.
“Gli unici peccati di tuo marito riguardano la famiglia e la
fedeltà o egli va oltre?”
La domanda era ben strana, per un attimo Antonella tacque, poi
visto che aveva tanta voglia di sfogarsi
si convinse a osare di più.
“Fa tanti affari…”
“Tutti leciti…”
“Non so…”
“Senta, signora Antonella, io sono molto preoccupato per la
sorte degli operai della fabbrica, ne sa qualcosa lei, mi può aiutare in
qualche modo?”
Quante volte l’aveva ascoltata divagare, oramai erano ore in
decine di confessioni, sui
difetti di suo marito, era venuto il momento di passare alla penitenza.
“Io porto da bere…”
“Cosa vuol dire?”
“Non partecipo ai discorsi, ascolto solo
spezzoni, qualche parola…”
“E’ venuto qualcuno?”
“Si, della gente da fuori e anche il
ragionier Giulivi”
“Li conosce?”
“No”
“E cosa dicevano? Si sono soffermati su
qualcosa?”
“Ripetevano spesso una cosa, ho colto
solo il senso del discorso.”
“E qual’era, questo concetto?”
“Dicevano sempre: ma noi vogliamo le cave, sono quelle che
contano, che fanno fare i soldi. Insomma quello era il cuore del loro
ragionamento”
“E degli operai?”
“Niente. C’era una lista…”
“Di quelli da riassumere?”
“Non so…”
“Devo avere quella lista…”
“Ma io non posso!”
“Quante volte l’ha tradita suo marito?”
“Tante…”
“Io ti assolvo dai tuoi peccati, per penitenze tre …
e….la lista di tuo marito in canonica!”
Il maresciallo dei Carabinieri questa volta lo ricevette senza
tante cerimonie. Lo fece accomodare e venne subito al sodo.
“Ti ho mandato al Cacciatore perché non facessi danni,
invece è come se ti avessi mandato nella tana del lupo”.
“Non so di cosa parla”
rispose risoluto Gabriele.
“Invece lo sai perfettamente, credi che i Carabinieri non
abbiano occhi? Il territorio del Comune è grande, ma il paese è
piccolo…”
“Continuo a non capire, lei mi ha consigliato e io ho seguito
il consiglio”
“Non ti ho mai consigliato di ricevere ragazze nella tua
camera!”. Gabriele sentì che gli si bloccava la salivazione.
“Adesso si che sei nei casini, giovanotto, perciò ti do un
consiglio che puoi soltanto eseguire come un ordine.”
Gabriele tacque.
“Domani vai a casa di Lina e la chiedi per moglie.”
“Ma io non posso, suo padre mi ammazza!”
“Veramente eri tu che volevi ammazzare lui!”
“Io non ci vado!”
“Allora ti perseguo per corruzione di minorenne!”
“Ma io non ho corrotto nessuno!”
”E allora in quella camera cosa ci facevate? Le parole
crociate?”
Gabriele cercava di concentrarsi su chi potesse avere fatto la
spia, per anni l’omertà aveva coperto le Domeniche pomeriggio
del Cacciatore.
“Viene anche Don Carlo, cercherà di fare da paciere. Se le
cose vanno come si devono ti faccio anche da testimone, se non sarà così…conosci
bene le conseguenze”.
C’era il prete di mezzo, forse la Loise, che li aveva
coperti per settimane, aveva alfine ceduto alla paura delle conseguenze.
“Allora?” Si fece severo il maresciallo.
“Non mi pare di avere scelta”, rispose contrito
Gabriele,”Nessuna scelta…”
Infatti non ne aveva alcuna, voleva bene a Lina e forse era ora
di rendere ufficiale il loro rapporto. L’unico problema era la precarietà
del suo lavoro, l’incertezza per il futuro. In ogni caso nessuno dei suoi
sospettati l’aveva tradito. Qualcuno semplicemente lo aveva fatto
controllare molto più da vicino, da un altro cliente. Non si voleva che,
anche se involontariamente, facesse cadere il castello di carte che si stava
costruendo sulle spalle della Ditta. Un motivo in più di ricatto poteva solo
far bene al progetto.
Nella sede del Partito del Lavoro, da secoli all’opposizione,
ci fu un ampio dibattito sulla questione della crisi petrolifera e in questo si distinse il
proprietario dell’unica pompa di benzina locale, lamentandosi
dell’austerity e di chi se l’era inventata. Ci fu un dotto intervento di
un professore che insegnava alle medie di Paluzza, che passò in rassegna il
quadro politico nazionale, con particolare attenzione alle correnti
progressiste, che, a suo avviso deviavano troppo dal percorso tracciato dalla
dirigenza centrale. C’erano poi da definire gli ultimi particolari per l’imminente Congresso, finchè a
qualcuno venne in mente che, forse, si poteva affrontare il problema della
fabbrica, che di lì a poco rischiava di produrre solo una schiera di
disoccupati.
“Il sindaco è notoriamente un incapace…Non è in grado di
gestire una crisi del genere!” si
infervorò il Segretario.
“In ogni caso si potrebbe proporre di costituire una
cooperativa”, propose un altro”.
“O cambiare il tipo di produzione, forse il marmo non è più
conveniente…”.
“Si, produciamo valige per emigranti…” qualcuno rise, altri meno, loro
avevano provato a mettersele in testa, quelle valige.
“Il problema è che questa amministrazione deve assumersi le
proprie responsabilità, se se le assume ci fa una figura di cacca perché la
fabbrica, da quello che so, è spacciata”
breve pausa ad effetto… “Se non lo fa, fa una figura di cacca lo
stesso, perché noi li additeremo a responsabili.” Mancava solo un anno alle
amministrative.
“Ma i lavoratori?” chiese uno quasi sibilando.
“Per essere chiari, quanti dei nostri sono stati assunti?”
“Domanda retorica…nessuno!”
“Hanno trovato il modo di tenerci fuori, di assumere i
parenti e gli amici dei loro parenti!”
“E allora?” aggiunsero degli altri ancora.
“E allora sono cazzi loro!”
La riunione si sciolse.