divider.gif (415 bytes)

Il testimone e la memoria

Epilogo     

            Nei primi giorni di Novembre del 2004, Mario, oramai più che quarantenne ha deciso di fare un “salto” a Nevesa. Sua moglie e i suoi figli tollerano da sempre questa sua piccola “mania”. Fanno fatica loro, che sono abituati ai ritmi della grande città, a capire che cosa ci trovi in un luogo del genere. Ora che metà delle case sono disabitate, alcune con i vetri infranti o la famosa erba cresciuta davanti alla porta. La scuola con il tetto sfondato e il Tei da S.Celestin abbattuto dall’idiozia degli uomini e dalle angherie del tempo. Lo stesso Flum non è più quello di una volta, il greto, ormai da decenni lasciato a se stesso, è ricoperto da rovi e l’argine è eroso in più parti. 

            Ai suoi amici veronesi che lo avevano accompagnato, disegnava una Nevesa che non esisteva più: “Là c’era una fontana!”,”Qui sono diventato interista”, “Quello era il Municipio”. Nevesa non fa più Comune da dieci anni e il vecchio asilo è diventato un museo delle arti e dei mestieri. Non si può dire che gli abitanti del luogo manchino di una certa ironia. Gli amici sorridevano comprensivi di fronte ai flash back, ai balzi temporali che Mario faceva balenare, lui vedeva ogni angolo con occhi diversi e si sforzava di spiegare luoghi, aneddoti, personaggi. Nella realtà appariva loro un paese fantasma, solo vecchi e diverse automobili con targa straniera. 

            Mario si fece strada tra i calcinacci del vecchio “Cacciatore”, in perenne ristrutturazione per diventare un ostello della gioventù, sollevando assi ed alzando turbini di polvere. La moglie lo riprese duramente:  

“Quella è proprietà privata!”           

            Lui non ascoltò, o non volle ascoltare e si portò fino all’antica stanza di Gabriele, quella dove il giovane si incontrava con la povera Lina. Rimaneva ancora l’antico treppiede, con la bacinella e il porta asciugamano.  

Si spostò nella sala del bar e potè udire ancora, nella sua mente, sebbene tutte le suppellettili erano state portate via, le voci concitate degli avventori, potè immaginare il fumo delle sigarette di bassa qualità e l’odore del vinaccio cosiddetto “al consumo”, che trapanava lo stomaco.   

Novembre era anche mese di cimiteri. Così, abbandonati gli amici nell´unico bar aperto, Mario decise di fare un salto al camposanto, per rievocare la propria antologia di Spoon River. Di quelli che stavano attorno alle tombe, non distinse nessuno, ma di quelli che sorridevano in fotografia, riconobbe molti. Loro non avevano cambiato troppo fisionomia, nel frattempo. Così vide la foto di Firmino, l´operaio con la gamba di legno, e poco lontano la Renzine. Avevano finito di litigare. Il suo maestro stroncato da un ictus e intorno un paio di vecchi compagni di classe, morti sulla strada, per l’alcool o l’eccessiva velocità.  Il ragionier Giulivi salutava sorridente dalla sua bella lapide di marmo e il geometra Tare, due passi più in là, sotto una fossa scavata di fresco, non aveva ancora il suo bel monumento di pietra grigia. Il vecchio sindaco era sepolto due scaloni più in alto. Mario fu preso da un profondo sconforto, che cosa poteva rimanere della sua storia, quando tutto era tanto cambiato? Come una casa abitata e ristrutturata più e più volte che manteneva solo qualche simulacro di un passato carico di affetti. Gli mancava una tomba, da vedere, l´unica che non aveva mai visitato, nemmeno quando stava a Nevesa. Quella di Lina. C´era un uomo, sulla sessantina, a lucidare il marmo grigio fiorito della lapide. Aveva deposto un grande mazzo di garofani rossi e stava assorto in preghiera, come se null´altro vi fosse all’intorno. 

Aveva la fede al dito ed un vestito da non meno di mille euro. Mario si avvicinò, l´altro se ne accorse ma non mosse un dito. Alla vista della foto della piccola Lina, l’antico bambino non potè fare a meno di singhiozzare, e scuotere la testa. 

L´uomo allora parlò: 

"Allora Mariut sei salito anche tu  a ritrovare i vecchi amici?". L´uomo era di profilo, Mario fu scioccato, chi poteva mai riconoscerlo? 

"Ogni tanto, ma Lina era così carina, una buona ragazza" non volle aggiungere "per la fine che ha fatto." L´altro si voltò, gli anni allora non tradirono più  la sua fisionomia ... 

“Gabriele!” 

L’altro fece segno di fare silenzio col dito e gli chiese a gesti di seguirlo. 

“Avevo una cosa da darti…” 

Mario lo accompagnò fino all’automobile, una bella Mercedes metallizzata. Gabriele, nella sua versione sessantenne, meno capelli e tutti grigi, prese da sotto il sedile una busta di plastica. Dentro c’erano i famosi registri taroccati della Ditta di Nevesa, che Gabriele aveva trafugato, ferendosi, il giorno che l’Azienda aveva chiuso. 

“Sono  andato a recuperarli oggi al Cacciatore, li avevo nascosti sotto un asse della mia camera ed erano ancora lì. Ci vado ogni anno nella mia vecchia stanza, perché lì ho amato tanto, ma oggi ho visto che i lavori sono andati avanti e non volevo abbandonare questo ricordo all’oblio”. 

Mario si chiese cosa mai potesse farsene dei registri di un’azienda fallita quasi trent’anni prima. 

“Vedi, sono l’unica cosa che è rimasta intatta in questo paese di fantasmi, l’unica memoria che sia rimasta, di noi, della Ditta. Ci sono nomi, date, cifre. E’ come un libro mastro dove si ritrovano persone che non ci sono più, come il diario di bordo di una nave. Tuo padre me li chiese con insistenza, nei giorni della Battaglia, ma io mi sono sempre rifiutato di consegnarglieli. Pensavo che mi sarebbero potuti servire a salvare il mio posto, ma non è stato così, per i nuovi proprietari erano soltanto cartaccia”. 

Mario comprese, gli stava passando una consegna… 

Adesso li dono a te, perché tuo padre possa rileggerli. Lui saprà dare un significato ad ogni segno tracciato sulla carta, ad ogni numero. La Ditta e le sue storie, in qualche modo, rivivranno con voi. 

Si mossero, come se fosse naturale, fin sulla riva del flum, dove, circondata dai rovi, della Ditta emergeva solo la sbarra, chiusa da un lucchetto tutto arrugginito, mai più aperto. 

I blocchi non c’erano più e nemmeno la gru. Restava il simulacro di un capannone il cui soffitto era ricaduto all’interno del laboratorio. 

“Cosa fai adesso, Gabriele?” 

“Faccio l’avvocato, dopo Nevesa ho ripreso a studiare…” 

“Che tipo di avvocato?” 

“Matrimonialista…” 

Mario rise, come poteva essere diversamente? Si sedette sulla sbarra, poi d’improvviso, l’oltrepassò. Lanciò uno sguardo al paese, alla salita di Varmost, puntellata da finestre sbarrate, al boschetto di Coline, che era diventato una selva impenetrabile. Nelle case delle Muse si scorgevano le luci di qualche televisione accesa e intorno ad uno stavolo della Soga si intravedeva una certa animazione. 

Guardò bene in viso Gabriele e gli rivolse una secca domanda: “E se l’avessimo vinta, la Battaglia?” 

L’avvocato allargò le braccia, come dire, “va a sapere…” e poi rispose “Tutto sarebbe diverso, ci sarebbero più luci, forse…”. 

Nel frattempo i familiari e gli amici di Mario si stavamo avvicinando spazientiti.

 “Ti abbiamo cercato dappertutto, ma dove ti eri cacciato?” 

Prima che potesse rispondere, la bambina più piccola gli domandò a bruciapelo: “Perché hai scavalcato quella sbarra, c’è qualcosa lì dietro?” 

“Niente” rispose suo padre.

Niente.

 

POST SCRIPTUM

Diego il Dottore è un valente medico di Medicina Interna in un grande ospedale di Milano. E’ un eccellente animatore culturale, stimato scrittore e possiede una delle più importanti biblioteche dedicate alla Carnia 

Giovanni il Sindacalista è morto di tumore al cervello, pochi anni dopo le vicende raccontate nella Battaglia. E’ sepolto in un imprecisato cimitero della Carnia. A lui va un nostro amorevole pensiero. 

Don Carlo fu cacciato da Nevesa tre anni dopo le note vicende, per una montatura che lo indicava come l’amante segreto di una parrocchiana troppo devota. E’ sepolto vivo in una Pieve di montagna e da tempo ha perso il lume della ragione. 

Gabriele, oltre che apprezzato avvocato matrimonialista, è consigliere di Alleanza Nazionale in una provincia del Nord Est. Ogni anno sale in Carnia, per portare una corona di fiori sulla tomba della piccola Lina “Da chi ti ha amato tanto” è la sua sempiterna dedica. Sua moglie lo sa e approva. 

Pietro vive della sua pensione in una casa popolare di Verona ed ogni sera gioca a carte con sua moglie su un grande tavolo di Marmo Grigio Carnico. 

Senza Cjarnie Online questa storia non avrebbe mai rivisto la luce. 

  

home.gif (2935 bytes)

 


Cjargne Online
1999-2005© - Associazione culturale Ciberterra - Responsabile Giorgio Plazzotta
I contenuti presenti in questo sito sono di proprietà degli autori - Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Disclaimer