No No e po
No!
10° puntata – Il danno
Quella notte si girava e rigirava nel letto, senza prendere sonno. Renzo aveva
accettato quell’incontro di malavoglia. Don Carlo aveva tanto insistito, ci
teneva, diceva lui, a evitare screzi e risentimenti tra i suoi parrocchiani.
Un lavoro ingrato per il plevan e poi voleva fare chiarezza su quello
strano rapporto d’amore. Il padre-padrone teneva sotto stretto controllo
Lina e in pubblico la faceva sempre accompagnare o dalla madre o dalla Loise,
di cui si fidava ciecamente visto che era stata lei a riferirgli della tresca
col veroneis.
Eppure quei due riuscivano lo stesso ad incontrarsi o perlomeno
a scambiarsi dei messaggi, ne era sicuro. A questo punto i casi erano due, o
accettare di malavoglia il fatto compiuto o tagliare di netto. La ragazza era
minorenne e comunque non aveva nessuna fonte di reddito, doveva decidere lui
il da farsi. Sua moglie si sarebbe magari impietosita ma lui… Aveva sempre
desiderato un figlio maschio, per
mandare avanti l’attività, invece… Il
suo era stato un matrimonio non felice ma stabile e nei fatti erano stati i
genitori di sua moglie ad avvicinarlo, non c’erano tante smancerie
prematrimoniali, allora. Il suo ex capomastro era un bravo ragazzo di Cleulis,
aveva una splendida casa lasciatagli in dote dai genitori, due stalle, un
fienile e una buona braide.
Aveva messo gli occhi sulla Gisele, la prima figlia perduta par
un teron ma certo Lina era più fresca e giovane, sarebbe bastato un mezzo
discorso fatto cadere così, per caso…
Alfine decise e lo fece per egoismo.
Con quella scelta, pensava, avrebbe riacquisito rispetto agli
occhi dei suoi compaesani e chiuso in modo definitivo, con il riscatto
dell’altra, la storia della figlia più grande.
Gabriele era poco persuaso di andare a chiedere al di lei padre
Renzo la mano di Lina ed i motivi erano molteplici.
Primo l’Azienda andava sempre più male e non era detto che
da un momento all’altro lui dovesse fare fagotto. Preferiva fidanzarsi
ufficialmente avendo acquisito una solida posizione da presentare come
credenziale.
Secondo se, per qualche motivo era filtrata la verità sugli
incontri al “Cacciatore” Renzo lo avrebbe di certo incenerito. Le cose però
avevano preso un’altra piega, gli incontri si erano interrotti e Gabriele e
Lina si vedevano solo la domenica, furtivamente, prima della messa, di cui era
divenuto assiduo frequentatore. La Loise portava i messaggi ( non
esistevano gli SMS ) in barba alle promesse fatte ai genitori di Lina.
Terzo lo aveva minacciato di morte e questo non era un buon
viatico per una visita di cortesia.
Don Carlo si fece attendere e sulla strada delle muses
ebbero modo di scambiare quattro chiacchiere sull’Azienda, pareva che il
parroco ne sapesse quasi di più di lui.
“Cosa farai se l’azienda va male?”
“Cercherò un nuovo
lavoro qua intorno”
“Meglio giocare alla SISAL”
“E cosa posso fare?…”
“Non saprei ma tu hai intenzioni serie con la piccola
Lina?”
“Serissime…”
“Matrimoniali?”
“Certamente!”
“I vostri incontri al “Cacciatore” non depongono a favore
delle tue buone intenzioni, hai preso almeno le tue precauzioni?”
Gabriele rimase stupito di sentir parlare un prete così. Beh,
era un uomo anche lui e poi certe cose si potevano ben comprendere.
“Sempre” rispose.
“Un problema in meno, in ogni caso se riesco a farvi
fidanzare queste cose, fino al matrimonio non debbono più succedere” pareva
serio.
“Sarà fatto!”
“Si, buonanotte…” don Carlo si preparò spiritualmente a
quell’incontro che gli aveva chiesto di combinare il maresciallo. Non gli
andava di fare il sensale per conto della forza pubblica ma prevenire uno
scandalo ai danni di una brava ragazza come la Lina era suo preciso dovere.
“O sciore Pinute, cemut eise, dut benon?”
Lo sguardo della mamma di Lina non prometteva nulla di buono e
allora don Carlo si morse la lingua. Quando aveva contattato Renzo per
quell’incontro gli era sembrato possibilista ma adesso le cose potevano
essere cambiate.
Renzo li accolse nel soggiorno sorridente e pieno di smancerie.
Gabriele pareva sollevato, ma Don Carlo, che conosceva quella famiglia meglio
di lui, cominciò a preoccuparsi.
“Allora” prese la parola Renzo “Immagino che questo
giovane abbia deciso di porgermi le sue scuse per la frase irriguardosa di
qualche tempo fa…”
Don Carlo osservò implorante Gabriele come a suggerirgli la
risposta.
“Si, certamente” disse il giovane “Sa, sono lontano da
casa e qualche volta la nostalgia fa brutti scherzi, si diventa nervosi…”
Ci fu una breve pausa, Pinute, la madre di Lina era
appoggiata alla credenza con le nocche delle dita bianchissime, abbarbicate al
vecchio mobile. Lina era assente e qualcosa non girava per il verso giusto.
“Bene le scuse sono accettate, adesso vorrei offrirvi qualche
cosa da bere, Pinute, vuoi provvedere tu?”
Renzo era accoccolato su una vecchia poltrona e roteava gli
occhi per tutta la stanza, quasi a trattenere, dietro al sorriso di
circostanza, la furia repressa.
Il discorso si aggrovigliò su facezie di ogni genere, sul
tempo, sulla storia di famiglia, sui lavori stagionali fino a che, Don Carlo,
stanco della pantomima venne al dunque.
“E per quanto riguarda Lina…”
Renzo fissò lo sguardo, fintamente sorpreso, come se stessero
inopinatamente uscendo dal seminato.
“Che c’entra Lina, oramai è fidanzata.”
“Volevo ben dire…” si sorprese il prete
Gabriele non sapeva se tacere o parlare ma intuiva una qualche
forma di trappola senza scorgerne le
vestigia.
“Così avete accettato la cosa, meglio di così…” buttò lì.
Renzo non aspettava altro.
“Il mio capomastro, Pieriscin, finalmente si è deciso
a fare il passo, è un po’ più vecchio di lei ma è un grande lavoratore,
sono sicuro che farà la felicità di mia figlia…”
Gli occhi di Gabriele si iniettarono di sangue.
Il parroco provò a parare, liberandosi di ogni prudenza.
“E Lina è contenta? Sai siamo negli anni settanta e adesso
si usa che la donna sia d’accordo…”
Allora Renzo abbandonò il sorriso fatuo che lo aveva
accompagnato per tutto l’incontro.
“Certo che è contenta, Don Carlo, e se il giovane qui non ha
niente in contrario a impicciarsi degli affari nostri, ve lo dirà lei
stessa…”
Lina entrò, era pallida e sicuramente impaurita. Iniziò la
recita senza mai alzare lo sguardo.
“Si, Don Carlo, ho deciso così, per il bene di tutti.”
Gabriele si alzò e con fare deciso puntò il dito su di lei.
“Tra qualche anno Lina sarà maggiorenne, lasciate decidere a
lei”
“Ma ha già deciso” replicò il padre della ragazza “e
poi a te cosa interessa?”.
“E’ vero Lina” si rivolse a lei Gabriele “Guardami in
faccia, hai deciso qualcosa? Lo hai deciso tu?”
Lei teneva lo sguardo basso e rispose un flebilissimo “Si”.
“Non so cosa ti abbia fatto per portarti a questo punto ma
lui deve sapere che tenterò qualsiasi cosa per liberarti da questa
prigione” Rivolto al padre… “E lei non la tocchi più con un dito!”
Don Carlo si interpose tra loro, le voci si facevano alte.
La madre di lei l’accompagnò fuori, Lina teneva lo sguardo
sul pavimento, pallida e imbambolata.
Il vecchio si inalberò: “Cosa? Mi dai ordini in casa mia? Tu
non tenterai niente, perché se provi a scappare con una minorenne la galera
non te la leva nessuno e se cerchi di vederla senza il mio consenso questo!”
e mostrò il fucile da caccia attaccato alla parete “è sempre carico!”
“Non ho paura delle tue minacce!”
“Vi ammazzo tutti e due quanto è vero Iddio!”
“Ha sentito Don Carlo? Comunque vale anche per te Renzo,
guardati le spalle, fatti accompagnare...”
“Andiamo Gabriele, che qui non è aria.” Don Carlo lo urtò
verso l’uscita.
Sulla porte c’era Pinute che rivolse al parroco poche
semplici parole:
Une volte a no iere cussì, Une volte i fiis a fasevin ciò
ca diseven i pariis e i plevans a cjacaravin mancul…
“E tu, ti sei trovata contenta?” la incenerì Don Carlo.
Pinute abbassò lo sguardo e non rispose.
Il giovane si trovò fuori dalla porta senza nemmeno
accorgersene, Don Carlo ansimava per la tensione e la rabbia. Lo trascinò via
per la strada della Muses e pronunciò poche e semplici parole che
volevano apparire consolatorie: “non li sposerò mai, so bene che Lina non
vuole! Ha parlato sotto minaccia!”
Gabriele che era furibondo rispose “Un prete accomodante si
trova sempre, dobbiamo scappare insieme, io e lei, ma non so dove, non so come…”
“Non se ne parla! Dobbiamo solo prendere tempo e vedere di
sistemare la questione dell’Azienda così avrai un posto di lavoro sicuro.
Parlerò io a Pieriscin, anche se non viene mai in Chiesa non è un
farabutto.”
Gabriele non si fece convinto. Amava Lina, e stava per chiedere di
sposarla, invece, dal detto al fatto la trovava fidanzata di un altro. Non
c’erano soluzioni facili a quella situazione, occorreva escogitare
qualcosa…
****
Al bar del Commercio di Paluzza adesso si trovavano in quattro
o cinque. A tutti appariva chiaro che era solo una questione di tempo ma la
Ditta avrebbe chiuso.
Pietro esordì “Se non vi fidate dei sindacati, se avete
paura di esporvi c’è solo un sistema per smuovere i Sorestants, la stampa.
Un articolo sul giornale smuove più di mille assemblee.”
“Si bisogna scuoterli”, acconsentì Elvio, che era tornato
dall’Australia solo quattro anni prima.
“Ma chi ci dice che mettere le cose in piazza non sia
peggio?”
“Hanno deciso di chiudere.”
E tu Pietro, come fai a saperlo?
“Ho una fonte…interna”, si riferiva a Gabriele.
“Ma non è meglio aspettare la lista di quelli che
riassumeranno?” chiese dubbioso Firmino, che aveva una gamba di legno per
una ferita di guerra.
“Perché siete qui? Perché sapete bene di non esserci su
quella lista. Se mai ce ne sarà una…”
“Questo è vero”, concordò Enzo,che dopo una vita di
lavoro aveva solo venti anni di contributi pagati presso l’INPS, perché
un’azienda disonesta si era “dimenticata” di versarli. A cinquant’anni
era difficile immaginare di ricominciare da capo.
Aggiunse “Dovremmo tentare di parlare con Lucio, il padrone,
fargli capire che siamo suoi alleati,
se vogliono veramente salvare la fabbrica…”
Pietro scosse la testa “Ci abbiamo provato, ma loro ci vedono
solo come un fastidio…”
“D’altra parte cosa possiamo fare?” scrollò il capo
Aldo, sconsolato, aveva appena acquistato la casa e le rate del mutuo erano
ancora tutte da pagare.
“Dobbiamo far sapere a tutta la valle come stanno le cose da
Nevesa a Timau e poi giù, fino a Tolmezzo, almeno nessuno potrà dire non
sapevo…Poi trovare qualcuno, come Diego il dottore, che possa smuovere la
stampa e la politica…”
Il piccolo Mario viveva con ansia crescente quella situazione,
in casa la tensione era diventata insostenibile, la mamma chiedeva a gran voce
di tornare a Verona dove c’era una fiorente industria del marmo ma Pietro
teneva duro. A lui Nevesa piaceva e poi voleva portare a termine il progetto
di vita che aveva avviato. L’appuntamento con Diego fu fissato dal parroco,
che ritenne utile rendere più discrete quelle adunate sediziose, in una
cappelletta sui pascoli alti. Ci sarebbe stato anche Giovanni il sindacalista.
Alla faccia dubbiosa di Pietro, che riteneva inopportuna una riunione in un
luogo sacro anche perchè sarebbe volata qualche parola pesante, la risposta
fu chiara:
Omnia munda mundis.