Bla Bla
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12° puntata – La riunione del Consiglio Comunale
Uno dei passaggi più squallidi di una crisi aziendale consiste nella
solidarietà dei politici. A volte i lavoratori sono lusingati di queste
visite altisonanti, con fervorino “sopra il conto”, ma quando poi il
politico se ne va cosa rimane? Vi sono occasioni dove il politico si interessa
seriamente, ci mette del suo, e allora le soluzioni si trovano ma si tratta di
eventi più rari. La “visita” non costa niente, una foto sul giornale, la
promessa di un interessamento, le esortazioni di un codazzo di portaborse.
Mettersi in mezzo ad una crisi pone a rischio l’immagine del politico e se
poi va male? E se poi la gente individua in te l’interlocutore e si aspetta
miracoli? E poi ti voteranno, in quanti? Più di quelli a cui romperai le
scatole e che magari hanno buone entrature negli organi di informazione?
Il discorso del sindaco fu lungo, una prolusione come quelle
che faceva a scuola, nei mai troppo dimenticati anni del fascio. Percorse la
storia di Nevesa, i sacrifici degli emigranti…
“Ho sempre nella
memoria i parroci di una volta, il cui unico pensiero era al proprio gregge, e
al tabernacolo…Non sollevavano mai il capo dalle proprie onerose
occupazioni, non guardavano curiosi alle faccende del mondo…”
“Insomma si facevano i cazzi loro…” rumoreggiò Pietro
che assieme ad un uditorio più numeroso del solito ma non all’altezza delle
aspettative, pesava le parole del sindaco. Don Carlo era assente in ossequio
alla regola aurea di un prete: “mai immischiarsi in politica”.
Il primo cittadino si apprestò a concludere “Da tempo, con
la discrezione che queste vicende richiedono, avevo avviato un ragionamento
con la proprietà della Ditta, che sapevo in difficoltà, per negoziare una
via di uscita…”
Qualcuno urlò: “quella del passo, Sindaco, la conosciamo già!”
L’oratore non si fece interrompere, né alzò gli occhi dal
foglietto che aveva cesellato con tanta cura.
“Ma l’ingresso in campo di soggetti terzi…” il
riferimento ai sindacati era palpabile “
e l’impazienza di alcuni operai che non condividono la pacatezza dei Carnici,
abituati a sobbarcarsi sacrifici oltremisura e poco avvezzi alla
polemica…” fece una pausa ad effetto “ ha fatto saltare tutto…”
Ci fu un “buuuu” sommesso di sottofondo.
“Ciononostante il Comune farà la sua parte per esplorare
ogni soluzione per il lavoratori in difficoltà e per le loro famiglie. La
nostra piccola Comunità non si dimentica dei compaesani che condividono le
proprie radici con il Tei da S.Celestin.”
Suonava vagamente razzista, ma in genere funzionava…
“Ci siamo e ci saremo… Sempre…”
Il sindaco compiaciuto sorrise e osservò la piccola folla da
dietro la bella montatura degli occhiali, si aspettava un applauso, il solito
applauso ma il pubblico era di ghiaccio, solo qualche consigliere si abbandonò
ad un timido battimani.
L’opposizione gongolava, erano decenni che non vedevano un
sindaco così fuori sintonia con l’uditorio anche se era composto solo dagli
operai e dai loro amici e parenti. Era un occasione d’oro che il compagno
Bruno non si sarebbe perso per nessun motivo al mondo. Osservò il sindaco, di
cui in privato era cognato e sodale di caccia.
Lo vedeva inerme nel mirino e si lanciò nella sua requisitoria.
“Spiegateci adesso, cosa dobbiamo fare, questa
amministrazione ha praticamente regalato il terreno e le concessioni a un
gruppo di avventurieri, ha regalato illusioni…”
A Pietro vennero i brividi lungo la schiena, dove voleva andare
a parare, quello?
“A suo tempo furono richieste le necessarie referenze? Io
dico di no, ci fu accortezza nel concedere le concessioni, io dico di no, o fu
solo l’occasione di dispensare favori, un fuoco di paglia per illuminare
passate elezioni. Bene io dico di si!…”
Il Sindaco allora si fece scudo della scusa più vecchia del
mondo: “ ma si trattava della precedente amministrazione…”
“Si”, rispose Bruno che in questo modo alleggeriva la
posizione del cognato, “ma sempre del vostro colore, il colore della mala
amministrazione, delle furbizie, delle assunzioni clientelari”. I
consiglieri di minoranza risero, gli altri no e stavano per venire alle mani
quando l’operaio Elvio detto Elvis, che era tornato dall’Australia, in
mezzo a quel bailamme di voci sguaiate e minacce, pose l’unica domanda che
nessuno voleva sentire:
“Si, ma in concreto?”
Allora scese un grande silenzio, i consiglieri osservarono
l’operaio come fosse un marziano. Bruno scese dal soppalco dedicato agli
eletti e lo affrontò:
“Non sei amico del sindaco, non ti ha trovato lui il posto di
lavoro? Chiedilo a lui…”
Elvio non si scompose, troppa rabbia troppi anni di umiliazione
portava dentro: “Si, come te sono amico del sindaco, ma voglio sapere cosa
faresti tu, se fossi al posto suo…”
“Al posto suo, o di chi c’era prima di lui non avrei mai
fatto aprire la fabbrica, era un buco nell’acqua del flum, avrei
fatto mettere una tassa sul marmo e con i soldi fatto assumere un po’ di stradini, che abbiamo delle
srade che fanno pena…”
Diego il dottore che se ne era stato zitto e nascosto fino ad
allora esplose, mentre il presidente dell’assemblea cercava di riportare la
calma: “Che cazzo ci hai in testa, segatura? Con cosa teniamo aperte le case
del paese, con gli stradini?”
“Taci, pandolo, vai a Trieste a parlare di Patrie
dal Friûl, sono le grandi fabbriche, le zone industriali, che tengono in
piedi l’economia…”
Elvio non si diede per
vinto: “Non pensate di cavarvela buttando tutto in politica. Io ho chiesto a
questo Consiglio che intenzioni ha, se c’è un piano per tenere aperta la
fabbrica. Non di chi è la colpa. Se è rossa o se è bianca.”
Pietro incalzò “Non vedi, il Sindaco dice che penserà solo
ai suoi, e gli altri dicono che la fabbrica è un buco nell’acqua. Nessuno
ci crede, questa è la risposta.”
Dai banchi del consiglio piovve un “Sta bon,Forest!”
Allora Diego tuonò “Quale forest? Voi siete tutti forestats,
non siete degni di questo paese! La fabbrica non vi interessa, pensate a
Nevesa come se la Ditta non ci fosse mai stata, come se si potesse immaginare
un paese di emigranti, di prati e di stalle…”
“Perché..” riprese un po’ di contegno il Sindaco
“rinneghi i tuoi nonni, che hanno fatto i fas dal fen i zeis di
legnas c’ai son passâz jù par chel troi, dibant la gleise…”.
Gli occhi dello stundente si fecero fessura: “Il problema è,
Sindaco, che se non ci saranno più giovani, nelle case, non ci sarà più
nessuno a fare legna, a curare il sottobosco, a fare il fieno dei prati, a
tenere pulita la glerie”.
Tra i consiglieri c’era brusio, nessuno si aspettava che la
riunione prendesse quella piega. Pietro riteneva di avere sentito abbastanza,
quella non era altro che una riunione rituale, nessuno aveva la forza, quello
che adesso si chiama leadership, per affrontare la situazione. Come due pugili
suonati, maggioranza e opposizione, anziché cercare il colpo del KO si
allacciavano in una sterile polemica in attesa che suonasse il gong.
“Usciamo” urlò Pietro “Qui non hanno niente da
dirci…”
“Aspetta compagno…” si udì una voce dai banchi del
consiglio.
“Compagno un cazzo!” fu la lapidaria risposta.
Gli operai si trovarono fuori nell’aria frizzante della
deserta notte ottobrina. C’era una grande scritta rossa sulla porta del
Municipio: Casa Comunale di Nevesa.
Qualcuno andò a raccogliere un fammento di mattone da una casa
in ristrutturazione lì a due passi e corresse: Casino Comunale.
Nessuno aggiunse una parola, la delusione si poteva tagliare
con il coltello, era evidente che a parte Giovanni, il prete ed il dottore,
erano sostanzialmente da soli.
Il geometra Tare, in quel mentre, rideva come un matto. Stava
stravaccato sullo scalone che portava all’ufficio del sindaco che, durante
le riunioni del consiglio, rimaneva chiuso da una porta. Era solo, al buio,
con il pacchetto delle sigarette in una mano e una bottiglia di vecchia
romagna nell’altra. Da quella nicchia poteva ascoltare tutto, come alla
radio. Non era un problema per lui, collegare le facce alle voci, anzi era uno
spasso immaginare la scena.
Era soddisfatto poiché l’assemblea era andata anche meglio
delle sue previsioni. Aveva chiesto al Sindaco di prendere tempo e lui con
quella prolusione retorica, con quella finta insipienza, aveva portato il
dibattito esattamente dove si aspettava. Su un binario morto.
Aveva tre assi nella manica, il geometra, nel rapporto con il
Sindaco. Il primo era che il
vecchio Direttore di economia, di concessioni e di terreni non capiva un acca
e si doveva per forza fidare della sua parola. Tare aveva parlato chiaro, da
quella fabbrica sarebbe uscito solo un mare di guai. La seconda era che, dopo
una serrata trattativa, aveva ottenuto dallo Squalo, l’imprenditore
che voleva la gestione del marmo, due-tre assunzioni al massimo, per la
gestione del magazzino dei blocchi. Con quella formula “qualche
assunzione” tutti sarebbero stati tenuti sulla corda, fino alla fine. Il
nome degli operai da assumere l’avrebbero fatto loro. Il terzo era che il
vecchio aveva un figlio in procinto di diventare ingegnere civile e Tare aveva
assicurato una collocazione, attraverso la rete degli amici dello Squalo,
in una grande azienda con interessi multinazionali. C’era una bella differenza tra
un’occupazione del genere ed un futuro a ristrutturare casette con le
rimesse degli immigrati.
Il sindaco però era preoccupato, mentre la riunione riprendeva
con le “varie ed eventuali”. A giugno si sarebbe rinnovato il consiglio e
il pensiero di 40 operai a spasso per il paese a sparlare della sua
amministrazione, gli faceva tremare le vene dei polsi. Forse a Tare questo non
interessava, a lui nessuno poteva licenziarlo, ma al primo cittadino si.
Gli operai si ritrovarono nella canonica, per salutare e
ringraziare il parroco. Malgrado la “pubblicità” che avevano fatto in
giro, malgrado l’interessamento dei sindacati e dei politici, al Consiglio
Comunale c’erano solo loro ed i loro famigliari, nessun giornalista, nessun Sorestant
a parte il Sindaco e questo pesava. Allora non c’erano radio e tv
private, se la stampa ufficiale negava l’esistenza di un evento, questo
semplicemente non c’era.
Era partita la cassa integrazione, e con essa un po’ di
ossigeno, adesso si trattava di scegliere la strada da percorrere. Nord, verso
i paesi stranieri che tanti concittadini avevano malaccolto nelle baracche o
nel fondo delle miniere. Sud, nella pianura padana che qualche lavoro
pericoloso, in conceria o in vetreria era ancora in grado di offrirlo. C’era
un clima quasi rilassato e tutti ne approfittarono per ringraziare anche
Giovanni, che si schernì: “Ho fatto solo il mio dovere…” ma gli pesava
eccome, quella situazione.
D’improvviso, Don Carlo ebbe come un ‘ispirazione e si
lasciò sfuggire: “E se occupassimo la fabbrica?”
Tutti si scossero, cosa stava dicendo il prete? Occupassimo?
Intendeva anche lui? Continuò “Forse, così facendo attireremo
l’attenzione della stampa, costringeremo i politici ad occuparsi di noi. La
fabbrica dalla statale si vede bene, non credo che faccia piacere a nessuno il
bagliore dei fuochi accesi, la notte”.
Firmino, l’uomo dalla gamba di legnò chiosò “Eh si, e poi
chi assume degli operai che si rivoltano a quel modo, e poi in Carnia? Avremo
pubblicità ma anche una bella taglia sulla testa…finiremo a chiedere la
carità!”
“Hai ragione…” si pentì subito il prete che provava una
grande rabbia dentro.
Giovanni parlò francamente: “L’occupazione possiamo solo
minacciarla, ma potrebbe tornare utile farlo, per costringerli ad attivarsi,
per trovare qualche occupazione, anche pubblica, al maggior numero di
lavoratori. Dobbiamo scaldargli, mi scusi l’espressione padre, il culo. Lei
sa che abbiamo un comune amico, un Sorestant molto importante a Nevesa, forse
è il caso che scambiamo quattro parole con lui”.
“Il geometra…?”
A casa di Mario si sondarono i canali veronesi per trovare un
nuovo posto di lavoro ma non era facile. Il settore era in recessione e le
risposte furono interlocutorie. C’era un’aria di smobilitazione che si
sposava bene con il clima autunnale.
***
“Antonella, Antonella! Guarda che bella gente che ci fa
visita Due vecchi compagni di scuola: Giovanni da Tumiec e don Carlo.
Ma quale onore….”
Non si capiva mai se scherzasse o
pigliasse per i fondelli.
“Alore?” tagliò corto. Non li ricevette nella casa
principesca ma li lasciò fuori, nell’ampio pergolato, indispettendo la
moglie che non voleva mancare di rispetto al parroco.
“Che bella casa”, non si scompose Giovanni “Il frutto del
sacrificio e di un onesto lavoro…”
“Sempre meglio del tuo…” sibilò Tare con il bottiglione
in mano.
“Bene” esordì il parroco, “Siamo qui a chiederti la tua
intercessione a favore degli operai”.
Tare ne fu sorpreso.
“Quali operai? Quelli del comune?” Il parroco cominciò ad
indispettirsi ma non volle mostrarsi risentito.
“Gli operai della fabbrica, Giuan, quelli che lavorano là”
e indicò con il dito.
“Ah” il geometra finse di comprendere.
Giovanni andò subito al sodo:”Senti, mi è arrivato
all’orecchio che c’è un’offerta sola al curatore…”
“Mah, pare di si…”
“E che assumeranno qualche operaio…”
“Mah, si forse…”
“Quanti?”
“Due o tre, penso, non so…” fece un gesto come dire, non
è un mio problema.
“Devono essere dieci!” Giovanni gli puntò il dito contro.
“Ma non esiste” Tare abbandonò ogni prudenza “Nessuno
assumerebbe dieci operai, il marmo è in crisi.”
“Ma i tuoi affari no, il tuo nuovo socio puo assumerne tre.
Tu e il tuo socio vecchio, in Comune, troverete posto per altri sette…”
“Cosa mi chiedi, non sono mica l’ufficio di
collocamento…”
“Tu no, ma la vostra confraternita si, qualcuno si stringe,
qualche altro paga un debituccio. Basterebbe che fossero nel raggio di
quaranta chilometri, in modo che questa gente possa tornare a casa la sera.”
Gli consegnò la lista, che sarebbe per sempre rimasta segreta.
“Ma sono tutti i rompicoglioni, anziani, un invalido…Non
esiste proprio e poi non vedo perché…”
“Perché se non è così” Giovanni guardò l’orologio
“tra mezz’ora la fabbrica è occupata, con i copertoni bruciati e tutti il
resto.
“Beh, allora, chiameranno la forza pubblica a
sgomberarla…”
Allora il prete giocò il proprio asso: “E io sarò con loro!
So bene che tutte le trattative si sono svolte alla tua presenza, addirittura
in casa tua…Sarò prodigo di particolari, con i giornalisti. E questa…”
tirò fuori un foglio “è la tua scrittura se non sbaglio.”
Tare lanciò un’occhiata incendiaria a sua moglie dietro alla
finestra della cucina.
“Dieci, non uno di meno” sentenziò Giovanni.
Tare rimase un attimo in silenzio e poi assentì… “E’ un
prezzo alto.”
Il sindacalista di Tolmezzo rispose “Sempre meno alto di
quello che pagano a te.”
“Sei sempre stato un fallito, Giovanni.”
Il prete lo salutò “Hai quindici giorni”.
Nella lista c’erano i dieci casi più difficili, a
insindacabile giudizio del parroco.